Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.1180 del 22/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – rel. Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso iscritto al n. 16391 R.G. 2005 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa per legge dalla Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, alla Via dei Portoghesi 12;

– ricorrente –

contro

C.P., rappresentato e difeso, giusta procura a margine del controricorso, dagli avvocati BERTI Nicolao e Benito Pietro PANARITI, domiciliatario in Roma, alla Via Celimontana 38;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Toscana in data 21 marzo 2005, depositata col n. 30/9/05 il 22 marzo 2005.

Viste le richieste scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso per manifesta fondatezza, con assorbimento dei restanti;

udita, in Camera di consiglio, la relazione del Dott. Papa.

PREMESSO IN FATTO

– che:

L’Agenzia delle Entrate ricorre, con tre motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana, indicata in epigrafe, che ha respinto il gravame della Agenzia delle Entrate, Ufficio di Lucca, contro la decisione con cui la Commissione tributaria provinciale di Lucca aveva accolto il ricorso del contribuente – esercente attività di ginecologo – contro il silenzio rifiuto sulle istanze di rimborso dell’IRAP versata per gli anni 1998- 2000.

Denuncia la ricorrente, in ordine successivo: 1) “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, dolendosi che il giudice a quo abbia affermato il diritto al rimborso anche per l’acconto di imposta per l’anno 1998 – versato il 15 luglio 1998 – con riguardo alla istanza – presentata solo il 12 novembre 2002 -, avendo erroneamente ritenuto che il termine di decadenza decorresse dal versamento del saldo;

2) “violazione e falsa applicazione della L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 144, nonchè del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 2, 3, 8, 27 e 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, non potendosi riferire l’organizzazione autonoma solo all’impiego di uomini e mezzi, prescindendo del tutto dal valore aggiunto ad ogni modo prodotto dal lavoro autonomo, in sè considerato;

3) “violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2 e 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, giacchè, pur a volersi aderire ad una interpretazione riduttiva, residuerebbe il difetto di fondo di aver considerato assorbente la caratteristica dello intuitus personae, sempre presente nei rapporti di prestazione d’opera intellettuale.

Resiste con controricorso il contribuente, opponendo, in primo luogo, l’incompatibilità dell’IRAP con l’art. 33 della 6^ Direttiva CE, del 17 maggio 1977, n. 388, (all’epoca) sottoposta ad esame della Corte di Giustizia CE, e nel merito: a) l’infondatezza del primo motivo, non potendo la decadenza decorrere dal versamento dell’acconto dell’imposta, ma solo da quello del saldo, allorquando si acquisisce la certezza del debito tributaria (richiamandosi a Cass., 1^, 8199/1997 e 46/1999); b) la infondatezza dei due motivi restanti, avendo il giudice di merito correttamente applicato i principi relativi alla imposta in esame, desumibili in particolare da Corte Cost. 156/2001.

Attivata la procedura ex art. 375 c.p.c., il P.M. ha concluso per l’accoglimento per manifesta fondatezza del primo motivo, assorbiti i restanti.

RITENUTO IN DIRITTO

– che:

Il ricorso è manifestamente fondato quanto al primo motivo, ed altrettanto manifestamente infondato in relazione ai restanti.

Invertendo – per ragioni di pregiudizialità logica – l’esame dei motivi, si osserva che il secondo ed il terzo (da scrutinarsi congiuntamente per l’intima connessione) appaiono privi di pregio, alla stregua del consolidato indirizzo di questa Corte (v., per tutte, Cass., 5^, 3677/2007) secondo cui “in tema di IRAP, a norma del combinato disposto del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, comma 1, primo periodo, e art. 3, comma 1, lett. c), l’esercizio delle attività di lavoro autonomo di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 49, comma 1 (nella versione vigente fino al 31 dicembre 2003) e art. 53, comma 1, del medesimo D.P.R. (nella versione vigente dal 1 gennaio 2004) è escluso dall’applicazione di imposta qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente che chieda il rimborso dell’ imposta asseritamente non dovuta dare la prova dell’assenza delle predette condizioni”.

Il giudice a quo ha condotto una indagine di merito consona all’indirizzo richiamato, giungendo, con valutazione immune da vizi logici, alla conclusione secondo cui “dalla documentazione in atti, non contestata dall’Ufficio, nel caso in questione non siamo in presenza di autonoma organizzazione, come accertato anche dai primi giudici”. Del resto, lo stesso ricorrente odierno si limita ad esporre le proprie argomentazioni di segno contrario, senza indicare alcun elemento – acquisito al processo – da cui dovrebbe desumersi il contrario, in tal modo violando l’onere di autosufficienza.

Perciò, entrambi i motivi appaiono superati.

Manifestamente fondato, per contro, è il primo motivo.

Il collegio, in mancanza di convenienti argomenti di segno contrario, intende dare continuità all’orientamento di Cass., 5^, 9156/2000), che ha statuito: “Il principio secondo cui, in tema di rimborso di tributi sui redditi, versati ma non dovuti, il termine decadenziale di diciotto mesi fissato dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, entro il quale va presentata l’istanza di rimborso decorre dal pagamento dei saldi d’imposta, si riferisce alle sole ipotesi in cui il versamento sia avvenuto a titolo di mero acconto provvisorio, o comunque a titolo meramente precario, e solo successivamente – in sede di chiusura del periodo d’imposta e di determinazione finale e definitiva della misura dell’imposta – esso risulti non dovuto.

Allorchè invece l’obbligazione tributaria risulti inesistente sin dal momento del versamento, in quanto il versamento stesso corrisponda ad un errore materiale compiuto dal contribuente, o rappresenti il frutto di una duplicazione d’imposta, o di un’inesistenza totale o parziale della pretesa impositiva, il termine in questione decorre dalla data stessa del versamento, anche quando quest’ultimo sia avvenuto a titolo di mero acconto”.

La decadenza dal diritto al rimborso – per l’acconto relativo all’anno 1998 – deve dunque intendersi verificata in quanto l’acconto medesimo è stato versato in corrispondenza di un’imposta non dovuta – in considerazione dei rilievi che precedono -, onde viene a cadere la ragione della decorrenza del termine nel caso in esame, di quarantotto mesi dal saldo d’imposta.

La sentenza va pertanto cassata in parte qua, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, consegue la pronuncia di merito, che è di rigetto del ricorso introduttivo, limitatamente all’acconto per il 1998 – essendo ormai definitivamente superata la pregiudiziale questione sulla compatibilità dell’imposta con la normativa comunitaria in materia di IVA. L’accoglimento solo parziale della impugnazione odierna – e, per converso, della domanda del contribuente – giustifica la compensazione delle spese dell’intero giudizio fra le parti.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta i restanti;

cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente limitatamente al rimborso dell’acconto di imposta per l’anno 1998. Compensa interamente le spese del giudizio fra le parti.

Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2010

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