Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.1102 del 22/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22423-2004 proposto da:

MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI – DIREZIONE GENERALE PER LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

IL NUOVO CASTORO S.P.A. (c.f. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LUNG.RE ARNALDO DA BRESCIA 9, presso l’avvocato LEONE ARTURO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MINOLI PAOLO, giusta procura speciale per Notaio dott. ALFONSO COLOMBO di MILANO – Rep. n. 121.127 del 5.11.04;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4168/2003 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 06/10/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/10/2009 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato Gen. Stato ANTONIO GROMETTO che ha chiesto la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato STEFANO QUEIROLO, per delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso e deposita nota spese;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, con riferimento al primo motivo; in subordine, per il rigetto del ricorso e compensazione delle spese.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con lodo deliberato il 21 giugno 1996, il Collegio Arbitrale adito dalla s.p.a. Nuovo Castoro in base al contratto di appalto stipulato il ***** con il Ministero degli affari esteri per l’esecuzione di una serie di perforazioni e per la costruzione di alcuni sistemi di pompaggio in località *****, a ridosso dell’omonimo fiume, condannò detta amministrazione al pagamento di notevoli somme in favore della società appaltatrice sia per il protrarsi della manutenzione degli impianti di sollevamento idrico oltre i limiti contrattuali, sia per il ritardo con cui era stato versato il corrispettivo delle opere eseguite.

L’impugnazione del Ministero è stata respinta dalla Corte di appello di Roma, che con sentenza del 6 ottobre 2003 ha osservato: a) che nel caso non era ammissibile l’impugnazione del lodo per violazione delle regole di diritto inerenti l’erronea qualificazione del contratto cui non era stata riconosciuta la natura di appalto pubblico,trattandosi di arbitrato internazionale per il fatto che una parte rilevante delle prestazioni era stata eseguita all’estero (art. 832 cod. proc. civ.); b) che per quanto riguarda i vizi di motivazione poteva esserne denunciata soltanto l’inesistenza,e non anche l’insufficienza,ed a maggior ragione il diverso apprezzamento da quello auspicato dalla parte ;laddove nel caso vi era nel lodo un’ampia motivazione anche sull’interpretazione della natura del contratto recepita dagli arbitri.

Per la cassazione della sentenza il Ministero ha proposto ricorso per due motivi, cui resiste il Ministero con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il Ministero, deducendo violazione degli artt. 832, 838, 828 e 829 cod. proc. civ. censura la sentenza impugnata per aver qualificato internazionale – e quindi sottratto agli ordinari rimedi di impugnazione di cui all’art. 829 c.p.c., il lodo in questione malgrado fosse stato reso tra soggetti nazionali ed in seguito a prestazioni che per la parte preponderante dovevano essere eseguite in Italia. Rileva che per assumere la qualifica di internazionale occorre comunque interpretare in modo restrittivo il concetto di rilevanza internazionale di cui all’art. 832 cod. proc. civ., nel senso che lo stesso deve necessariamente contenere quello di prevalenza o addirittura di notevole prevalenza,soprattutto quando l’arbitrato si svolga fra soggetti nazionali : altrimenti venendo meno la ratio giustificativa della deroga che deve necessariamente consistere in un forte connotato di internazionalità con riferimento all’oggetto contrattuale, e prospettandosi una ragione di irrazionalità della norma processuale,priva del tutto di causa.

Il motivo è infondato in quanto ripropone una interpretazione della menzionata disposizione in palese contrasto con il suo stesso tenore letterale: disattesa dalla dottrina, nonchè più volte dalla giurisprudenza di questa Corte anche con riferimento alle opere commesse dal Ministero alla soc. Castoro (Cass. 3696/2007;

