Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.1109 del 22/01/2010

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15063-2008 proposto da:

S.C. (c.f. *****), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE, DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARRA MARIA TERESA, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il 17/04/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/10/2009 dal Presidente Dott. PAOLO VITTORIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. S.C., con ricorso alla corte d’appello di Roma, depositato nel 2005, ha proposto una domanda di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo.

L’attore ha dedotto che un giudizio da lui iniziato davanti al giudice del lavoro di Torre Annunziata, con ricorso depositato il 19.1.1995, per ottenere il riconoscimento degli interessi e la rivalutazione su un assegno mensile di assistenza, erogatogli in ritardo, era durato in primo grado sino al 13.7.2000 ed in appello dal 4.5.2001 al 13.4.2004.

La corte d’appello, con decreto 17.4.2007, ha accolto in parte la domanda.

Ha ritenuto che, rispetto ad una durata ragionevole di quattro anni e sei mesi, il processo si fosse protratto per circa 8 anni e 5 mesi, ma che per una frazione di tempo di due anni la ulteriore durata del processo era addebitabile alla parte, che, aveva chiesto successivi rinvii.

Ha concluso affermando che la ingiustificata protrazione del processo la si dovesse misurare in due anni ed ha accordato un’equa riparazione di Euro 1.400,00 in ragione di 700,00 euro per anno, valutando da un lato la natura previdenziale del beneficio, dall’altro il valore della causa non particolarmente rilevante.

2. – S.C. ha chiesto la cassazione del decreto, con ricorso notificato il 23.5.2008.

Il Ministero della giustizia non vi ha resistito.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorso contiene tre motivi, a conclusione di ciascuno dei quali è formulato un quesito di diritto.

2. – Il secondo motivo è per sè inammissibile.

Il quesito che lo conclude ed è posto alla Corte è se il giudice deve disapplicare la L. n. 89 del 2001 quando il precetto rilevante nel caso concreto si presenti in contrasto con la CEDU. Si tratta di quesito generico, perchè non vi si indica il punto in relazione al quale la norma dettata dalla L. n. 89, art. 2 dovrebbe essere applicata e sotto che aspetto si presenti in contrasto con la Convenzione, contrasto che peraltro non potrebbe consentire al giudice di disapplicare la norma, ma gli farebbe onere di sollevare questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 117 Cost..

3. – Il terzo motivo è parimenti inammissibile.

E’ rivolto a criticare la decisione nel punto in cui la corte d’appello ha considerato dovuti ad inattività della parte l’insieme dei rinvii chiesti dalla parte.

Il quesito che accompagna il motivo è il seguente: Nell’aver imputato a responsabilità della parte, il perdurare di due anni di giudizio impiegati per rinvii, la ragione per la quale la motivazione è insufficiente a giustificare la decisione circa la mancata contabilizzazione di tale periodo nel computo del ritardo.

Orbene, una volta che la corte d’appello ha indicato le date dei rinvii e ne ha addebitato la necessità al comportamento processuale della parte, il quesito avrebbe dovuto includere la esposizione delle ragioni per cui erano stati richiesti, perchè solo la allegazione di tali ragioni poteva consentire un sindacato sulla valutazione espressa dal giudice.

4. – La cassazione del decreto – con il primo motivo – è chiesta per il vizio di violazione di norme di diritto e di difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione agli artt. 6, p1. CEDU e L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2).

E’ chiesta sotto più profili: della durata del giudizio presupposto cui deve essere rapportata l’equa riparazione, della misura della liquidazione del danno e del mancato riconoscimento del cd. bonus.

Per questi aspetti il ricorso non è fondato.

5. – Sotto un primo aspetto si sostiene che il danno avrebbe dovuto essere commisurato all’intera durata del processo, perchè, una volta superata quella ragionevole, è l’intera durata del giudizio che rileva ai fini del calcolo dell’entità del danno e della sua liquidazione.

Questa tesi è però contraria a quella seguita dalla costante giurisprudenza di questa Corte, che prende invece in considerazione la sola misura della protrazione del processo oltre la durata ragionevole.

6. – Sotto un secondo aspetto, la Corte richiama il principio, che è venuta di recente affermando, secondo il quale, da parte del giudice di merito, uno scostamento rispetto al parametro di mille euro per anno di non ragionevole durata del processo, ma non al di sotto della soglia di 750 Euro, sia giustificato quando ricorrano fattori, quali ad esempio la modestia della posta in giuoco ed una durata del processo che non abbia superato di oltre tre anni quella ordinaria, mentre per il periodo ulteriore uno scostamento da quel più alto parametro non si giustifichi.

Questo, a meno che la presenza di specifici tratti della concreta vicenda processuale valgano a rendere plausibile la valutazione, che un tempestivo esito del giudizio rivestisse per la parte una sostanziale diversa e minore o maggiore importanza, che non nella generalità dei casi.

Tutto ciò, salvo sempre il caso che la stessa sopportazione di un pregiudizio d’ordine non patrimoniale non sia affatto da escludere, per doversi ritenere che la parte abbia agito nella – piena consapevolezza del proprio torto.

Nel caso in esame, dunque, la liquidazione di 700,00 Euro per anno di superamento del biennio appare giustificata ed il ricorso sul punto va conseguentemente rigettato.

Quanto infine all’ultimo aspetto, quello che concerne il cd. bonus, la Corte considera che legittimamente non sia stato riconosciuto, perchè, nella determinazione del risarcimento dovuto, mentre la durata della ingiustificata protrazione del processo è un elemento obiettivo che si presta a misurare e riparare un pregiudizio non patrimoniale tendenzialmente sempre presente ed eguale, l’attribuzione di una somma ulteriore postula che nel caso concreto quel pregiudizio, a causa di particolari circostanze specifiche, sia stato maggiore.

Sicchè, quando il giudice non attribuisce il cd. bonus e perciò nega che quello specifico pregiudizio ulteriore sia stato sopportato, la critica del punto della decisione non può essere affidata alla sola contraria postulazione che il bonus spetta ratione materiae, era stato richiesto e la decisione negativa non è stata motivata, ma deve avere specifico riguardo alle concrete allegazioni e se del caso alle prove delle allegazioni addotte nel giudizio di merito.

Del che nel quesito non v’è traccia.

7. – Il ricorso è in conclusione rigettato.

Il ministero non ha svolto attività di difesa e la Corte non si deve pronunciare sulle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 23 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2010

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472