Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.1100 del 22/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4148-2007 proposto da:

P.F. (c.f. *****) vedova di V.R., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE BELLE ARTI 1, presso l’avvocato DE PAOLA GABRIELE, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimati –

sul ricorso 4150-2007 proposto da:

R.G. (C.f. *****), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE BELLE ARTI 1, presso L’avvocato DE PAOLA GABRIELE, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimati –

sul ricorso 4151-2007 proposto da:

R.V. (c.f. *****), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE BELLE ARTI 1, presso l’avvocato DE PAOLA GABRIELE, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimati –

sul ricorso 4152-2007 proposto da:

S.B. (c.f. *****), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE DELLE BELLE ARTI 1, presso L’avvocato DE PAOLA GABRIELE, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimati –

sul ricorso 4162-2007 proposto da:

L.B. (c.f. *****), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE BELLE ARTI 1, presso l’avvocato DE PAOLA GABRIELE, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimati –

sul ricorso 4163-2007 proposto da:

M.V. (c.f. *****), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE DELLE BELLE ARTI 1, presso l’avvocato DE PAOLA GABRIELE, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

sul ricorso 4178-2007 proposto da:

F.E. (c.f. *****) vedova di S.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE DELLE BELLE ARTI 1, presso l’avvocato DE PAOLA GABRIELE, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimati –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 13/12/2005;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/09/2009 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FELICETTI;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale dott. RICCARDO FUZIO che chiede che la Corte di Cassazione, in camera di consiglio, accolga i ricorsi per manifesta fondatezza, con le conseguenze di legge.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 L.B., M.V., P.F., vedova di V. R., R.G., R.V., S.A., S. B., F.E. avere adito la Corte di appello di Firenze che si dichiarava incompetente, con ricorso 13 dicembre 2005 riassumevano la causa dinanzi alla Corte di appello di Genova, esponendo di avere proposto, il 21 luglio 1995, un ricorso al TAR Toscana, relativo al computo dell’indennità di buonuscita e alle indennità militari di cui al D.L. n. 379 del 1987, art. 2 e alla L. n. 231 del 1990, art. 9. Il TAR, con sentenza del maggio 2003, aveva rigettato la domanda. Chiedevano la liquidazione dell’equo indennizzo, ai sensi della L. n. 89 del 2001, per l’eccessiva durata del processo. La Corte d’appello, con decreto depositato il 13 dicembre 2005, rigettava la domanda. Gli attori, con separati ricorsi a questa Corte iscritti ai nn. 4148-4150-4151-4152-4162-4123-4178 notificati alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed al Ministero dell’Economia e delle Finanze, hanno proposto gravame dinanzi a a questa Corte avverso il decreto, formulando tre motivi.

I ricorsi sono stati fissati per l’esame in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c. e il pubblico ministero ha presentato conclusioni scritte chiedendo il loro accoglimento. I ricorrenti hanno anche depositato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I ricorsi vanno riuniti per essere decisi unitariamente, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., riguardando tutti il medesimo provvedimento.

2. Con i ricorsi si denunciano la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e l’art. 6 della CEDU, artt. 24 e 101 Cost. in relazione all’art. 96 c.p.c., nonchè vizi motivazionali. I ricorrenti lamentano l’erroneità del decreto impugnato in quanto, pur riconoscendo l’eccessiva durata del processo, ha escluso il diritto all’indennizzo conseguente, ponendo sostanzialmente a carico dell’attore l’onere della prova del danno, negandone la sussistenza per essere l’azione promossa nel giudizio a quo un’azione collettiva, le cui possibilità di successo erano esigue, alla stregua della giurisprudenza formatasi dopo alcune incertezze. Si lamenta la lesione delle norme su menzionate con riferimento alla giurisprudenza CEDU e di questa Corte.

3. I ricorsi vanno dichiarati inammissibili nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, passivamente non legittimato al giudizio – essendo la domanda anteriore all’entrata in vigore della L. n. 296 del 2006 che gli ha attribuito tale legittimazione – mentre sono fondati nei confronti della Presidenza del Consiglio.

La Corte territoriale ha disatteso la domanda di equo indennizzo senza negare l’eccessiva durata del processo intrapreso dagli attori dinanzi al tribunale amministrativo, bensì unicamente sul rilievo della mancanza di danno, patrimoniale o non patrimoniale, conseguentemente sofferto dai ricorrenti. Con particolare riguardo al danno non patrimoniale, la Corte d’appello non ha negato il principio (ormai consolidato) secondo il quale tale specie di danno è da ritenersi conseguenza normale, ancorchè non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, sicchè – pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale in re ipsa – il giudice, una volta accertata e determinata la violazione relativa alla durata ragionevole del processo, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente (in questo senso Cass., sez. un., 26 gennaio 2004, n. 1339). Ha ritenuto, invece, che nel caso specifico detta presunzione di danno dovesse ritenersi superata, tenuto conto che le possibilità di accoglimento della domanda erano esigue, menzionando del tutto genericamente una giurisprudenza contraria al loro accoglimento formatasi dopo alcune incertezze.

