LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –
Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – rel. Consigliere –
Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 15019/2004 proposto da:
N.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F.S.
NITTI 11, presso l’avvocato GIRARDI MARIO, rappresentato e difeso dall’avvocato MONETTI ALFONSO, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE – DIPARTIMENTO DEL TESORO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3555/2003 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata l’11/12/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/09/2009 dal Consigliere Dott. UGO RICCARDO PANEBIANCO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato in data 2.11.1994 N.P. conveniva avanti al Tribunale di Napoli il Ministero del Tesoro, esponendo che:
– con atto del ***** gli erano stati ceduti dall’avv. V.P. i crediti vantati nei confronti del Ministero del Tesoro dalla s.r.l. Manzoni, dalla s.r.l. Villa Sant’Antonio, dalla s.a.s. FA.BI., dalla s.r.l. C.E.M. e dalla GEPIM, crediti in precedenza da costoro ceduti al V.;
– per effetto della cessione egli avrebbe dovuto percepire dal Ministero, cui l’atto era stato notificato il 22.1.1993, la somma di L. 370.000.000 oltre agli interessi dal 20.2.1992, mentre in data 25.10.1993 gli erano state corrisposte solo L. 361.395.100 e, successivamente, a seguito di diffida, ulteriori L. 12.376.500 e così complessivamente L. 373.771.600;
– tale importo non estingueva il suo credito, pari a complessive L. 426.668.000 (L. 370.000.000 per capitale e la rimanenza a titolo di interessi).
Chiedeva, quindi la condanna del Ministero del Tesoro al pagamento della somma di L. 52.668.400 oltre agli ulteriori interessi maturati e maturandi.
Si costituiva il convenuto che contestava la fondatezza della domanda.
Con sentenza del 2.5.2001 il Tribunale accoglieva la domanda, condannando il Ministero al pagamento della richiesta somma f oltre agli interessi dal 25.10.1993 su L. 54.896.400 e dal 20.9.1994 su L. 1.921.000.
Proponeva impugnazione il Ministero della Economia e delle Finanze – Dipartimento del Tesoro ed all’esito del giudizio, nel quale si costituiva la controparte chiedendone il rigetto, la Corte d’Appello di Napoli con sentenza del 4 – 11.12.2003 accoglieva il gravame respingendo la domanda proposta dal N. e condannandolo al pagamento delle spese del doppio grado.
Dava atto in primo luogo la Corte d’Appello della transazione intervenuta il ***** fra il V. ed alcune società, fra le quali la Manzoni s.r.l., titolari di crediti ancora sub – iudice nei confronti del Ministero del Tesoro, transazione con la quale dette società avevano ceduto parte dei loro crediti (la Manzoni s.r.l. per l’importo di L. 205.000.000 e le altre società per complessive L. 145.000.000, pari per ciascuna a L. 55.000.000) per l’importo di L. 370.000.000 oltre interessi.
Soggiungeva che successivamente in data ***** le stesse società avevano transatto la lite con il Ministero, riguardante un’occupazione illegittima di un immobile e la richiesta di risarcimento del danno, accettando la complessiva somma di L. 1.250.000.000 comprensiva degli interessi al 12% dal ***** e che nello stesso atto era stato precisato che la s.r.l. Manzoni aveva partecipato con un credito ammontante, per effetto della transazione, L. 196.397.100 e che al N. spettavano L. 361.397.100 derivanti dalle somme dovute alla Manzoni ed alle altre società, sempre per effetto della transazione. A seguito di tale transazione il Ministero aveva autorizzato il pagamento a favore del N. della somma di L. 361.376.500 a titolo di capitale ed interessi dal 20.2.1992 e di L. 12.376.500 a titolo di interessi dal giorno *****.
Riteneva quindi che il N. non avrebbe potuto pretendere dal Ministero una somma maggiore di quella risultante dalla transazione, potendo tuttalpiù rivolgersi alla s.r.l. Manzoni per ottenere la differenza rispetto a quanto (L. 205.000.000) era stato convenuto in sede di cessione del credito.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione N.P., deducendo tre motivi di censura.
