LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –
Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –
Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –
Dott. DI DOMENICO Vincenzo – Consigliere –
Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12;
– ricorrente –
contro
Fondazione Banca Del Monte e Cassa di Risparmio di Faenza S.p.a., in persona del legale rapp.te pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma viale Giuseppe Mazzini 11 presso lo studio degli avv.ti Salvini Livia e Cipolla Giuseppe Maria, che la rappresenta e difende giusta procura speciale per scrittura privata autenticata per atto del notaio Paolo Castellari rep. 39249;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 104.01.06, depositata in data 23.6.06, della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18.11.09 dal Consigliere Dott. Giovanni Carleo;
sentila la difesa svolta dall’Avvocatura Generale dello Stato, in persona dell’avv. Giacobbe Daniela, per conto del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata con ogni consequenziale statuizione anche in ordine alle spese processuali.
Udita la difesa svolta dall’avv. Branda Giancarla per conto del controricorrente che ha concluso per il rigetto del ricorso con vittoria di spese.
Udito il P.G. in persona del dr. Umberto Apice che ha concluso per l’accoglimento del ricorso con le pronunce consequenziali.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto del 27 dicembre 199 l’ente Banca Del Monte e Cassa di Risparmio di Faenza conferiva la propria azienda bancaria alla Banca Del Monte e Cassa di Risparmio di Faenza S.p.a. del 37%.
Successivamente, la Fondazione Banca Del Monte e Cassa di Risparmio di Faenza S.p.a. presentava la dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta 1994 e, ritenendo l’applicabilità della più ridotta aliquota del 18,5% ai sensi del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, esponeva un credito di imposta di L. 161.237.000 sui dividendi percepiti. L’Ufficio delle IIDD di Faenza notificava alla Fondazione un avviso di accertamento con cui le negava il diritto alla riduzione a metà dell’Irpeg. La contribuente presentava ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Ravenna, la quale lo accoglieva. Proponeva appello l’Agenzia delle Entrate. La Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna rigettava il gravame.
Avverso la detta sentenza ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi l’Agenzia delle Entrate. La contribuente resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La prima doglianza, articolata dalla ricorrente sotto il profilo della violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6 e del D.Lgs. n. 153 del 1999, art. 12, comma 1, si fonda sulla considerazione che la C.T.R. avrebbe trascurato che gli enti conferenti derivati dallo scorporo delle aziende bancarie, preposti dalla legge a possedere obbligatoriamente e amministrare la partecipazione di controllo nella società bancaria in cui hanno conferito l’azienda, non perseguendo in via esclusiva scopi culturali, in quanto tali, non possono essere annoverati tra gli enti ammessi all’agevolazione del dimezzamento dell’Irpeg. Inoltre – e questa considerazione riassume la seconda doglianza, fondata sulla violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, dell’art. 12 disp. gen., D.Lgs. n. 153 del 1999, art. 12, comma 1 – la CTR avrebbe trascurato che il D.Lgs. n. 153 del 1999, art. 12 ha portata innovativa e che quindi non si applica alla fattispecie in esame precedente alla sua entrata in vigore.
I due motivi in questione possono essere trattati congiuntamente, proponendo profili di censura sostanzialmente connessi fondati sul comune presupposto dell’inapplicabilità – ai cd. enti conferenti derivati dallo scorporo delle originarie Casse di Risparmio – della disciplina normativa invece applicabile agli enti fiscalmente agevolati.
