LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –
Dott. ODDO Massimo – rel. Consigliere –
Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –
Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –
Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
D.D.V. – rappresentato e difeso in virtù di procura speciale a margine del ricorso dall’avv. Ferrari Massimo del Foro di Monza e dall’avv. Osvaldo Fassari, presso il quale è elettivamente domiciliato in Roma, al viale degli Ammiragli, n. 119;
– ricorrente –
contro
C.L.- rappresentato e difeso in virtù di procura speciale a margine del controricorso dall’avv. Crespi Ezio del Foro di Busto Arsizio e dall’avv. Francesco Crisci, presso il quale è
elettivamente domiciliato in Roma, alla via degli Scipioni, 8;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 1630 dell’11 giugno 2004 – notificata il 26 ottobre 2004.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10 dicembre 2009 dal Consigliere dott. Massimo Oddo;
udito per il ricorrente l’avv. Massimo Picchioni delegato dall’avv. Ferrari e per il controricorrente l’avv. Francesco Crisci;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 19 gennaio 1998, C.L. convenne d.D.V. davanti al Tribunale di Busto Arsizio e, premesso che il convenuto il 19 febbraio 1997 aveva promesso di vendergli entro il ***** al prezzo di L. 550.000.000, di cui il saldo di L. 300.000.000 da versare alla stipula del rogito di compravendita, una villa con pertinenza di un’area nuda in *****, di cui si era reso aggiudicatario ad un’asta giudiziaria del ***** in danno dei genitori di esso C., domandò ex art. 2932, c.c., l’esecuzione in forma specifica del preliminare.
Il D.D. si costituì e chiese il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la risoluzione del contratto per inadempimento del C., non avendo l’attore ottemperato alla diffida intimatagli con lettera del ***** di adempiere al preliminare entro quindici giorni dalla sua ricezione, e la condanna del medesimo al risarcimento dei danni. Il Tribunale con sentenza del 27 maggio 2002 rigettò la domanda dell’attore e, in accoglimento di quella riconvenzionale, dichiarò risolto ope legis il preliminare per l’inottemperanza del C. alla diffida e, detratta la caparra di L. 60.000.000, condannò il convenuto a restituire all’attore la somma già ricevuta di Euro 25.226,81, oltre interesse legali dal 6 giugno 1997 al saldo.
La decisione, gravata dal C. e, in via incidentale, dal D.D. venne riformata il 11 giugno 2004 dalla Corte di appello di Milano, che, in accoglimento della domanda del C., “dichiarò il trasferimento” in favore dell’attore degli immobili oggetto del preliminare, previo pagamento del saldo del prezzo in Euro 154.937,07, e rigettò la domanda riconvenzionale del D. D., condannando quest’ultimo al pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio.
Osservarono i giudici di secondo grado che l’inottemperanza da parte dell’attore alla diffida era giustificata dall’inadempimento del convenuto all’obbligo su di lui gravante di provvedere alla cancellazione delle iscrizioni e trascrizioni esistenti sugli immobili e che anche in caso di diffida ad adempiere la risoluzione non può avere luogo quando, avuto riguardo all’effettivo interesse del diffidante alla scadenza del relativo termine, l’inadempimento sia di scarsa rilevanza. Il D.D. è ricorso con cinque motivi, erroneamente enumerati come quattro, per la cassazione della sentenza ed il C. ha resistito con controricorso, illustrato da successiva memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., con riferimento agli artt. 342 e 345 c.p.c., avendo affermato l’inefficacia della diffida ad adempiere in base al principio inadimplenti non est adimplendum, benchè la relativa eccezione non fosse stata sollevata nel giudizio di primo grado e l’attore si fosse limitato nell’atto di appello e nelle successive conclusioni a ribadire rirritualità dell’atto in quanto privo dell’indicazione del luogo, del giorno e dell’ora della stipulazione del rogito davanti al notaio.
Il motivo è inammissibile.
Gli effetti della diffida ad adempiere intimata dal convenuto al promissario-acquirente sono stati esclusi dal giudice di secondo grado in base al duplice autonomo rilievo che l’inadempimento del diffidato era giustificato da quello concorrente del promittente- venditore e che l’interesse di quest’ultimo era “in realtà di scarsa rilevanza, dovendosi valutare la gravità anche rispetto alla scadenza del termine contenuto nella diffida”.
