LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ADAMO Mario – Presidente –
Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –
Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –
Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
COMUNE DI ALTAVILLA SILENTINA (P.I. *****), in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI GENTILE 22, presso l’avvocato TESTORI CARLO, rappresentato e difeso dall’avvocato ORLANDO ANTONIO, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO DITTA R.V.;
– intimato –
sul ricorso 18323-2004 proposto da:
FALLIMENTO R.V., in persona del Curatore avv. A.
E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO 64, presso l’avvocato CARLETTI DANIELA, rappresentato e difeso dall’avvocato DEL MANTO ANTONIO, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
COMUNE DI ALTAVILLA SILENTINA;
– intimato –
avverso la sentenza n. 141/2004 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 05/03/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29/09/2009 dal Consigliere Dott. ANTONIO DIDONE;
udito, per il controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato D. CARLETTI, per delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del ricorso incidentale;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
p.1.- La Corte di appello di Salerno, con sentenza del 5.3.2004, ha confermato la sentenza del Tribunale di Salerno del 2 8.4.2001, con la quale il Comune di Altavilla Silentina era stato condannato al pagamento, in favore della curatela del fallimento di R. V., della somma di L. 105.813.395, comprensiva di interessi legali e moratori, per opere commissionate e realizzate.
Nel rigettare l’appello proposto dal Comune – secondo cui lo stato di dissesto dell’ente impediva il maturare degli interessi, la Corte di merito ha osservato che la dichiarazione dello stato di dissesto finanziario dell’ente locale non preclude che sui debiti pecuniari dello stesso maturino gli interessi e rivalutazione monetaria, restando soltanto escluse – in forza della disciplina di cui al D.Lgs. n. 77 del 1995, come modificato dal D.Lgs. n. 336 del 1996, poi riprodotto nel D.Lgs. n. 248 del 2000 – l’opponibilità alla procedura di liquidazione e l’ammissione alla massa passiva degli interessi e rivalutazione maturati successivamente allo stato di dissesto.
La Corte di appello, poi, ha rigettato l’appello incidentale della curatela – diretto ad ottenere interessi e rivalutazione sulle somme liquidate fino all’effettivo soddisfo – osservando che l’appellante incidentale non aveva fornito alcuna prova (e neppure soltanto allegato il) del dedotto ulteriore danno subito a fronte degli interessi moratori già ottenuti.
Contro la sentenza di appello il Comune di Altavilla Silentina ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un solo motivo e con istanza di assegnazione alle Sezioni unite.
Resiste con controricorso la curatela ricorrente la quale ha proposto ricorso incidentale affidato ad unico motivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
p.2.- Con l’unico motivo del ricorso principale il Comune ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 77 del 1995, come modificato dal D.Lgs. n. 336 del 1996 e dal D.Lgs. n. 248 del 2000, la cui corretta interpretazione, secondo il ricorrente, impone la “cristallizzazione delle somme a dare al momento della pronunzia dello stato di dissesto con sorta capitale bloccata, e semplice calcolo di interessi e rivalutazione della somma, anche durante il periodo di dissesto, con esclusione di capitalizzazione”. La Corte di merito avrebbe dovuto escludere interessi e rivalutazione perchè l’intera sorta capitale di cui ai lavori effettuati era stata corrisposta alla ditta fallita e nulla si poteva pretendere dal Comune a titolo di interessi e rivalutazione in quanto quest’ultimo era stato posto in stato di dissesto finanziario con Delib. n. 23 del 1992 e vi era rimasto fino al 1998.
Il motivo di ricorso è infondato ed essendosi già pronunciate, in materia, le Sezioni unite, l’istanza di rimessione alle medesime va disattesa.
Questa Corte ha già affermato che la disposizione normativa invocata dal ricorrente (e cioè il D.L. 18 gennaio 1993, n. 8, art. 21, comma 3, convertito dalla L. 19 marzo 1993, n. 68, secondo cui “dalla data di deliberazione di dissesto i debiti insoluti non producono più interessi, rivalutazioni monetarie od altro”) va interpretata alla luce delle pronunce della Corte costituzionale (sentenze n. 14 9, 155 e 242 del 1994), nel senso che essa non impedisce nè il maturare della rivalutazione, nè quello degli interessi, nè l’accertamento e la liquidazione dei relativi diritti, i quali però potranno essere fatti valere esecutivamente dal creditore nei confronti del comune solo quando questo sia tornato “in bonis” (Cass. 26 agosto 1997 n. 7997; 10 marzo 1999 n. 2049; Sez. 3, Sentenza n. 7369 del 2003). In particolare, le Sezioni unite di questa Corte (sent. n. 16059 del 2001) hanno da tempo chiarito che il creditore può sempre rinunziare all’inserimento del suo credito nel piano di rilevazione della massa passiva da parte dell’organo straordinario di liquidazione e proporre dinanzi al giudice ordinario una domanda di accertamento e liquidazione dei crediti vantati verso il comune, da far valere in via esecutiva nei confronti dell’ente pubblico tornato in bonis, restando esclusa unicamente la tutela esecutiva anche nei confronti dei titoli giudiziali formatisi successivamente alla dichiarazione dello stato di dissesto (Cass. 26 novembre 1999, n. 13234).