18460/2004; 544/2004; 18155/2002, 13648/2000). Per cui qui è sufficiente riassumerne i principi: A) nel sistema delineato dalla L. 4 gennaio 1994, n. 25, che tra le innovazioni più significative ha introdotto la fattispecie dell’arbitrato internazionale, è stata recepita la definizione dell’istituto data dalla Convenzione di Ginevra del 21 aprile 1961, resa esecutiva in Italia con L. 10 maggio 1970, n. 418; ed ispirata al modello elaborato dalla Commissione delle Nazioni Unite per il Diritto Commerciale Internazionale (UNCITRAL), prevedendo quale criterio di identificazione della natura internazionale dell’arbitrato quello della residenza o della sede effettiva all’estero di almeno una delle parti alla data della sottoscrizione della clausola compromissoria o del compromesso, ovvero, in via alternativa, quello fornito dalla previsione che una parte rilevante delle prestazioni nascenti dal rapporto al quale la controversia si riferisce debba essere eseguita all’estero. Restano così individuati due alternativi indici di internazionalità, l’uno soggettivo e l’altro oggettivo, a fronte dei quali si profila del tutto irrilevante la nazionalità dei titolari del rapporto in contestazione, ben potendo configurarsi arbitrati internazionali tra cittadini italiani e, per converso, arbitrati domestici tra stranieri; B) Per quanto particolarmente attiene al secondo criterio, che interessa nella fattispecie in esame, deve essere considerato internazionale, ai sensi del secondo inciso dell’art. 832 c.p.c., comma 1 (applicabile ai lodi pronunciati successivamente all’entrata in vigore della L. n. 25 del 1994) l’arbitrato previsto in un contratto per il quale sia da eseguire, all’estero, una parte delle prestazioni oggetto dei rapporti contrattuali, la quale si prospetti come “significativa o rilevante” – pur se non la preponderante o principale – rispetto ad altre parti di esse nel perseguimento degli interessi a base del contratto. Il riferimento alla previsione di esecuzione fuori del territorio italiano di una parte rilevante delle prestazioni nascenti dal rapporto al quale la controversia si riferisce, rende evidente che nell’intenzione del legislatore ciò che segna la natura dell’arbitrato è il dato oggettivo della rilevanza in sè: da valutare alla stregua della situazione esistente alla data del contratto o della clausola compromissoria, con la conseguenza che deve escludersi, da una parte, che siano “internazionali” gli arbitrati previsti per controversie relative a parti secondarie, accessorie o di poco conto delle prestazioni regolate in contratto da attuare all’estero, e dall’altra che sia necessaria la “prevalenza” (a maggior ragione “notevole”) della parte di prestazioni da eseguire in altro Stato; C) siffatta interpretazione è conforme anche alla finalità perseguita dal legislatore che ha caratterizzato detto arbitrato per gli elementi di estraneità previsti dall’art. 832 c.p.c., mediante una disciplina che si differenzia da quella propria dell’arbitrato interno soltanto per alcune specifiche varianti e che è fondata sulla tecnica del rinvio alle norme applicabili per quest’ultimo, con le deroghe espressamente stabilite dalle norme del capo 6^ e fatte salve le norme stabilite nelle convenzioni internazionali. E’ affermazione generalmente condivisa in dottrina che tali deroghe alle disposizioni relative all’arbitrato interno tendono a fornire soluzioni più adatte agli scambi internazionali in senso ampio, attraverso l’attenuazione del formalismo, la limitazione del controllo giurisdizionale sulla procedura e sulla decisione degli arbitri, l’attribuzione di una più ampia autonomia alle parti, cui è data facoltà di scelta delle norme applicabili dagli arbitri al merito della controversia, della lingua del procedimento, delle modalità di ricusazione degli arbitri, di quelle della deliberazione, dei limiti della impugnabilità del lodo; e che con siffatto sistema il Legislatore del 1994 ha posto in essere una regolamentazione specifica ed esaustiva di determinati arbitrati, che ha qualificato come internazionali in quanto collegati con l’ordinamento italiano in base a criteri specificamente determinati; D) Infine, pur se si adottasse il criterio della “preponderanza” o “prevalenza”, estraneo alla norma di cui si tratta, al termine andrebbe attribuita una valenza qualitativa, nel senso che “preponderante” o “prevalente”, al fine della qualificazione dell’arbitrato come internazionale, dovrebbe intendersi la prestazione che caratterizza il contratto e ne connota la specificità, ad esempio, nell’appalto, il compimento dell’opus, non già il corrispettivo.

Tanto ritenuto in diritto, è evidente l’infondatezza dell’assunto del Ministero che,da un lato,tende a proporre un parametro di riferimento del tutto diverso da quello indicato dal legislatore, non più di carattere assoluto, ma relativo, in quanto ancorato alla comparazione tra l’entità delle prestazioni da eseguire all’estero e quelle da realizzare in Italia ed alla necessità che le prime abbiano carattere di notevole prevalenza rispetto alle seconde. E dall’altro sollecita a questa Corte una interpretazione del tutto incompatibile con il dato testuale di riferimento e non consentita dalla applicazione dei criteri ermeneutici dettati dall’art. 12 disp. gen..