Le ragioni di doglianza sono fondate. A riguardo, giova sottolineare che le Sezioni Unite di questa Corte, assai recentemente, hanno avuto modo di risolvere un precedente contrasto giurisprudenziale affermando il principio secondo cui “gli enti di gestione delle partecipazioni bancarie, quali risultanti dal conferimento delle aziende di credito in apposite società per azioni e gravati dall’obbligo di detenzione e conservazione della maggioranza de relativo capitale ai sensi della L. n. 218 del 1990 ed in base al D.Lgs. n. 356 del 1990, art. 12, a causa del particolare vincolo genetico che le univa alle aziende scorporate, non possono essere assimilati nè alle persone giuridiche di cui alla L. n. 1745 del 1962, art. 10 “bis” (che perseguono esclusivamente scopi di beneficenza,educazione,istruzione,studio e ricerca scientifica), ai fini della esenzione dal versamento della ritenuta d’acconto sugli utili, nè agli enti ed istituti di interesse generale aventi scopi esclusivamente culturali, di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, ai fini del riconoscimento della riduzione a metà dell’aliquota sull’IRPEG; la predetta disciplina agevolativa non trova applicazione quanto agli enti considerati nè in via analogica, trattandosi di disposizioni eccezionali, ne in via estensiva, poichè la sua “ratio” va ricercata nella esclusività e tipicità del fine sociale previsto per ciascun ente, individuato in maniera tassativa quale già esistente al momento dell’entrata in vigore delle predette norme. La successiva disciplina di riforma del sistema creditizio, nell’attribuire a tali enti, ai sensi del D.Lgs. n. 153 del 1999, art. 12 ed ove si siano adeguati alle nuove prescrizioni, la qualifica di fondazioni con personalità giuridica di diritto privato, così estendendo ad essi il regime tributario proprio degli enti non commerciali, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, “ex” art. 87, comma 1, lett. c) – T.U.I.R., non ha assunto valenza interpretativa, e quindi efficacia retroattiva, avendo essa previsto adempimenti collegati all’attuazione della riforma stessa, senza influenza sui periodi precedenti. Ne consegue l’esistenza di una presunzione di esercizio di impresa bancaria in capo ai soggetti che, in relazione all’entità della partecipazione al capitale sociale, sono in grado di influire sull’attività dell’ente creditizio e, dall’altro la possibile fruizione dei predetti benefici, per gli enti considerati, solo a seguito della dimostrazione, di cui sono onerati secondo il comune regime della prova ex art. 2697 cod. civ., di aver in concreto svolto un’attività, per l’anno d’imposta rilevante, del tutto differente da quella prevista dal legislatore, dunque un’attività di prevalente o esclusiva promozione sociale e culturale anzichè quella di controllo e governo delle partecipazioni bancarie e sempre che il relativo tema sia stato introdotto nel giudizio secondo le regole proprie del processo tributario, ovverosia mediante la proposizione di specifiche questioni nel ricorso introduttivo, non incombendo all’Amministrazione finanziaria l’onere di sollevare in proposito precise contestazioni” (Sez. Un. n. 1576/09, n. 27619/06, Cass. n. 7883/07, n. 10253/07, n. 10258/07, 13559/07. n. 14087/07).
Considerato che la sentenza impugnata non si è uniformata ai suddetti principi, pienamente condivisi dal Collegio ed applicabili nella fattispecie, le censure esaminate meritano di essere condivise, in esse assorbito l’ultimo motivo di impugnazione, fondato sulla violazione degli artt. 87 e 88 trattato CE secondo cui la C.T.R. avrebbe trascurato che il riconoscimento alle Fondazioni Bancarie dell’agevolazione di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6 costituisce aiuto di stato vietato ai sensi degli artt. citati.
Pertanto il ricorso per cassazione in esame deve essere accolto e la sentenza impugnata, che ha fatto riferimento, in modo non corretto, ad una regula iuris diversa, deve essere cassata.
Con l’ulteriore conseguenza che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa deve essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso introduttivo della lite proposto dai contribuenti. Ed invero, non ricorre la necessità del rinvio al giudice del merito per l’esame della sussistenza dei presupposti di fatto richiesti dalle norme agevolative, sul rilievo che se il tema specifico della prova del perseguimento in concreto delle finalità sociali non risulta prospettato con il ricorso introduttivo – e nella specie, il controricorso non riporta alcun accenno, opportunamente trascritto, nel rispetto del principio di autosufficienza – lo stesso non può più essere introdotto come tema di indagine.
Sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese dell’intero giudizio in quanto l’orientamento giurisprudenziale riportato si è consolidato solo dopo l’introduzione della lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, rigetta il ricorso introduttivo della lite proposto dai contribuenti. Compensa fra le parti le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2010