Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.1154 del 22/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. DI DOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro in carica, ed Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici sono domiciliati ope legis in Roma, via dei Portoghesi 12;

– ricorrenti –

contro

Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, in persona del legale rapp.te pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma via Cardinal De Luca 10 presso lo studio dell’avv. Giontella Marco, che la rappresenta e difende giusta procura speciale autenticata dal notaio Eraldo Scarano – rep. not. 119561 – in data 28 settembre 2005;

– controricorrente/ric. inc. –

avverso la sentenza n. 64.15.04, depositata in data 13.10.04, della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18.11.09 da Consigliere Dott. Giovanni Carleo;

sentita la difesa svolta dall’Avvocatura Generale dello Stato, in persona dell’avv. Daniela Giacobbe, per conto del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata con ogni consequenziale statuizione anche in ordine alle spese processuali.

Udita la difesa svolta dall’avv. Giontella Marco per conto del controricorrente che ha concluso per il rigetto del ricorso con vittoria di spese.

Udito il P.G. in persona del dr. Umberto Apice che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale ed il rigetto di quello incidentale con le pronunce consequenziali.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna applicava al reddito prodotto nell’esercizio dall’1.10.97 al 30 settembre 1998 l’aliquota ordinaria Irpeg del 37%. Successivamente, ritenendo l’applicabilità della più ridotta aliquota del 18,5% ai sensi del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, confermata dalla fruizione della disposizione di cui alla L. n. 1745 del 1962, art. 10 bis, prevedente l’esonero dalle ritenute per i dividendi percepiti dalle società bancarie, la Fondazione chiedeva il rimborso dell’Irpeg pagata in eccedenza ed a fronte de silenzio rifiuto dell’Amministrazione presentava ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Ravenna, la quale lo accoglieva. Proponeva appello l’Agenzia delle Entrate. La Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna dichiarava inammissibile l’impugnazione per omessa notifica affermando, in via residuale, sia pure nella sola motivazione, che la richiesta della Fondazione appariva comunque legittima, così come sancito dai giudici di prime cure. Avverso la detta sentenza hanno quindi proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate. La Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna resiste con controricorso proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato. I ricorrenti hanno depositato memoria difensiva ex art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via preliminare, vanno riuniti i ricorsi, quello principale proposto dai ricorrenti e quello incidentale proposto dalla controricorrente, in quanto avanzati avverso la medesima sentenza.

Sempre in via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, posto che lo stesso deve essere ritenuto privo della necessaria legittimazione ad impugnare la sentenza di secondo grado in quanto il giudizio di appello, al quale non aveva partecipato, è stato introdotto dopo i primo gennaio del 2001 nei confronti della sola Agenzia delle Entrate. A riguardo, è appena il caso di osservare che la data indicata coincide con quella in cui è divenuta operativa l’istituzione dell’Agenzia delle entrate, con conseguente successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, per effetto della quale deve ritenersi che la legittimazione “ad causam” e “ad processum” nei procedimenti introdotti successivamente alla predetta data spetti esclusivamente all’Agenzia (Sez. Un. n. 3118/06).

Giova aggiungere, con riferimento ai procedimenti introdotti precedentemente alla detta data come nel caso di specie, che questa Corte ha avuto modo di affermare il principio secondo cui, pronunciata la sentenza di primo grado nei confronti del dante causa, il giudizio di appello da quest’ultimo consapevolmente disertato e celebrato senza che alcuna delle parti reclamasse l’integrazione del contraddittorio, con successiva sentenza nei confronti del solo successore – così come è avvenuto nella vicenda processuale in esame – consente di ritenere integrati i presupposti per l’estromissione dell’alienante pur in assenza di un provvedimento formale (cfr. Cass. 10955/07).

Alla luce di tali considerazioni, risulta pertanto evidente come nella vicenda processuale in esame il Ministero, il quale non aveva partecipato al procedimento di appello, introdotto con atto depositato in data 1.7.02, non era legittimato a ricorrere in cassazione avverso la sentenza impugnata, onde la declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto.

Passando all’esame del ricorso presentato dall’Agenzia, giova evidenziare che la sua prima doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e falsa applicazione degli artt. 156 e ss. c.p.c., art. 327 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16 in relazione all’art. 60 c.p.c., n. 3 nonchè sotto il profilo della motivazione insufficiente e contraddittoria, si fonda sulla premessa che la C.T.R. avrebbe sbagliato quando ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello non ritenendo provata la tempestività della notificazione dell’atto di appello nei termini di cui all’art. 327 c.p.c.. Ed invero – così continua la ricorrente va considerato che l’atto di appello ili consegnato all’Agenzia postale di Ravenna succ. 4, ai fini della notifica, in data 4 giugno 2002, a fronte di una sentenza depositata il 20 aprile 2001 e mai notificata. Pertanto, alla stregua dei documenti depositati in appello (nota Agenzia delle Entrate del 15 giugno 2004), l’atto fu consegnato tempestivamente poichè il termine scadeva il successivo 5 giugno 2002. Senza considerare che la controparte si costituì comunque in giudizio.