Si deve aggiungere,per completezza,che neppure questa interpretazione gioverebbe all’Amministrazione dello Stato,avendo la sentenza impugnata riferito che tanto il contratto originario del *****, quanto i successivi atti aggiuntivi avevano ad oggetto “l’esecuzione di una serie di perforazioni e susseguenti costruzione e messa in funzione degli opportuni sistemi di pompaggio in località *****, per l’approvigionamento idrico dei villaggi circostanti” e perciò accertato che la prestazione richiesta dal contratto alla Castoro era da eseguirsi “interamente ed esclusivamente all’estero”; per cui anche sotto questo profilo deve ritenersi corretta la qualificazione dell’arbitrato de quo come internazionale, operata dalla corte territoriale:con la conseguente sottrazione del lodo alla impugnativa di nullità per violazione di regole di diritto, ai sensi dell’art. 838 c.p.c., in difetto di diversa pattuizione tra le parti.

Il Collegio deve dichiarare (infine,manifestamente infondate le questioni di costituzionalità della norma in esame, sotto i vari profili riproposti dal Ministero (e già esaminati da questa Corte in precedenti giudizi: cfr. Cass. 18460/2004) con riferimento sia alla sua irragionevolezza, se applicata anche allorquando entrambi i soggetti del rapporto siano nazionali, sia alla sua disuguaglianza,in relazione al diverso regime delle impugnazioni consentito dall’art. 829 cod. proc. civ. per gli arbitrati “interni” sia infine alla disciplina transitoria introdotta dalla L. 25 del 1994, art. 27 (nella parte in cui prevede il divieto di impugnazione per motivi di diritto anche per i lodi, emessi in procedimenti arbitrali iniziati dopo la sua entrata in vigore, ma attivati (come nella specie) sulla base di clausola compromissoria stipulata anteriormente a detta data), che violerebbe: a) la tutela dell’affidamento delle parti in un compromesso devoluto alla competenza arbitrale,e tuttavia impugnabile per violazione di legge; b) la facoltà per queste ultime,attribuita invece alle parti dei contratti successivi alla L. del 1994, di stabilire espressamente l’impugnabilità del lodo anche per violazione delle regole di diritto. Senza considerare che rimetterebbe alla scelta della parte attrice,a conoscenza dello schema di legge in contestazione, di rendere inoppugnabile l’arbitrato ritardandone la domanda ad un momento successivo all’entrata in vigore della legge.

Ciò anzitutto perchè tendenti (le prime) sostanzialmente a conseguire una sentenza additiva del giudice della legittimità delle leggi diretta a sostituire a quello discrezionalmente adottato dal legislatore, in quanto ritenuto idoneo a rivelare il carattere di internazionalità del rapporto, un diverso criterio di collegamento ed un diverso sistema di determinazione della natura internazionale dell’arbitrato.

Quindi (con riguardo all’art. 27) perchè questa Corte e la Corte Costituzionale hanno ripetutamente affermato: a) che l’esistenza di antecedenti situazioni convenzionalmente scelte dalle parti non può paralizzare la discrezionalità del legislatore relativamente ad un mutamento, per il futuro, delle regole processuali, che valga per entrambe le parti; b) che il doppio grado di giudizio non è costituzionalmente tutelato; c) che la tutela giurisdizionale dei diritti è suscettibile di limitazioni se esse non determinano un sostanziale svuotamento del diritto di azione (nel caso neppure prospettato dal Ministero) ; d) che la violazione del principio di ragionevolezza può essere ravvisata soltanto quando le deroghe alle regole stabilite siano ingiustificate ed arbitrarie e non anche quando le scelte siano espressione della discrezionalità del legislatore. E che, d’altra parte, trattandosi nella specie di disciplina transitoria fisiologicamente destinata ad applicazione limitata nel tempo, il parametro di ragionevolezza va individuato con riferimento alla sua astratta idoneità ad interrompere la conseguenzialità logica dei principi affermati dal ; legislatore:

non rilevando le disparità di mero fatto venutesi in tal modo occasionalmente a determinare,e non potendo l’esistenza di antecedenti situazioni convenzionalmente scelte dalle parti paralizzare la discrezionalità del legislatore relativamente ad un mutamento, per il futuro, delle regole processuali, che valga per entrambe.

