LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –
Dott. MERONE Antonio – rel. Consigliere –
Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –
Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –
Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
OLDMET SRL (gia’ Metalli Preziosi SPA) in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE PARIOLI 43, presso lo studio dell’avvocato D’AYALA VALVA FRANCESCO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANNOTTA MARIO, giusta delega in calce;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 252/2005 della COMM. TRIB. REG. di MILANO, depositata il 04/04/2006;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 05/11/2009 dal Consigliere Dott. MERONE Antonio;
udito per il ricorrente l’Avvocato ARENA, che ha chiesto l’accoglimento;
udito per il resistente l’Avvocato D’AYALA VALVA, che ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUZIO Riccardo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
La Oldmet s.r.l., (gia’ Metalli Preziosi s.p.a.) ha impugnato un avviso di rettifica della dichiarazione iva relativa all’esercizio 1998, con il quale fatture false l’ufficio ha recuperato l’imposta detratta in relazione a n. 7 fatture, emesse dalla Ronaldo Metalli s.r.l., ritenute soggettivamente false.
I giudici di merito, in primo ed in secondo grado, hanno accolto il ricorso della societa’.
L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza della CTR, indicata in epigrafe, sulla base di due motivi.
La societa’ resiste con controricorso ed ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Preliminarmente, va rigettata l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso per tardivita’, formulata dalla parte resistente, in quanto la difesa della parte ricorrente ha depositato (in data 26 ottobre 2009) una attestazione (datata 23.10.2009) dalla quale risulta che il ricorso stesso e’ stato consegnato tempestivamente all’ufficiale giudiziario l’11 ottobre 2006, ultimo giorno utile per impugnare la sentenza della CTR, notificata il 27 giugno 2006.
Nel merito, entrambi i motivi di ricorso sono inammissibili.
Con il primo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19, 21, 54 e 55 e dell’art. 2697 c.c., l’amministrazione ricorrente pone alla Corte il seguente quesito di diritto: “se nell’ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria contesti la c.d. inesistenza soggettiva di operazioni fatturate, sulla scorta di elementi di fatto sufficienti a far presumere la suddetta falsita’ anche solo soggettiva delle fatture contabilizzate, gravi sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettivo compimento dell’operazione eseguita con il soggetto indicato in fattura”. E’ evidente che in astratto, secondo la giurisprudenza di questa Corte il quesito meriterebbe risposta affermativa, nel senso che se “l’Amministrazione fornisca validi elementi di prova per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni inesistenti, e’ onere del contribuente dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni, tenendo presente, tuttavia, che l’Amministrazione non puo’ limitarsi ad una generale ed apodittica non accettazione della documentazione del contribuente, essendo suo onere quello di indicare specificamente gli elementi, anche indiziari, sui quali si fonda la contestazione” (Cass. 21953/2007). Il quesito pero’ da per scontato un presupposto di fatto che e’ stato escluso dalla CTR, e cioe’ che “gli elementi di fatto” siano sufficienti a far presumere l’esistenza delle operazioni cosi’ come fatturate. La parte ricorrente assume che gli elementi di fatto offerti fossero sufficienti a far presumere la falsita’, almeno soggettiva, delle fatture. Sulla base di questo assunto, indimostrato e contestato dai giudici di merito, formula un quesito giuridico che in astratto meriterebbe risposta positiva, mentre in concreto non puo’ ricevere alcun tipo di risposta perche’ sganciato dalla realta’ processuale. Il quesito non e’ funzionale alla definizione della controversia, perche’ non consente, eventualmente, di cassare la decisione della CTR, che fa leva (ancor prima che sulla regola della distribuzione dell’onere della prova) sulla insussistenza del presupposto di fatto in base al quale la parte ricorrente assume che l’onere probatorio graverebbe sul contribuente. Quindi, il motivo e’ inammissibile per la inadeguatezza del quesito.
Anche il secondo motivo di ricorso e’ inammissibile perche’ la denuncia del vizio motivazionale non e’ accompagnata dal quesito – sintesi che riassuma e circoscriva, al pari del quesito di diritto, il fatto ricostruito o demolito sulla base di argomenti asseritamente non adeguati o contraddittori, con la specifica spiegazione del perche’ si tratti di fatto “decisivo per il giudizio”. Come noto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, alla quale il Collegio aderisce, “il complesso normativo costituito dall’art. 366 c.p.c., n. 4, dell’art. 366 bis c.p.c. e dell’art. 375 c.p.c., n. 5, – nel testo risultante dalla novella recata dal D.Lgs. n. 40 del 2006 – deve interpretarsi nel senso che, anche per quanto concerne i vizi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione del motivo deve essere accompagnata da un momento di sintesi che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’.
In base a siffatta interpretazione, la norma di cui all’art. 366 bis c.p.c., si sottrae, “in parte qua”, a censure di incostituzionalita’ in riferimento agli artt. 76, 77, 24, 111 Cost., ed all’art. 117 Cost., comma 1, (quest’ultimo parametro in relazione all’art. 6, paragrafo 1, della CEDU), giacche’:
1) quanto alla supposta violazione degli art. 76 e 77 Cost., l’onere imposto al ricorrente assolve ad una funzione servente rispetto ai compiti di nomofilachia della Corte di Cassazione, cosi’ inscrivendosi nell’oggetto e nelle finalita’ ispiratrici della Legge Delega n. 80 del 2005;
2) quanto al preteso contrasto con gli artt. 76, 77, 24, 111 Cost., e l’art. 117 Cost., comma 1, non sussiste una limitazione del diritto di accesso al giudice, tenuto conto che il requisito di contenuto – forma (consistente nel ridurre a sintesi il complesso degli argomenti critici sviluppati nella illustrazione del motivo) costituisce un mezzo di esercizio di detto diritto nell’ambito di un giudizio di impugnazione concepito primariamente come mezzo di verifica della legittimita’ della decisione, sicche’ il requisito medesimo si accorda intrinsecamente con lo scopo e con la funzione del giudizio per il quale e’ stato imposto come onere a carico della parte” (Cass. 2652/2008).
La inammissibilita’ dei motivi di ricorsole preclude l’esame del merito della vicenda processuale assorbe ogni altra eccezione e deduzione prospettata anche da parte della difesa della societa’ resistente.
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in complessivi Euro 5200,00 (cinquemiladuecento/00), di cui Euro cinquemila/00 per onorario, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.
Cosi’ deciso in Roma, il 5 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2010