Conclusione che trova un ulteriore elemento di riscontro nella considerazione che l’ente dissestato, a differenza del fallito, non perde la sua capacità processuale nè si verifica alcuna sostituzione dell’organo della procedura agli organi istituzionali dell’ente (Cass. 27 gennaio 2001, n. 1191), nei cui confronti perciò, possono continuare ad esser promosse le ordinarie azioni di cognizione (Sez. un., sent. n. 16059 del 2001).
p.3.- Con l’unico motivo del ricorso incidentale la curatela controricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 1224 e 1283 c.c. e art. 91 c.p.c. e relativo vizio di motivazione, lamentando il mancato riconoscimento di interessi e maggior danno da svalutazione monetaria “per il periodo successivo alla data del 15.4.1999 (epoca fino alla quale il tribunale aveva calcolato gli interessi legali e moratori dovuti alla curatela fallimentare) fino all’effettivo soddisfo”. Deduce che il diritto al riconoscimento del maggior danno da svalutazione monetaria discende dalla qualità di imprenditore del creditore attore. Deduce che il riconoscimento di rivalutazione monetaria e interessi dovuti per il ritardato pagamento degli importi liquidati D.P.R. n. 1962 del 1963, ex art. 35 in linea con la qualità di imprenditore della ditta R., poi fallita, “non contrasta con la citata normativa, che prevede unicamente il calcolo degli interessi per il ritardato pagamento delle rate di acconto e non anche il danno ulteriore per il mancato pagamento di detti interessi. Il debito per interessi scaduti (compresi quelli di cui al D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, artt. 35 e 36), si configura come una qualsiasi obbligazione pecuniaria (credito liquido ed esigibile), anche quando sia stata eseguita l’obbligazione principale, dalla quale deriva il diritto agli ulteriori interessi nonchè al risarcimento del maggior danno ex art. 1224 c.c.. Nella fattispecie, mentre il Tribunale di Salerno ha completamente omesso ogni pronuncia sulla domanda dell’attore sul punto, la Corte territoriale, investita del gravame, ha erroneamente ritenuto che nessuna prova sussistesse in ordine al maggior danno subito dalla ditta fallita a fronte degli interessi moratori già ottenuti (ex art. 35 e 36 Cap. Gen. OO.PP.)”.
p.3.1.- Anche il ricorso incidentale è infondato.
Infatti, quanto al maggior danno, le Sezioni unite hanno da tempo puntualizzato che in materia di revisione del prezzo nell’appalto di opere pubbliche, trova applicazione la L. 21 dicembre 1974, n. 700, che riconosce gli interessi, sulle somme dovute a titolo di acconto e saldo per revisione prezzi, ai tassi di cui agli artt. 35 e 36 del Capitolato generale delle opere pubbliche dello Stato (D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063), i quali sono comprensivi del risarcimento dei danni da svalutazione monetaria (Sez. U, Sentenza n. 27186 del 28/12/2007).
Quanto agli interessi, la censura è priva di specificità in relazione agli elementi di cui all’art. 1283 c.c. e non autosufficiente.
Va ricordato, invero, che “a tutte le obbligazioni aventi ad oggetto originario il pagamento di una somma di denaro sulla quale spettino interessi di qualsiasi natura, compresi quelli di cui agli artt. 35 e 36 del Capitolato generale d’appalto per le opere pubbliche, approvato con D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, è applicabile, in mancanza di usi contrari, la regola dell’anatocismo dettata dall’art. 1283 cod. civ., dovendo escludersi che il debito per interessi, anche quando sia stata adempiuta l’obbligazione principale, si configuri come una qualsiasi obbligazione pecuniaria, dalla quale derivi il diritto agli ulteriori interessi dalla mora nonchè al risarcimento del maggior danno ex art. 1224 c.c., comma 2” (Sez. Un., Sentenza n. 9653 del 17/07/2001).
Invero, “il debito per interessi (anche quando sia stata adempiuta l’obbligazione principale) non si configura, del resto, come una qualsiasi obbligazione pecuniaria, dalla quale derivi il diritto agli ulteriori interessi dalla mora nonchè al risarcimento del maggior danno ex art. 1224 c.c., comma 2, ma resta soggetto ai limiti entro cui è consentito riconoscere l’anatocismo di cui all’art. 1283 cod. civ.: norma, quest’ultima, derogabile soltanto dagli usi contrari ed applicabile a tutte le obbligazioni aventi ad oggetto originario il pagamento di una somma di denaro sulla quale spettino interessi di qualsiasi natura, compresi quelli di cui agli artt. 35 e 36 del citato capitolato” (Sez. 1, Sentenza n. 10692 del 20/05/2005).
Ciò posto, poichè dalla sentenza impugnata non risulta che la questione dell’anatocismo sia stata prospettata dalla curatela con l’appello incidentale, il ricorso, nella parte in cui omette di precisare in quale atto la questione predetta sia stata sottoposta al giudice del gravame, è inammissibile.
La reciproca soccombenza giustifica l’integrale compensazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Dichiara compensate tra le parti le spese processuali del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 29 settembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2010