Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.1104 del 22/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3099-2007 proposto da:

N.C. (c.f. *****), domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato FERRANTE MARIANO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA depositato il 03/01/2006;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/10/2009 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale dott. RICCARDO FUZIO che chiede che la Corte di Cassazione, in camera di consiglio, ove non ritenga di fissare la pubblica udienza, accolga il ricorso limitatamente alla liquidazione del danno nei limiti indicati, con le conseguenze di legge.

FATTO E MOTIVI Ritenuto che la Corte di appello di Napoli, con decreto del 3 gennaio 2006, ha condannato il Ministero della Giustizia a corrispondere a N.C. un indennizzo di Euro 500,00 oltre agli interessi legali per l’irragionevole durata di un procedimento in materia di indennità di disoccupazione agricola iniziato davanti al Tribunale di Nola con ricorso del 17 dicembre 1999, concluso con sentenza del 16 dicembre 2003; osservando: a) che il giudizio avrebbe dovuto avere durata complessiva di 2 anni, laddove si era protratto per un periodo di 4 anni; b) che tale durata eccedeva di anni 2 quella ritenuta ragionevole dalla CEDU; per cui doveva essere liquidato il danno non patrimoniale in misura equitativa corrispondente a 500 Euro oltre agli interessi.

Che la N. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso affidato ad 8 motivi, con i quali,deducendo violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e degli artt. 6 e 13 della Convenzione CEDU, degli artt. 1223 e 1226 cod. civ. nonchè insufficienza e contraddittorietà della motivazione,ha censurato la decisione: sia nella liquidazione del quantum nell’importo di soli Euro 500,sia infine in ordine alla liquidazione delle processuali;

Che il P.G. ne ha chiesto l’accoglimento per manifesta fondatezza;

A) Che il collegio ritiene, anzitutto di dichiarare inammissibili i primi 4 motivi di ricorso:il primo perchè si risolve nella trascrizione di parte del contenuto di alcune decisioni della CEDU, ed in particolar modo della sentenza 29 marzo 2006 della Grande Chambre della Corte in causa Scordino c/ltalia, nonchè in un generico addebito alla sentenza impugnata di non averne applicato i principi.

B) Con il secondo,terzo e quarto, invece, viene addebitato alla sentenza impugnata di non aver liquidato il danno non patrimoniale per mancanza di prova dello stesso,omettendo di considerare che detta prova secondo la giurisprudenza della Corte europea è in re ipsa:

laddove la Corte di appello ha recepito proprio siffatta regola,liquidando al ricorrente a tale titolo la somma di Euro 500.

C) Che devono invece essere parzialmente accolte le altre censure in quanto questa Corte ha ripetutamente affermato anche a sezioni unite:

1) che detta legge, con specifico riferimento alla riparazione del danno non patrimoniale,richiama attraverso l’art. 2056 c.c. l’art. 1226 c.c. che prevede una valutazione con criteri equitativi, i quali possono essere commisurati, in linea generale, all’equa soddisfazione prevista dall’art. 41 CEDU; e che tale regola di applicazione della L. n. 89 del 2001, per quanto attiene alla riparazione del danno non patrimoniale, ha natura giuridica, perchè inerisce ai rapporti tra la detta legge e la CEDU, onde il mancato rispetto di essa da parte del giudice del merito concretizza il vizio di violazione di legge denunziabile a questa Corte di legittimità; 2) che conseguentemente spetta al giudice della CEDU individuare tutti gli elementi di tale fatto giuridico,che pertanto finisce con l’essere “conformato” dalla Corte di Strasburgo, la cui giurisprudenza si impone per quanto attiene all’applicazione della L. 89 del 2001, ai giudici italiani:

