LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PAPA Enrico – rel. Presidente –
Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –
Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –
Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –
Dott. MELONCELLI Achille – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso iscritto al n. 16051 R.G. 2005 proposto da:
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, AGENZIA DELLE ENTRATE, nelle persone, rispettivamente, del Ministro e del Direttore pro tempore, rappresentati e difesi per legge dalla Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, alla Via dei Portoghesi 12;
– ricorrenti –
contro
D.C.L., rappresentata e difesa, con procura in calce al controricorso, dall’avv. ZAMBRANO Pietro ed elettivamente domiciliata in Roma, alla Via L. Lilio 65, presso lo Studio dell’avv. Paolo de Berardinis;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia in data 12 maggio 2004, depositata col n. 12/05/04 il 10 giugno 2004.
Viste le richieste scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARINELLI Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso per manifesta infondatezza;
udita, in Camera di consiglio, la relazione del Dott. Papa.
PREMESSO IN FATTO
– che:
Il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle entrate ricorrono, con unico complesso motivo, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, indicata in epigrafe, che ha respinto il gravame dell’Agenzia delle entrate, Ufficio di Milano *****, avverso la decisione con cui la Commissione tributaria provinciale di Milano aveva accolto il ricorso della contribuente D.C.L. – esercente attività di avvocato – contro il silenzio rifiuto sull’istanza di rimborso dell’IRAP versata per l’anno 1998.
Denunciando “violazione e falsa applicazione della L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 144, nonchè del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 2, 3, 8, 27 e 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; omessa, illogica ed incoerente motivazione su punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, i ricorrenti muovono alla sentenza la censura di avere indebitamente valorizzato la scarsità dei mezzi impiegati e l’assenza di personale dipendente, senza considerare l’apporto in sè dell’attività professionale, produttiva comunque di un valore aggiunto, dovendosi intendere, la autonoma organizzazione, “in senso economico più che in senso materiale”.
La D.C. resiste con controricorso. Attivata la procedura ex art. 375 c.p.c., il P.M. ha concluso per il rigetto del ricorso per manifesta infondatezza.
RITENUTO IN DIRITTO
– che:
In ricorso risulta privo di pregio.
E’ consolidato indirizzo di questa Corte (v., per tutte, Cass., 5^, 3677/2007) che “in tema di IRAP, a norma del combinato disposto del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, comma 1, primo periodo e art. 3, comma 1, lett. c), l’esercizio delle attività di lavoro autonomo di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 49, comma 1 (nella versione vigente fino al 31 dicembre 2003) e art. 53, comma 1, del medesimo D.P.R. (nella versione vigente dal 1 gennaio 2004) è escluso dall’applicazione di imposta qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta dare la prova dell’assenza delle predette condizioni”.
Il giudice a quo ha condotto una indagine di merito consona all’indirizzo richiamato, giungendo, con valutazione immune da vizi logici, alla conclusione secondo cui “nel caso in esame, risulta in modo incontestabile che la contribuente, nell’anno 1998, abbia svolto la propria attività in locali utilizzati in base ad un contratto di locazione, con l’impiego di beni materiali di poco più di L. quindici milioni e senza l’ausilio di dipendenti”.
Tutto ciò implica, come ben s’intende, la reiezione del ricorso.
I rilievi che precedono valgono nei riguardi della sola Agenzia delle entrate, giacchè, per quanto attiene alla posizione del Ministero delle finanze, il ricorso si presenta addirittura inammissibile, per non essere lo stesso stato parte nel giudizio di appello (Cass., Sez. Un., 3116/2006).
Ricorrono giusti motivi per compensare interamente fra tutte le parti le spese della presente fase: quanto ai rapporti con l’Agenzia, perchè l’indirizzo giurisprudenziale richiamato si è andato consolidando dopo la proposizione del ricorso (inizi del 2007);
quanto ai rapporti col Ministero, perchè la sua presenza in giudizio non ha cagionato al contribuente alcun aggravio di spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2010