Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.1203 del 22/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MENSITIERI Alfredo – Consigliere –

Dott. ATRIPALDI Umberto – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.P. *****, L.M.

*****, L.S. *****, elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 77, presso lo studio dell’avvocato DEL BUFALO PAOLO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato SCOPSI CLAUDIO;

– ricorrenti –

contro

L.M.T. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 3, presso lo studio dell’avvocato SASSANI BRUNO NICOLA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUISO FRANCESCO PAOLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1321/2004 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 27/09/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 18/11/2009 dal Consigliere Dott. ATRIPALDI Umberto;

udito l’Avvocato TORNABUONI Filippo con delega depositata in udienza dell’Avvocato DEL BUFALO Paolo, difensore dei ricorrenti che si riporta agli atti;

udito l’Avvocato SASSANI Bruno Nicola, difensore della ricorrente che ha chiesto di riportasi agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L.P., M. e S. hanno impugnato, nei confronti di L.M.T., con ricorso notificato il 9.12.04, la sentenza della Corte di Appello di Firenze, notificata l’11.11.04, confermativa di quella di 1 grado, che aveva rigettato la loro domanda di scioglimento della comunione in proprieta’ di alcuni immobili in localita’ *****, ed aveva invece accolto la riconvenzionale di usucapione avanzata dall’intimata.

Lamenta: 1) la violazione degli artt. 1100, 1102, 1144, 2967 c.c., contraddittorieta’, insufficienza della motivazione, dato che l’intimata per poter invocare l’usucapione avrebbe dovuto dimostrare di avere esercitato il suo potere di fatto sulla “res communis” con la manifesta intenzione di escludere il fratello B., loro dante causa, attraverso il compimento di un atto idoneo a rendergli impossibile ogni rapporto materiale col bene; non essendo sufficiente fra compossessori il compimento di singoli atti di utilizzazione delle cose quali nella specie la circostanza che l’intimata abitasse da sola la casa, e godesse dei pertinenziali terreni ed effettuasse “interventi manutentori nel fabbricato”; ne’ la lunga durata dell’uso esclusivo della cosa comune costituiva circostanza idonea ad escludere una situazione di mera tolleranza, atteso il rapporto di parentela; 2) la violazione degli artt. 1350, 2729, 2730, 2679 c.c., contraddittorieta’, illogicita’, insufficienza della motivazione;

dato che erroneamente la Corte di Appello aveva ritenuto elemento idoneo ad integrare la prova dell’animus escludendo da parte dell’intimata, la confessione giudiziale, che dopo lo scioglimento della comunione ereditaria paterna il loro dante causa avrebbe reso al fratello N., di riconoscere l’intimata sorella come piena ed esclusiva proprietaria degli immobili in questione; senza considerare che ai sensi dell’art. 2735 c.c., comma 2 un atto unilaterale ricognitivo di natura confessoria non e’ idoneo a provare l’esistenza dei diritti reali, e che nella nozione di fatto ex art. 2730 c.c. rientra soltanto “l’esistenza obiettiva di elementi costitutivi di un negozio e non gia’ il convincimento del confidente sull’esistenza dei detti elementi”; 3) da violazione degli artt. 1140, 1158, 2697 c.c., contraddittorieta’, illegalita’ ed insufficienza della motivazione;

atteso che la Corte di Appello aveva fatto risalire alla data della divisione, luglio 1973, in cui gli immobili in questione furono attribuiti congiuntamente all’intimata ed al loro dante causa “l’evidenziazione dell’animus derelinquendi” da parte di quest’ultimo, sebbene contraddittoriamente avesse ritenuto provato che l’inerente dichiarazione l’aveva resa in epoca successiva alla divisione; 4) la violazione degli artt. 1417, 2722, 2729, 2697 c.c., dato che la Corte di Appello, facendo coincidere la rinuncia del loro dante causa B. e l’inizio del possesso esclusivo dell’intimata con l’atto di divisione, non aveva tenuto conto che la relativa dichiarazione del B. integra un patto contrario al contenuto di un atto scritto, di cui presupponeva la simulazione, patto stretto anche col condividente N. sulla cui deposizione sia fondata l’impugna decisione. L’intimata resiste.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Affetto da inammissibilita’ si manifesta il 1 motivo, col quale le ricorrenti, in realta’, ripropongono una non consentita rinnovazione delle valutazioni in fatto dei giudici di merito, che con adeguata motivazione immune da vizi logici, hanno evidenziato come, sulla base degli acquisiti elementi probatori, emergeva che l’intimata avesse goduto i beni in questione in modo durevole ed esclusivo, “animo domini”, incompatibile col permanere di quello del coerede B.;

tant’e’ che il medesimo dichiaro’ di riconoscere all’intimata detto compendio immobiliare nel rispetto della volonta’ paterna, non formalizzata per mero disguido nell’atto di divisione per scrittura privata del 1973.

Manifestamente infondato e’ il 2 motivo considerato che, contrariamente all’assunto delle ricorrenti, alla confessione del B., non e’ stata attribuita alcuna valenza probatoria in tema di trasferimento di diritti reali, riconosciuta invece solo per il riscontro della sussistenza delle condizioni soggettive “animus escludendi” della dedotta usucapione, mero fatto acquisitivo della proprieta’.

Infondato e’ anche il 3 motivo atteso che la denunciata discrepanza temporale fra l’atto di divisione e il riconoscimento del B. e’ palesemente inidoneo a creare illogicita’ o contraddizione alcuna, risultando evidente dal contenuto della riportata dichiarazione, come evidenziato dalla Corte di merito, che la volonta’ del medesimo di riconoscere all’intimata l’intero compendio in questione risalisse quantomeno alla stesura dell’atto di divisione, che per l’appunto considerava inficiata da errore in relazione alla comunione disposta sui menzionati beni.

Manifestamente infondata e’, infine, anche il 4 motivo per le gia’ svolte considerazioni.

Infatti l’annessa deposizione non mirava in alcun modo a provare ne’ un patto contrario alla divisione, ne’ tanto meno la simulazione della stessa, ma semplicemente la sussistenza dei presupposti effettivi e soggettivi necessari all’usucapione: ossia di una distinta situazione di mero fatto inidonea ad interferire in modo diretto su quella giuridica se non per consequenzialita’ mediata nell’ipotesi, eventuale, di suoi autonomi effetti costitutivi. Al rigetto segue la condanna alle spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti alle spese in Euro 3.200,00, di cui 3.000 per onorari.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2010

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