Il secondo argomento, del tutto corretto (cfr. da ultimo: Cass. civ., sez. 2, sent. 18 aprile 2007, n. 9314), atteneva ad un problema che il giudice, chiamato a provvedere sulla domanda riconvenzionale, doveva porsi anche di ufficio (cfr. da ultimo: cass. civ., sez. 2, sent. 20 luglio 2007, n. 16084) e rispetto al quale nessun significato preclusivo potevano assumere i limiti che il contenuto dell’eccezione dell’attore poneva all’apprezzamento della (in)efficacia della diffida. La censura soltanto del primo argomento, benchè il secondo fosse di per sè sufficiente a sorreggere la decisione che ha negato la risoluzione di diritto del preliminare per inottemperanza alla diffida, esclude l’interesse al motivo, non potendo l’eventuale denunciato difetto di corrispondenza tra l’eccepito dall’attore ed il pronunciato risolversi nella cassazione della pronuncia sul punto.
Il secondo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e segg., 1454 e segg., artt. 1482, 1460 e 1218 c.c., e dell’art. 508 c.p.c., ed omessa e contraddittoria motivazione, giacchè ha ravvisato l’inefficacia della diffida per la mancata cancellazione della iscrizione di un’ipoteca alla data della scadenza del suo termine, eludendo, mediante il richiamo al principio di buona fede nell’interpretazione dei contratti ed alla normativa sulla vendita di cosa gravata da garanzie reali o da altri vincoli e sulla vendita forzata di un bene gravato da ipoteca, l’interpretazione secondo il senso letterale delle parole della clausola n. 2 del preliminare, dalla quale era evidente che il promittente-venditore non aveva inteso fornire al promissario-acquirente alcuna garanzia ulteriore rispetto a quella a lui stesso assicurata dagli organi della procedura espropriativa.
Il motivo è infondato.
Il giudice di appello, sottolineato che l’art. 1482 c.c., pone a carico del venditore l’obbligo di provvedere alla liberazione della cosa venduta dalle garanzie reali di cui sia gravata, o dai vincoli derivanti da pignoramento o da sequestro, da lui non dichiarati ed ignorati dal compratore e che l’art. 586 c.p.c., dispone la cancellazione delle trascrizioni dei pignoramenti e delle iscrizioni ipotecarie relative al bene oggetto di espropriazione, ha negato che, secondo una interpretazione conforme a buona fede, potesse ritenersi che con la clausola n. 2 del preliminare (“l’immobile verrà ceduto – qualora l’aggiudicazione si renderà definitiva – nello stato di fatto, di diritto e di manutenzione in cui si trova e così come esso perverrà al sig. D.D.”), le parti avessero manifestato la volontà di esonerare il convenuto dall’obbligo di trasferire all’attore l’immobile libero dalla trascrizione di pignoramenti e da iscrizioni ipotecarie.
Anche se la deroga a norme dispositive in materia contrattuale non richiede particolari formalità, l’accertamento del comune intento delle parti di derogare ad esse è rimesso ad un apprezzamento discrezionale nella cui formulazione il giudice di merito non può sottrarsi al riferimento alla regola positiva che il dato testuale, pur assumendo un rilievo fondamentale, non può essere ritenuto di per sè decisivo ai fini della ricostruzione del contenuto di un accordo, dovendo il processo ermeneutico estendersi al progressivo esame degli ulteriori elementi elencati nelle norme strettamente interpretative e di quelle di esse integrative.
Non è conseguentemente ravvisabile una violazione di legge nell’avere il giudice di appello ritenuto che l’applicazione del criterio del senso letterale delle parole, previsto dall’art. 1362 c.c., comma 1 non fosse da solo sufficiente a rendere palese l’intenzione dei contraenti di derogare alla disciplina codicistica in tema di vendita di un bene gravato da garanzie reali od altri vincoli, e che l’incertezza sulla volontà delle parti potesse essere superata con il ricorso alla interpretazione della clausola secondo buona fede consentita dall’art. 1366 c.c..
L’accertamento, inoltre, non è inficiato da una inadeguatezza od illogicità della sua motivazione, poichè gli argomenti che lo sorreggono sono del tutto adeguati a riscontrare la correttezza del procedimento logico del giudice di merito e la possibilità di una diversa interpretazione della volontà di entrambe le parti, da un lato, è del tutto fisiologica in caso di incertezze su di essa, dall’altro, la sua maggiore attendibilità rientra in un apprezzamento soggettivo del deducente che non può assurgere a vizio della pronuncia.