La censura non coglie nel segno. Al riguardo, mette conto di premettere che in genere la notificazione di un atto del processo, quale attività impeditiva per il notificante della decadenza dal potere processuale di compierlo entro un termine perentorio, si perfeziona al momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario in quanto e solo questa la formalità direttamente impostagli dalla legge (Cass. 24942/06). Ed invero, sull’abbrivio della nota sentenza 26-11-02 n. 477 della Corte Costituzionale, questa Corte, partendo dalla premessa che non può ridondare sul mittente la circostanza che Patto venga portato in ritardo a conoscenza del destinatario tramite il servizio postale, ha ribadito la scissione degli effetti della notifica, a seconda che gli stessi riguardino il notificante o il destinatario dell’atto, ed ha quindi statuito, in numerosissime decisioni, che gli effetti della notificazione a mezzo posta devono ricollegarsi per il notificante al momento della semplice consegna dell’atto stesso all’ufficiale giudiziario o altro soggetto abilitato alla notificazione in quanto le attività ulteriori non dipendono più dalla sua diligenza ma dall’attività di terzi (tra le tantissime, cfr. Cass. 101/05, 113/04, 11686/03). Tale orientamento è peraltro pienamente in linea con i dettato di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, n. 5 prima parte, applicabile in tema di contenzioso tributario, secondo cui “qualunque comunicazione o notificazione a mezzo del servizio postale si considera fatta nella data della spedizione”.

Ciò, fermo restando che il consolidamento di tale effetto anticipato per il notificante (al fine del rispetto del termine di impugnazione) dipende dal perfezionamento del procedimento notificatorio nei confronti del destinatario che si verifica con il compimento dell’ultimo degli adempimenti previsti, cioè con la spedizione della raccomandata con avviso di ricevimento, salva la necessità di allegazione della cartolina stessa (Cass. 3685/06).

Ciò premesso, anche se fosse vero che la raccomandata, contenente l’atto di appello, già depositata presso l’Agenzia postale di Ravenna il 4 giugno 2002, vale a dire il giorno precedente alla scadenza del termine per l’impugnazione, fu poi effettivamente consegnata al destinatario il successivo 6 giugno determinando il consolidamento dell’effetto anticipato per il notificante, non può trascurarsi che tale circostanza risulterebbe dal mod. 28 del portalettere così come attestato dal Direttore delle Poste di Ravenna succ. 4 con nota del 22 giugno 2004, data quest’ultima successiva alla sentenza impugnata che era stata già pronunciata il 9 giugno 2004. Ciò significa che, al momento della decisione, quando il Collegio di appello statuiva che non risultava in atti nè era stato provato che l’appello fosse stato notificato nel termine di un anno e 46 giorni, tale affermazione era assolutamente fondata non essendo emerso dalle risultanze di causa alcun elemento probatorio di segno contrario.

Ne deriva che, non sussistendo al momento della deliberazione prova alcuna a sostegno della tempestività dell’impugnazione proposta nei confronti della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, la declaratoria di inammissibilità dell’appello era ed è esente da ogni censura di legittimità – da far valere utilmente in questa sede – configurandosi, nel caso, nell’accertata ricorrenza dei necessari presupposti legge, la proponibilità di un motivo revocatorio straordinario ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 3.

Ne deriva l’infondatezza della censura di legittimità in esame. Nè rileva in senso contrario la circostanza che la contribuente sì costituì comunque in giudizio. Ed invero, vertendosi in materia di inammissibilità dell’impugnazione per superamento del termine lungo fissato dalla legge (art. 327 c.p.c.) e non di nullità della notifica, non può trovare applicazione il criterio del raggiungimento dello scopo, invocato dall’Amministrazione.

E ciò, in quanto l’inammissibilità, espressamente prevista da legislatore nel caso di specie – che costituisce una sanzione collegata dal legislatore a determinati inadempimenti delle parti oppure alla mancanza di elementi essenziali di un atto, tale da renderlo inidoneo ad acquisire valenza giuridica – non è disciplinata dalla normativa generale sulle nullità nel cui ambito rubricato “della nullità degli atti” è invece operante la norma citata. Consegue che in tale ipotesi, in cui l’inammissibilità è conseguenza normativamente stabilita, deve escludersi l’applicabilità dell’art. 156 c.p.c. onde l’infondatezza, anche sotto tale profilo, della doglianza in esame.

Deve essere infine dichiarata l’inammissibilità del secondo motivo di impugnazione, fondato sulla violazione del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, dell’art. 12 disp. gen., del D.Lgs. n. 153 del 1999, art. 12, comma 1, secondo cui la sentenza impugnata sarebbe peraltro errata anche nel merito.

A riguardo, torna utile chiarire che la Commissione tributaria regionale – la quale nel dispositivo si è limitata a dichiarare inammissibile l’appello ed a compensare le spese – nel corso della motivazione aveva inoltre affermato ad abundantiam, in via del tutto residuale, che la richiesta della Fondazione appariva comunque legittima, così come sancito dai giudici di prime cure.

Ciò premesso, giova sottolineare che questa Corte con orientamento ormai consolidato ha avuto modo di statuire il principio secondo cui qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata Sez. Un. 3840/07, Cass. n. 18170/06, n. 11160/04, n. 9973/98, n. 2078/90).

Ne deriva con tutta evidenza l’inammissibilità della censura in esame.

Alla stregua di tutte le pregresse considerazioni, il ricorso principale in esame, siccome infondato, deve essere rigettato, con conseguente assorbimento del ricorso incidentale condizionato proposto dalla contribuente. Sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese di questo giudizio in quanto l’orientamento giurisprudenziale riportato si è consolidato solo dopo l’introduzione della lite.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso del Ministero, rigetta quello dell’Agenzia, assorbito quello incidentale condizionato della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna. Compensa fra tutte le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2010

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