come del resto confermato dalla stessa Corte europea,secondo la quale “deriva dal principio di sussidiarietà che le giurisdizioni nazionali devono, per quanto possibile, interpretare ed applicare il diritto nazionale conformemente alla Convenzione”; 3) che il giudice nazionale “può allontanarsi da un’applicazione rigorosa e formale dei criteri adottati dalla Corte”, ma pure conservando un margine di valutazione,non può liquidare somme che non siano in “relazioni ragionevoli con la somma accordata dalla Corte negli affari simili”, restando quindi fermo il suo dovere di “conformarsi alla giurisprudenza della Corte, così accordando somme conseguenti”; 4) che i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte europea non possono, in conclusione, essere ignorati dal giudice nazionale anche se questi può discostarsi in misura ragionevole dalle liquidazioni effettuate a Strasburgo in casi simili: con conseguente dovere di ufficio del giudice di merito di accertare i casi simili e le eque riparazioni del danno non patrimoniale in essi operate dalla Corte di Strasburgo, avvalendosi al riguardo della collaborazione delle parti, ed in particolare dell’attore,che ha interesse a fornirgli ogni elemento utile alla determinazione del danno nella misura da lui richiesta (come del resto in altra materia consente la L. n. 218 del 1995 nell’accertamento della legge straniera). Ritenuto che nel caso concreto il provvedimento impugnato non si è attenuto a questi principi avendo liquidato come danno non patrimoniale causato da un giudizio durato circa 4 anni, in cui ha ravvisato, per quanto interessa la ricorrente, un ritardo di 2 anni, un indennizzo di Euro 500, per l’entità dell’oggetto e soprattutto per la modestia della posta in gioco costituita da compensi residuali rispetto a quelli già liquidati dall’ente datore di lavoro.

Questa Corte, infatti, considera che la modestia della posta in gioco giustifichi uno scostamento rispetto al parametro di mille euro per anno di non ragionevole durata del processo, ma non al di sotto della soglia di 750 Euro, che appare invece alla Corte generalmente adeguato in particolare nei casi – come quello in considerazione – in cui la domanda di giustizia risulti accolta in modo definitivo in un ulteriore periodo che non superi quello di altri tre anni, oltre il quale sia invece giustificato ritenere che l’irragionevole durata del processo abbia comunque provocato un pregiudizio risarcibile come danno non patrimoniale nella misura di almeno Euro mille per ogni anno di ulteriore irragionevole protrazione del processo.

D) Infondata è infine anche la censura che verte sul punto del mancato riconoscimento del ed. bonus, in quanto nella determinazione del risarcimento dovuto, mentre la durata della ingiustificata protrazione del processo è un elemento obiettivo che si presta a misurare e riparare un pregiudizio non patrimoniale tendenzialmente sempre presente ed eguale, l’attribuzione di una somma ulteriore postula che nel caso concreto quel pregiudizio, a causa di particolari circostanze specifiche, sia stato maggiore.

Sicchè, quando il giudice non attribuisce il cd. bonus e perciò nega che quello specifico pregiudizio ulteriore sia stato sopportato, la critica del punto della decisione non può essere affidata alla sola contraria postulazione che il bonus spetta ratione materiae, era stato richiesto e la decisione negativa non è stata motivata, ma deve avere specifico riguardo alle concrete allegazioni e se del caso alle prove delle allegazioni addotte nel giudizio di merito.

Il decreto impugnato va,pertanto, cassato in relazione alle censure accolte; ed assorbiti i restanti motivi, poichè non necessitano ulteriori accertamenti il Collegio deve decidere nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ. liquidando alla N. un indennizzo che tuttavia data la modestia della posta in gioco, già evidenziata dalla Corte di appello, viene determinato in misura inferiore allo standard minimo indicato dalla Corte Edu di Euro 1000 per anno in base al parametro minimo di 750,00 Euro,per ogni anno di ritardo e perciò nella misura complessiva di Euro 1.500,00, con gli interessi legali dalla data della domanda giudiziale; nonchè a rifondere al ricorrente le spese processuali che si liquidano come da dispositivo da distrarre a favore dell’avvocato Mariano Ferrante, che ha dichiarato d’aver anticipato le spese e non percepito gli onorari.

Essendo stato il ricorso accolto soltanto in parte,il Collegio ritiene di compensare tra le parti la metà delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte, accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione,cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., condanna il Ministero della Giustizia a corrispondere a N.C. la somma di Euro 1.500,00 con gli interessi dalla data della domanda; la condanna inoltre al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di merito liquidate in complessivi Euro 890,00, di cui Euro 370,00 per diritti e 470,00 per onorari, e delle spese del giudizio di cassazione in ragione di metà, liquidate nell’intero in Euro 700,00, di cui Euro 600,00 per onorari, unitamente al rimborso forfetario delle spese generali ed agli accessori di legge. Dichiara interamente compensata tra le parti la restante metà.

Dispone la distrazione delle spese suddette a favore dell’avvocato Mariano Ferrante.

Manda alla cancelleria per le comunicazioni di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2010

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