Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.1171 del 22/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro in carica ed Agenzia delle Entrate, in persona de Direttore pro tempore, rappresentali e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici sono domiciliati ope legis in Roma, via dei Portoghesi 12;

– ricorrenti –

contro

Nazionale Edile Vittoria s.r.l. già in liquidazione, in persona del legale rapp.te pro tempore, elettivamente domiciliala in Roma via Cremona 43 presso lo studio dell’avv. Pennella Nicola, che la rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del in calce al ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 97.01.03, depositata in data 11.6.03. della Commissione tributaria regionale del Lazio;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11.12.09 dal Consigliere Dott. Giovanni Carleo;

sentita la difesa svolta dall’Avvocatura Generale dello Stato per conio del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata con ogni consequenziale statuizione anche in ordine alle spese processuali.

Udita la difesa svolta dall’avv. Nicola Pennella per conto della controricorrente che ha concluso per il rigetto del ricorso con vittoria di spese.

Udito il P.G. in persona del Dr. Pietro Abbritti che ha concluso per l’accoglimento del ricorso con le pronunce consequenziali.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con avviso di accertamento l’Ufficio 2^ IIDD di Roma, in rettifica della dichiarazione dei redditi presentata per l’anno di imposta 1992, determinava a carico della società Nazionale Edile Vittoria s.r.l. una maggiore Irpeg di L. 716.159.000 ed una maggiore Ilor di L. 322.272.000 ed irrogava le sanzioni di legge. La contribuente presentava ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Roma, la quale accoglieva parzialmente il ricorso, confermando l’accertamento dell’Ufficio, limitatamente alla sola ripresa a tassazione di L. 70.022.000, per la mancata prova dell’effettivo sostenimento di spese relative a personale dipendente. Proponeva appello la contribuente ribadendo le tesi esposte in primo grado. La Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva il gravame.

Avverso la detta sentenza hanno quindi proposto ricorso per cassazione articolato in un unico motivo il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrale. La contribuente resiste con controricorso ed ha depositato memoria difensiva ex art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, posto che lo stesso deve essere ritenuto privo della necessaria legittimazione ad impugnare la sentenza di secondo grado in quanto il giudizio di appello, al quale non aveva partecipato, è stato introdotto dopo il primo gennaio del 2001 nei confronti della sola Agenzia delle Entrate. A riguardo, è appena il caso di osservare che la data indicata coincide con quella in cui è divenuta operativa l’istituzione dell’Agenzia delle entrate, con conseguente successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, per effetto della quale deve ritenersi che la legittimazione “ad causam” e “ad processum” nei procedimenti introdotti successivamente alla predetta data spetti esclusivamente all’Agenzia (Sez. Un. n. 3118/06).

Giova aggiungere, con riferimento ai procedimenti introdotti precedentemente alla detta data come nel caso di specie, che questa Corte ha avuto modo di affermare il principio secondo cui, pronunciata la sentenza di primo grado nei confronti del dante causa, il giudizio di appello da quest’ultimo consapevolmente disertato e celebrato senza che alcuna delle parti reclamasse l’integrazione del contraddicono, con successiva sentenza nei confronti del solo successore – così come è avvenuto nella vicenda processuale in esame – consente di ritenere integrati i presupposti per l’estromissione dell’alienante pur in assenza di un provvedimento formale (cfr Cass. 10955/07).

Alla luce di tali considerazioni, risulta pertanto evidente come nella vicenda processuale in esame il Ministero, il quale non aveva partecipato al procedimento di appello, introdotto con atto depositato in data 10.1.03, non era legittimato a ricorrere in cassazione avverso la sentenza impugnata, onde la declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto. Passando all’esame del ricorso presentato dall’Agenzia, giova evidenziare che la sua prima doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 6, si fonda sulla considerazione che le spese e i componenti negativi, di cui è prescritta la registrazione in apposite scritture contabili, contrariamente alla tesi della Commissione di appello, non sarebbero ammessi in deduzione se la registrazione è stata omessa. Con la conseguenza che l’omessa registrazione precluderebbe la detrazione di dette passività, indipendentemente dal loro verificarsi.

La censura non coglie nel segno. A riguardo, giova sottolineare che, secondo 1"orientamento ormai consolidato di questa Corte, “in tema di imposte sui redditi, con riferimento alla determinazione del reddito d’impresa, l’abrogazione, ad opera del D.P.R. 9 dicembre 1996, n. 695, art. 5 e del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, comma 6, che precludeva la possibilità di provare l’esistenza di costi, altrimenti deducibili, che non fossero stati regolarmente registrati, ha determinato da un lato un ampliamento delle facoltà di prova del contribuente, dall’altro una riduzione del carico sanzionatorio connesso alla violazione degli obblighi di registrazione. Tale nuova disciplina, applicabile anche nei procedimenti pendenti, ove sia intervenuta nel corso del giudizio di appello dev’essere applicata anche d’ufficio, quale normativa sopravvenuta più favorevole, salvo che sul punto non si sia formato un giudicato”. (Cass. n. 9917/08, conf. Cass. n. 10090/02 in merito all’applicabilità della nuova disciplina anche nei procedimenti pendenti).

In definitiva, tale abrogazione, pur non comportando l’automatica deducibililà dei costi registrati in violazione del combinato disposto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 22 e art. 2215 c.c. (una volta assolutamente indeducibili in forza della previsione di cui al D.P.R. n. 917 del 1986. art. 75, comma 6), ha comunque avuto l’effetto di ammettere il contribuente alla prova dei costi suddetti (in precedenza radicalmente preclusa), anche con mezzi diversi dalle scritture contabili, purchè costituenti elementi certi e precisi, come prescritto dell’art. 75, comma 4 (cfr Cass. 10964/07, 18000/06, 4218/06, 10090/02).

Nel caso di specie, la Commissione di appello ha ritenuto di accogliere l’impugnazione proposta in quanto la documentazione prodotta in atti, costituita da buste-paghe e modelli 101, dichiarazione INAIL modd. DM 10 INPS, relativi ai contributi, copia condoni Inps, consentiva di ritenere che la contribuente aveva avuto in carico un primo dipendente dall’ottobre 1991 all’ottobre 1992 ed un secondo dal marzo all’ottobre 1992. Pertanto, l’appello doveva ritenersi fondato posto che dalla documentazione specificata risultava trattarsi di spese che erano state effettivamente sostenute, seppur non annotate nei registri obbligatori. In definitiva, pertanto, la CTR riteneva che la prova dei costi in questione fosse costituita da elementi certi e precisi, come prescritto dell’art. 75. comma 4. Ciò premesso, deve sottolinearsi come a questa Corte non sia riconosciuto dalla legge il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione operata dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità’ e la concludenza, scegliendo, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, (cfr Cass. n. 3161/02).

Ne deriva il rigetto del ricorso in esame, siccome infondato.

Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti in solido alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del Ministero, rigetta quello dell’Agenzia, e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2010

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