Cass. 3696/2007 ha infine disatteso anche l’argomentazione del Ministero,pur essa apoditticamente riproposta in questo giudizio, secondo cui la parte di un contratto sussumibile fra quelli dell’art. 832 c.p.c., in procinto di provocare un giudizio arbitrale (qualificabile internazionale), avuta conoscenza del disegno di legge in gestazione in Parlamento, ovvero, più semplicemente nelle more della sua entrata in vigore, avrebbe potuto accortamente ritardare la presentazione della domanda d’arbitrato ad un momento successivo all’entrata in vigore della L. n. 25 del 1994, così impedendo alla controparte la possibilità di reagire a fronte di un lodo errato in diritto, osservando, tra l’altro che non necessariamente colui che avesse ritardato la presentazione della domanda di arbitrato ne avrebbe potuto trarre vantaggio, dal momento che egli bene avrebbe potuto risultare soccombente; e, di conseguenza, in questo caso sarebbe stato lui a soffrire le conseguenze dell’inimpugnabilità per ragioni di diritto. E dall’altro lato che, come vi era la possibilità di ritardare la proposizione della domanda di arbitrato in attesa che la gestazione della nuova legge fosse portata a compimento, di riflesso, per l’altra parte, c’era la possibilità di affrettare la proposizione della domanda, proprio per evitare l’applicazione della nuova legge. Per cui anche sotto questo profilo,va ribadita la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, sollevata in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., della L. n. 25 del 1994, art. 27 relativamente alla disciplina transitoria della nuova normativa sull’arbitrato internazionale, nella parte in cui prevede il divieto di impugnazione per motivi di diritto anche per i lodi emessi in procedimenti arbitrali iniziati dopo la sua entrata in vigore ma attivati sulla base di clausola compromissoria stipulata anteriormente.

Con il secondo motivo del ricorsogli Ministero,deducendo violazione degli art. 823 c.p.c., commi 2 e 3 censura la sentenza impugnata per aver ritenuto denunciabile in sede di impugnazione il lodo soltanto per mancanza assoluta della motivazione,senza considerare che anche una motivazione insufficiente o contraddittoria si risolve in una motivazione carente, non consentendo di individuare il percorso attraverso il quale il giudice è pervenuto alla decisione resa. E che d’altra parte essa amministrazione aveva lamentato anche la mancanza di motivazione, esemplificativamente in ordine alla riserva n. 2, di cui era stata eccepita l’inammissibilità, perchè quella formulata fondava il calcolo su di un procedimento completamente diverso rispetto alla riserva poi effettivamente apposta; nonchè in merito alla documentazione offerta dalla parte privata.

Questo motivo è in parte inammissibile, in parte infondato:

inammissibile per difetto di autosufficienza in quanto non riferisce la vicenda in relazione alla quale gli Arbitri avrebbero dovuto dare un’adeguata risposta alle eccezioni nonchè alle difese del Ministero; nè quale sia stata la motivazione illogica o contraddittoria utilizzata al riguardo dal lodo e non rispondente ai criteri enunciati dall’art. 829 cod. proc. civ..

E la relativa trascrizione era a maggior ragione necessaria perchè questa Corte ha ripetutamente affermato in tema di giudizio arbitrale che il vizio di motivazione deducibile ai sensi dell’art. 829 c.p.c., n. 5, in relazione all’art. 823 cod. proc. civ., come motivo di nullità del lodo, è ravvisabile nelle sole ipotesi in cui la motivazione manchi del tutto, o sia a tal punto carente da non consentire di comprendere l'”iter” del ragionamento seguiti dagli arbitri e di individuare la “ratio” della decisione adottata;e perchè la sentenza impugnata ha ritenuto che tale ultima fattispecie non ricorreva nel caso concreto,in cui la decisione arbitrale era sostenuta da un’ampia e coerente motivazione sulla natura del contratto contestato dal Ministero,che anche nel giudizio di impugnazione si era limitato a contrapporvi una diversa interpretazione senza peraltro indicare neppure in quali vizi di motivazione tanto gravi da comportarne l’inesistenza fosse incorso il lodo nel sostenerne una diversa e peraltro conforme ai principi avanti enunciati.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nella misura liquidata in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il Ministero ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in favore della s.p.a.

Nuovo Castoro in complessivi Euro 4.200,00 di cui Euro 200 per esborsi; oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2010

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