Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.1198 del 22/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. ATRIPALDI Umberto – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25714/2004 proposto da:

D.C.M. CF. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA MARTIRI DI BELFIORE 2, presso lo studio dell’avvocato CHILOSI RICCARDO, rappresentato e difeso dall’avvocato CORREALE Massimo;

– ricorrente –

contro

M.L.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 395/2004 del TRIBUNALE di VALLO DELLA LUCANIA, depositata il 07/07/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 13/10/2009 dal Consigliere Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARINELLI Vincenzo, che ha concluso per rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.C.M. proponeva opposizione avverso il decreto con cui il Giudice di Pace di Vallo della Lucania gli aveva ingiunto di pagare a M.L. la somma di L. 2.160.750 quale saldo del compenso relativo ai lavori di realizzazione e posa in opera di alcune ringhiere, deducendo di avere soddisfatto l’obbligazione con il pagamento della somma di L. 8.000.000.

L’opposto chiedeva il rigetto della domanda.

Con sentenza depositata il 22 aprile 1999 il Giudice di Pace revocava l’opposto decreto, condannando l’opponente al pagamento della somma di L. 1.061.938: secondo il giudicante, alla stregua della espletata consulenza tecnica d’ufficio, il valore delle opere ammontava a L. 7.551.615 a cui andava aggiunto l’importo a titolo di I.V.A. al 20% pari a L. 1.510.323 per complessive L. 9.061.938, sicchè era ancora dovuta la differenza di L. 1.061.938 rispetto alla somma di L. 8.000.000 versata dall’opponente.

Con sentenza del 7 luglio 2004 il Tribunale, in accoglimento dell’appello incidentale proposto dall’opposto, confermava il decreto ingiuntivo, rigettando l’impugnazione principale proposta dal D. C..

Riteneva il Giudicante che era dovuta la somma di L. 2.160.750 pretesa con l’opposto decreto a saldo dell’importo di L. 10.610750, compresa l’I.V.A. al 4%, di cui alla fattura n. ***** del *****, posto che la determinazione del valore delle opere compiuta dalla sentenza di primo era da considerarsi sottostimata, perchè basata sull’erronea valutazione compiuta dal consulente d’ufficio che – secondo quanto rilevato dal consulente tecnico di parte del M. – non aveva considerato i costi indiretti di produzione che vengono inglobati nelle voci spese generali ed utile di impresa, che incidono sui costi di produzione, le prime nella misura percentuale del 15% e il secondo in quella del 10%: pertanto, l’importo dei lavori era stimato in L. 11.197.415 oltre l’I.V.A..

Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il D.C. sulla base di due motivi.

Non ha svolto attività difensiva l’intimato.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione della L. n. 12 del 1941, art. 43 bis, deduce che sia il giudizio di primo grado che quello di gravame si erano svolti dinanzi a giudici onorari, quando la L. n. 12 del 1941, art. 43 bis, al comma 2 espressamente sancisce che “i giudici onorari non possono tenere udienza se non nei casi impedimento o di mancanza dei giudici ordinari”, mentre a stregua del decreto del Presidente del tribunale di Vallo la trattazione dei giudizi di appello era stata deferita a giudici onorari: la disposizione di cui all’art. 106 Cost., comma 2, secondo cui la legge sull’ ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per le funzioni attribuite ai giudici ordinari, ha carattere derogatorio ed eccezionale rispetto al combinato posto dell’art. 102 Cost., comma 1 e art. 106 Cost., comma 1, secondo cui il normale esercizio della funzione giurisdizionale spetta ai giudici ordinari che, essendo reclutati per concorso, assicurano una determinata professionalità e l’imparziale applicazione della legge imposta dall’art. 101 Cost. e art. 111 Cost., comma 2.

Il motivo è infondato.

Ai sensi del R.D. n. 12 del 1941, art. 43 bis, i giudici onorari possono decidere ogni processo e pronunciare qualsiasi sentenza per la quale non vi sia espresso divieto di legge, e quindi anche dei giudizi di appello con piena assimilazione dei loro poteri a quelli dei magistrati togati, atteso che l’art. 106 Cost., prevede la nomina di giudici onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli con piena parificazione (S.U. 12644 /2008); d’altra parte, rientra nell’ambito dei poteri di organizzazione dell’ufficio e non è sindacabile nella presente sede il provvedimento con cui il Presidente del tribunale valuti, alla luce delle carenze di organico, la necessità di assegnare ai giudici onorari la trattazione delle cause.

Con il secondo motivo il ricorrente, lamentando violazione dell’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3, 4 e 5, nonchè omessa,insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 cod. proc. civ., n. 5), censura la sentenza che non aveva esaminato il motivo di gravame con cui era stata denunciata l’erronea applicazione da parte del giudice di primo grado dell’I.V.A. nella misura del 20%, essendosi limitata a dichiarare genericamente l’infondatezza del appello principale; la decisione impugnata non aveva condiviso il metodo adottato dal consulente tecnico d’ufficio nella determinazione del valore dello opere e, aderendo alle considerazioni del consulente di controparte, aveva affermato in modo semplicistico che il ragionamento di quest’ultimo era condivisibile mentre, quando intenda scostarsi dalle considerazioni del c.t.u., il giudice deve adeguatamente motivare le sue valutazioni e i suoi apprezzamenti senza limitarsi alla mera affermazione di principi tecnici di cui non sia indicata la fonte e non sia possibile verificare congruità ed esattezza e che non siano sorretti da ragionamenti idonei a spiegarli, ragionamenti non ravvisabili nella semplice valutazione di evidenza.

Il motivo è infondato.

La sentenza, nel confermare il decreto ingiuntivo, ha chiarito che la somma pretesa dall’opposto a saldo dei lavori eseguiti era dovuta in quanto era il risultato della differenza fra quanto già pagato e quanto risultante dalla fattura n. ***** del *****, in cui era compreso l’importo I.V.A. che era stato calcolato al 4%: il Tribunale, nel riformare la decisione di primo grado che aveva determinato il valore delle opere alla stregua della consulenza tecnica di ufficio nella minor somma di L. 7.551.615, sulla quale aveva poi applicato l’I.V.A. al 20%, ha ritenuto che, in base alle considerazioni del consulente di parte dell’opposto, l’importo dei lavori era di L. 11.197.415 oltre IVA. Ne consegue che ogni discussione in ordine all’aliquota I.V.A. applicata dal giudice di primo grado è inconferente, posto che il Tribunale ha ritenuto corretta la determinazione di cui alla fattura, in cui – come si è detto – era stata applicata l’aliquota del 4%: la riforma della sentenza di primo grado è conseguente a una diversa stima dei lavori e non è dipesa dall’avere applicato l’aliquota I.V.A. del 20%. Va sottolineato che, nel discostarsi dalle considerazioni del consulente d’ufficio, il giudice di appello non si è limitato ad aderire genericamente a quelle del consulente di parte, ma ha fornito adeguata e corretta motivazione, indicando specificamente le ragioni in base alle quali la stima dell’ausiliare del giudice non poteva ritenersi corretta: cioè l’incidenza e la percentuale dei costi di produzione indiretti che il consulente d’ufficio non aveva considerato; il ricorrente avrebbe dovuto censurare specificamente tali argomentazioni mentre, come si è detto, si è limitato a dedurre – in modo del tutto infondato – l’adesione generica alle conclusioni del consulente di parte.

Il ricorso va rigettato.

Non va adottata alcuna statuizione in ordine alla regolamentazione delle spese relative alla presente fase, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2010

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