LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUPI Fernando – rel. Presidente –
Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –
Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –
Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
A.C. e S.D.;
– intimati –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, sez. 5^, n. 65, depositata il 7.5.2007;
Letta la relazione scritta redatta dal consigliere relatore dott. Aurelio Cappabianca;
constatata la regolarità delle comunicazioni di cui all’art. 380 bis c.p.c., comma 3.
FATTO E DIRITTO
Premesso:
che i contribuenti proposero distinti ricorsi avverso l’avviso di accertamento irpef d ilor, relativo all’anno d’imposta 1993, ed all’avviso di rettifica iva, per l’anno d’imposta 1994, entrambi emessi sulla scorta delle risultanze di p.v.c. della G.d.F. basate su indagini bancarie eseguite in esito al riscontro di gravi irregolarità nelle scritture contabili;
che l’adita commissione tributaria, riuniti i ricorsi, li accolse, con decisione confermata, in esito all’appello dell’Agenzia, dalla commissione regionale;
che, nel suo nucleo essenziale, la decisione impugnata risulta così motivata: “L’Ufficio sostiene che è nel suo potere condividere le verifiche della G.d.F,: ciò è esatto, ma, poichè l’accertamento va motivato, l’Ufficio deve rendere conto del perchè le condivide, specie a fronte della dichiarazione del contribuente di non voler firmare il processo verbale per non essere stato posto in grado di controllarne il contenuto, stante che la documentazione fiscale gli era stata sottratta. D’altra parte, il contribuente ha fornito in giudizio molti elementi relativi ai recuperi analitici in base ai quali è lecito ritenere tali recuperi del tutto infondati. Quanto agli accertamenti bancari è vero che lo stesso ufficio ammette che molti assegni erano intestati a fornitori della ditta e riportati nelle scritture contabili. Tali assegni non potevano pertanto, essere considerati ai fini degli accertamenti induttivi. Eccessiva rispetto a quanto ritenuto dallo stesso ufficio nell’anno precedente appare poi la percentuale di ricarico del 20%. in definitiva allo stato degli atti si può solo dire che l’accertamento è stato perplesso carente di istruttoria e oltremodo confuso. Ne consegue che anche se come effettivamente notato dalla sentenza di primo grado i ricavi dichiarati sono esigui rispetto alla movimentazione non si può ritenere che l’accertamento così come costruito possa fondare la pretesa tributaria …”;
rilevato:
– che avverso tale decisione l’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione in sette motivi;
– che i contribuenti non si sono costituiti;
osservato:
– che, con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia ha dedotto “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56” e formulato il seguente quesito di diritto: “Dica la Corte se sia legittimo l’avviso di accertamento emesso dall’ufficio ai fini II.DD. 1993 ed Iva 1994, la cui motivazione faccia riferimento per relationem al p.v.c. redatto dalla G.d.F., richiamato nell’avviso stesso e, comunque, conosciuto dalla parte, che non lo aveva firmato, ma alla quale fu regolarmente notificato. Dica, inoltre, la Corte se la mancata firma, da parte del contribuente verificato, del p.v.c. redatto dalla G.d.F., perchè formato sulla base di documentazione bancaria asseritamene non conosciuta dal contribuente, possa determinare l’illegittimità dell’avviso di accertamento successivamente emanato dall’ufficio facendo riferimento per relationem al detto p.v.c. non firmato, quando la documentazione esaminata in sede di verifica sia stata restituita alla parte a conclusione delle indagini ed il p.v.c. sia stato regolarmente notificato e conosciuto rendendo così possibile l’esercizio del diritto di difesa in sede di contraddittorio, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32”;
– che, con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia ha dedotto “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, punto 2, e art. 7, comma 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, nonchè dell’art. 2728 c.c.” e formulato il seguente quesito: “… se in caso di avviso di accertamento ai fini II.DD. e IVA nei confronti di una ditta individuale, in caso di indagini bancarie sui conti correnti della contribuente, il movimento bancario di prelievo e di versamento pone in capo all’ufficio una presunzione di reddito con inversione dell’onere della prova in ordine alla circostanza dell’inesistenza dello stesso ovvero della sua registrazione in contabilità, in capo al contribuente”;
con il terzo motivo di ricorso, l’Agenzia ha dedotto “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, commi 4 e 5” e formulato il seguente quesito: “se possa essere annullato dalla C.T.R. un avviso di accertamento ai fini delle II.DD. 1993 allorchè, malgrado l’invito al contribuente di fornire notizie e dati nonchè di esibire gli atti, i documenti, i libri ed i registri, in risposta agli inviti, questi vengano depositati soltanto nel successivo giudizio senza dichiarazione, comunque contestualmente, di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile”;