Il terzo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per violazione degli artt. 1218, 1454, 1455, 1460 e 2697 c.c. e dell’art. 1366 c.c. e art. 1482 c.c., commi 2 e 3, degli artt. 116 e 508 c.p.c., ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su punti decisivi, avendo ravvisato un inadempimento del promittente- venditore e uno scarso rilievo del suo interesse all’adempimento, benchè:
l’attore, unitamente ai genitori espropriati, già occupasse l’immobile al momento della stipula del preliminare;
le parti avessero consensualmente previsto limiti alle garanzie del promittente-venditore e l’ipoteca, per la cui presenza non era stata ancora completata nel ***** la trascrizione del decreto di trasferimento dell’immobile, fosse conosciuta dal promissario (o dal padre proprietario esecutato), non fosse opponibile all’aggiudicatario e ed il promittente-venditore ne avesse garantito la cancellazione;
il promissario non fosse in possesso alla data della scadenza della diffida ad adempiere del saldo del prezzo da versare per la stipula della compravendita;
nessun rilievo assumesse sull’efficacia della diffida ad adempiere la mancata prova del convenuto di avere necessità di incassare il saldo del prezzo;
il ritardo rispetto alla prevista stipula del contratto nel ***** non fosse dovuto solo alla mancata disponibilità del decreto di trasferimento, ma alla mancata erogazione del mutuo al promissario- acquirente;
il notaio, essendosi il promittente dichiarato disponibile ad assumersi il debito risultante dall’ipoteca tardivamente iscritta, avrebbe potuto stipulare la compravendita ove il convenuto vi avesse assentito.
Il motivo è infondato.
La sentenza di appello, premesso che il notaio, sollecitato alla stipula della compravendita per il giorno di scadenza della diffida ad adempiere, aveva di sua iniziativa comunicato alle parti il giorno precedente che la redazione dell’atto era sospesa sino all’emissione dell’ordine di cancellazione di una ipoteca risultata iscritta sull’immobile il ***** e che il promittente venditore non si era presentato davanti al notaio nè il giorno *****, per il quale era stata rifissata la stipula “(ancorchè fosse stato informato dal legale dell’attore che il saldo del prezzo era già stato depositato presso il notaio)” e nè il successivo *****, al quale la formalità era stata rinviata, ha osservato, per quello che rileva, che, non avendo il preliminare esonerato il convenuto dall’obbligo di provvedere prima del trasferimento alla cancellazione delle trascrizione ed iscrizioni sull’immobile ed essendo priva di giustificazione la sua pretesa del pagamento del saldo prezzo entro il *****, benchè il notaio avesse sospeso la compravendita fissata per tale data, doveva escludersi che sussistesse un grave inadempimento dell’attore alle obbligazioni assunte con il preliminare.
Nessuna carenza logico-giuridica, considerato il rigetto del secondo motivo di ricorso, è ravvisabile in siffatto apparato argomentativo, avendo esso dato adeguato conto delle ragioni dell’inefficacia della scadenza del termine fissato nella diffida ad adempiere e della conseguente non esigibilità in tale data da parte del promittente- venditore del saldo del prezzo, costituente l’unica residua obbligazione del promissario-acquirente, ed in relazione alla ricostruzione della fattispecie effettuata dal giudice di merito neppure è riscontrabile la violazione della pluralità di norme menzionate nella rubrica, il cui concreto manifestarsi rispetto ad essa non risulta, peraltro, neppure illustrato nel motivo.
Il quarto motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in riferimento all’art. 116 c.p.c., non avendo valutato in relazione alla decorrenza dei danni il documento n. 1 di appello, dal quale emergeva che sia l’attore che i propri genitori erano nel possesso dell’immobile dalla data del decreto di trasferimento e non dalla sua trascrizione.
Il motivo è inammissibile, attenendo ad una domanda di risarcimento dei danni che la Corte di appello ha rigettato.
Il quinto motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e del D.M. 5 ottobre 1994, n. 585 e D.M. 8 aprile 2004, n. 127 giacchè nella liquidazione delle spese del giudizio ha applicato una tariffa non in vigore, violato i massimi tariffari, riconosciuto onorari per una discussione non tenuta ed omesso di considerare l’identità delle questioni discusse in primo ed in secondo grado.
Il motivo è inammissibile.
Costituisce onere della parte, che censuri per cassazione la sentenza di merito nella parte relativa alla liquidazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, indicare analiticamente le voci della tariffa professionale che si assumono violati e gli importi relativi, onde consentirne il controllo in sede di legittimità, senza bisogno di svolgere ulteriori indagini in fatto e consultare direttamente gli atti, integrando l’eventuale violazione della tariffa un’ipotesi di error in iudicando e non in procedendo.
L’inosservanza di tale onere, che non è esclusa nella specie dalla indicazione dell’importo complessivo massimo liquidabile per onorari, si risolve, quindi, in un genericità del motivo, che trova la sua sanzione nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4.
All’inammissibilità od infondatezza dei motivi seguono il rigetto del ricorso e, sussistendo giusti motivi, la compensazione tra le parti delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2010