Resiste con controricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento del Tesoro – dopo il rinnovo della notifica presso l’Avvocatura Generale disposta da questa Corte all’udienza del 14.11.2008.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Pregiudizialmente deve essere rigettata la eccezione di improcedibilità dell’originario ricorso, di cui poi è stata disposta la rinnovazione della notifica, sul rilievo che sarebbe stato notificato in data 6.5.2004 e nei successivi venti giorni non sarebbe avvenuto il deposito, come prescrive, a pena appunto di improcedibilità, l’art. 369 c.p.c..
Dagli atti, la cui lettura è certamente consentita in presenza del dedotto vizio di ordine processuale, risulta che l’originario ricorso era stato notificato in data 3.6.2004 ed il suo deposito è avvenuto il 22.6.2004, vale a dire nell’osservanza del prescritto termine di venti giorni.
Con il primo motivo di ricorso N.P. denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 2, art. 87 disp. att. c.p.c., e art. 2697 c.c.. Lamenta che la Corte d’Appello abbia dato atto della transazione intervenuta tra le società cedenti ed il Ministero per l’importo di L. 1.250.000.000; di cui L. 196.397.100 spettanti alla Manzoni s.r.l. e che tale società aveva ceduto un credito di maggior importo (L. 205.000.000) di cui a li non poteva disporre senza però che fosse stato esibito l’atto di transazione di cui egli ignorava il contenuto.
La censura è infondata.
La sentenza impugnata (vedi pag. 4 primo periodo) non solo fa espresso riferimento all’atto di transazione intervenuto in data ***** fra le società, che avevano già ceduto a favore del V. i crediti da loro vantati nei confronti del Ministero del Tesoro, e la stessa Amministrazione,, ma ne riporta anche lo specifico contenuto con la precisa indicazione dell’importo transatto, della percentuale degli interessi riconosciuti e della somma conseguentemente dovuta al N., che risulta pertanto espressamente menzionata.
Avrebbe dovuto quindi il ricorrente, nel negare la produzione in giudizio dell’atto di transazione, precisare come la Corte d’Appello fosse venuta a conoscenza dei relativi dati in esso contenuti. In mancanza di una precisa indicazione sul punto, la dettagliata esposizione testè evidenziata induce necessariamente a ritenere che il giudice di merito abbia avuto la possibilità di una rituale lettura dell’atto.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.. Deduce che il credito fatto valere in giudizio riguarda gli interessi sui singoli crediti ceduti dalle società (L. 205.000.000 dalla Manzoni s.r.l. e L. 55.000.000 da ciascuna delle altre società) mentre la Corte d’Appello si è limitata ad esaminare solo gli interessi maturati sul credito ceduto dalla Manzoni s.r.l. e non anche su quelli ceduti dalle altre società che non erano stati corrisposti.
Anche tale censura è infondata, risultando dalla sentenza impugnata che gli interessi, nella misura del 12%, erano stati compresi nell’importo complessivo di L. 1.250.000.000 concordato in sede di transazione e riguardavano pertanto tutte le società che avevano partecipato a tale atto e non già solo la Manzoni s.r.l..
La doglianza del resto contiene una mera affermazione, priva di qualsiasi riferimento alle risultanze emerse.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1260 c.c. e segg. e art. 2697 c.c., nonchè omessa ed insufficiente motivazione. Sostiene che la Corte d’Appello, nel rilevare che il debitore ceduto non può essere obbligato a pagare un debito in misura superiore solo perchè il suo creditore abbia disposto di una somma maggiore, non ha considerato che ciò può valere nei confronti del credito della Manzoni s.r.l. e non anche dei crediti di altre società liquidati in misura di molto maggiore rispetto ai crediti ceduti, come risulta dalla stessa sentenza.
Il motivo è infondato.
Il collegamento dei previsti interessi con l’intero importo transatto in presenza di tutte le società, come già rilevato in relazione al precedente motivo, non può che riguardare anche la somma capitale, basandosi sulle stesso presupposto costituito dalla presenza nella stipulazione dell’atto di tutti gli interessati.
Pertanto, anche per le società diverse dalla Manzoni s.r.l. (la Villa Sant’Antonio s.r.l., la FA.BI. s.a.s., la C.E.M. s.r.l. e la GEPIM) che a detta transazione avevano partecipato, il Ministero ceduto non può essere tenuto a pagare una somma maggiore di quanto concordato, a nulla rilevando che dette società si fossero inizialmente impegnate nei confronti del V. (primo cessionario) e del N. (secondo cessionario) per un importo superiore.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell’onorario che liquida in Euro 1.500,00; oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 28 settembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2010