– che, con il quarto motivo di ricorso, l’Agenzia ha dedotto “omessa motivazione su un punto decisivo della controversia”, in relazione all’affermazione “il contribuente ha fornito in giudizio molti elementi relativi ai recuperi analitici in base ai quali è lecito ritenere tali recuperi del tutto infondati”:
– che, con il quinto motivo di ricorso, l’Agenzia ha dedotto “omessa motivazione su un punto decisivo della controversia”, in relazione all’affermazione “Quanto agli accertamenti bancari è vero che lo stesso ufficio ammette che molti assegni erano intestati a fornitori della ditta e riportati nelle scritture contabili. Tali assegni non potevano pertanto, essere considerati ai fini degli accertamenti induttivi. Eccessiva rispetto a quanto ritenuto dallo stesso ufficio nell’anno precedente appare poi la percentuale di ricarico del 20%”;
– che, con il sesto motivo di ricorso, l’Agenzia ha dedotto “violazione e falsa applicazione del D.P.R. 19 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d, nonchè del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2 e art. 35, comma 3, e dell’art. 277 c.p.c.” e formulato il seguente quesito: “… se in presenza di un accertamento di maggiori ricavi risultante da elementi presuntivi, l’eventuale ritenuta eccessività della percentuale di ricarico di redditività applicata dall’ufficio comporti o meno l’obbligo per le Commissioni tributarie quali giudice del merito, di rideterminare l’effettiva quantità dei ricavi non dichiarati anzichè procedere all’annullamento integrale del rilievo”;
– che, con il settimo motivo di ricorso, l’Agenzia ha dedotto “insufficiente motivazione su un unto decisivo della controversia.
Motivazione contraddittoria”, in relazione all’affermazione “In definitiva allo stato degli atti si può solo dire che l’accertamento è stato perplesso carente di istruttoria e oltremodo confuso. Ne consegue che anche se come effettivamente notato dalla sentenza di primo grado i ricavi dichiarati sono esigui rispetto alla movimentazione non si può ritenere che l’accertamento così come costruito possa fondare la pretesa tributaria”;
osservato:
– che il primo motivo di ricorso è manifestamente fondato;
– che invero, sulla base dei consolidati principi della giurisprudenza di questa Corte, la motivazione degli atti di accertamento per relationem, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla G.d.F. nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura, che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (cfr. Cass. 2780/01, 10205/03, 25146/05, 1236/06);
che manifestamente fondati sono, anche, il secondo ed il quarto motivo di ricorso, che, per la connessione, possono essere congiuntamente esaminati;
che deve, infatti, rilevarsi che – mentre, secondo consolidata giurisprudenza di questa corte (che non vi è motivo di disattendere), il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, come reso palese dal loro tenore letterale e come confermato dalla giurisprudenza di questa corte (cfr. Cass. 11750/08, 138189/07, 18851/03, 6232/03, 8422/02, 10662/01, 9946/00), pongono una presunzione legale, ancorchè semplice, in forza della quale, sia i versamenti sia i prelevamenti operati sui conti correnti bancari vanno imputati a ricavi conseguiti dal contribuente nella propria attività, se questi non dimostri di averne tenuto conto nella base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito – dalla decisione impugnata non emergono indicazioni circa la ricorrenza di concreti elementi probatori atti a superare l’operatività della richiamata presunzione;
– che manifestamente fondato è, altresì, il sesto motivo di ricorso;
che invero, secondo consolidati canoni ermeneutici, il giudizio tributario non è annoverabile tra quelli di impugnazione – annullamento, ma tra quelli di impugnazione-merito, in quanto – essendo il giudice tributario giudice investito della cognizione, non solo dell’atto, ma anche del rapporto – detto giudizio è diretto, non solo alla mera eliminazione dell’atto impugnato, ma, anche, alla pronunzia di una decisione di merito sostitutiva dell’accertamento dell’amministrazione finanziaria (ovvero della dichiarazione del contribuente); con la conseguenza che il giudice, che ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi, non formali, ma di carattere sostanziale, non deve limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve esaminare nel merito la pretesa tributaria, e, operando una motivata valutazione sostitutiva, eventualmente ricondurla alla corretta misura entro i limiti posti dalle domande di parte (cfr. Cass. 28.770/05, 3309/04, 4280/01, 16171/00);
ritenuto:
che – alla luce degli esposti rilievi ed atteso che la fondatezza dei motivi di ricorso sopra esaminati comporta, in considerazione del carattere pregiudiziale delle questioni ad essi sottese, l’assorbimento degli altri – il ricorso va accolto nelle forme di cui agli artt. 375 e 380 bis c.p.c.;
– che la sentenza impugnata va, dunque, cassata, con rinvio della causa, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio.
P.Q.M.
la Corte: accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2010