Tale argomento, tuttavia, non vale a sorreggere la conclusione cui la Corte di merito è pervenuta. Infatti, una volta che si ammetta – come deve farsi – che in caso di lesione del diritto alla ragionevole durata del giudizio il danno non patrimoniale è da presumersi sino a prova contraria, e che quindi nessuno specifico onere di allegazione può essere addossato al ricorrente, è l’amministrazione resistente a dover fornire elementi idonei a far escludere la sussistenza di un tale danno in concreto. Infatti, la circostanza che il ricorso fosse stato proposto da una pluralità di attori e che non fossero specificati gli elementi costitutivi del danno non patrimoniale da ciascuno di essi lamentato, non poteva avere rilievo al fine di escludere l’indennizzabilita del pregiudizio, pur sempre presuntivamente sofferto dai ricorrenti. Mentre era ininfluente, a tale fine, il fatto che la causa avesse avuto un esito negativo e che tale esito fosse in qualche modo prevedibile, giacchè l’esito favorevole della lite non condiziona il diritto alla ragionevole durata del processo, nè incide di per sè sulla pretesa indennitaria della parte che abbia dovuto sopportare l’eccessiva durata della causa, salvo che essa si sia resa responsabile – e ne sia data la prova – di lite temeraria o, comunque, di un vero e proprio abuso del processo. Circostanze riguardo alle quali nel decreto impugnato non vi è specifica ed esaustiva motivazione, necessaria al fine di escludere l’indennizzabilità, non bastando ad escluderla il generico riferimento ad una non menzionata giurisprudenza contraria alle richieste del ricorrente, che parte convenuta avrebbe dovuto dimostrare specificamente pertinente a tutte le domande e già consolidata, in guisa da rendere la lite temeraria. (Cass. 26 settembre 2008, n. 24269).

4. Imponendo il principio costituzionale di ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) ed i vincoli derivanti in proposito all’ordinamento italiano dagli obblighi internazionali (art. 117 Cost.) di fare il più ampio uso possibile del potere di decidere nel merito conferito a questa Corte dall’art. 384 c.p.c., comma 2, se ne ravvisano le condizioni nel caso di specie, rilevandosi che il processo del quale si lamenta l’eccessiva durata si è protratto dal luglio 1995 al maggio 2003, e cioè sette anni e dieci mesi, cosicchè l’eccessiva durata – considerata normale quella di tre anni – è di quattro anni e dieci mesi.

Per ciò che concerne la misura dell’indennizzo, va rilevato che – considerata di mille Euro la misura ordinaria dell’indennizzo – su di esso incidono riduttivamente vari criteri, quale, nel caso specifico, l’esito sfavorevole del giudizio (Cass. 5 maggio 2006, n. 103 83) in un contesto che, se non rendeva temeraria la domanda, la rendeva fortemente aleatoria, così da potersi ritenere congruo un indennizzo complessivo, per ciascun attore, di Euro tremilaottocento, con gl’interessi legali dalla domanda.

Conclusivamente, accolto il ricorso e cassato il decreto impugnato, la Presidenza del Consiglio dei Ministri va condannata al pagamento, a ciascuno degli attori, di Euro tremilaottocento, con gl’interessi legali dalla domanda giudiziale, nonchè al pagamento delle spese dell’intero giudizio, che si liquidano in misura complessiva come in dispositivo, con distrazione, come richiesto, di quelle relative al giudizio dinanzi alla Corte di appello.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Riunisce i ricorsi nn. 4148-4150-4151-4152-4162-4163-4178/7. Li dichiara inammissibili nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Li accoglie nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Cassa il decreto impugnato e decidendo nel merito condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento, in favore, rispettivamente, di L.B., M. V., P.F., vedova di V.R., R.G., R.V., S.A., S.B. e F. E., di Euro tremilaottocento con gli interessi legali dalla domanda giudiziale, nonchè, nei confronti dell’avv. Gabriele De Paola, di Euro novecento per onorari ed Euro seicentottantacinque per diritti relativi al giudizio dinanzi alla Corte di appello, oltre ad Euro 50,00 per spese vive ed oltre alle spese generali e accessori, nonchè nei confronti di L.B., M.V., P. F., vedova di V.R., R.G., R.V., S.A. e F.E., della somma complessiva di Euro millecento per il giudizio di cassazione, di cui Euro 100,00 per spese vive, oltre alle spese generali e accessori come per legge.

Manda alla cancelleria di compiere le comunicazioni di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile, il 30 settembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2010

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