LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUPI Fernando – Presidente –
Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –
Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –
Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 15906/2008 proposto da:
R.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 146, presso lo studio dell’avvocato MOCCI ERNESTO, che lo rappresenta e difende unitamente a se stesso, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;
– resistente –
avverso la sentenza n. 9/2008 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di MILANO del 17/01/08, depositata il 17/03/2008;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 01/12/2009 dal Consigliere Relatore Dott. DI IASI Camilla;
è presente il P.G. in persona del Dott. VELARDI Maurizio.
IN FATTO E IN DIRITTO 1. R.N. propone ricorso per cassazione (successivamente illustrato da memoria) nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che è rimasta intimata) e avverso la sentenza n. 9/41/08, depositata il 17-03-08, con la quale, in controversia concernente impugnazione di silenzio rifiuto su istanza di rimborso Irap per gli anni 200/2004, la C.T.R. Lombardia accoglieva l’appello dell’Agenzia, riformando la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso del contribuente.
2. Il primo motivo di ricorso (col quale si deduce violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53) è inammissibile per carenza di idonea formulazione del quesito di diritto, essendo da rilevare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità (v. tra le altre SU n. 7257 del 2007), la funzione propria del quesito di diritto è di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, quale sia l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare, con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile il motivo che (come nella specie) si concluda con un quesito del tutto astratto, privo di ogni riferimento e specifità in relazione al decisum nonchè alla corrispondente “ratio decidendi” della sentenza impugnata e la cui formulazione risulti pertanto assolutamente inidonea ad esprimere la rilevanza della risposta al quesito ai fini della decisione del motivo (v. tra molte altre, da ultimo, cass. n. 7197 e n. 8463 del 2009 nonchè SU n. 7433 del 2009). Il secondo motivo di ricorso (col quale si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2 e 3, oltre che vizio di motivazione, sostenendo che i giudici d’appello avrebbero ritenuto sussistente l’autonoma organizzazione senza un giudizio specifico per ciascuno degli anni di imposta in discussione e considerando tutte le spese sostenute per la produzione del reddito da lavoro autonomo, ivi comprese quelle di rappresentanza e per alberghi) propone una censura inammissibile sotto diversi profili.
Infatti, prescindendo dall’inadeguatezza del quesito di diritto proposto (che si presenta astratto, non consente di enucleare l’errore di diritto attribuito al giudice di merito e si articola in più quesiti – alcuni peraltro impropriamente concernenti il vizio di motivazione-), e, per converso, dalla mancanza, in relazione al denunciato vizio di motivazione, dell’indicazione chiara e specifica del “fatto controverso e decisivo” ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., comma 2 (onere che, secondo la giurisprudenza, deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso – v. cass. n. 8897 del 2008-), è da rilevare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, l’esercizio per professione abituale, ancorchè non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diversa dall’impresa commerciale costituisce, secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 156 del 2001, presupposto dell’imposta qualora si tratti di attività autonomamente organizzata e che il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente che eserciti l’attività di lavoro autonomo: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo l'”id quod plerumque accidit”, costituiscono nell’attualità il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui, essendo onere del contribuente che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta dare la prova dell’assenza delle predette condizioni (v. tra le altre cass. n. 3678 del 2007) e che dalla sentenza impugnata risulta che, sulla base di un accertamento in fatto, i giudici d’appello hanno ritenuto (con giudizio chiaramente riguardante tutti gli anni in contestazione, ancorchè non distinto per ciascuno di essi) che vi era stata una incidenza di costi e spese sostenute tali da far ritenere l’esistenza di una autonoma organizzazione (e ciò a prescindere dalla mancanza di ricorso alla collaborazione di personale dipendente o meno, che pertanto risulta irrilevante). Tanto premesso, gravando sul contribuente che chiede il rimborso l’onere della prova dell’assenza delle condizioni per l’applicazione dell’imposta de qua, il ricorrente, ove avesse inteso contestare la valutazione dei giudici di merito in relazione ad alcuni o tutti gli anni di imposta, avrebbe dovuto specificamente e analiticamente indicare e riportare in ricorso (nel rispetto del principio di autosufficienza), nonchè depositare a pena di improcedibilità ex art. 369 c.p.c., n. 4, i documenti dai quali eventualmente risultassero fatti in contrasto con quanto affermato in sentenza, ovvero specificare analiticamente per ciascun anno di imposta quali spese erano state illegittimamente considerate dai giudici d’appello, documentandone l’ammontare e la natura, al fine di consentire a questo giudice di legittimità di valutare l’incidenza delle suddette spese, asseritamente estranee all’organizzazione, nel giudizio complessivo.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato. In assenza di attività difensiva nessuna decisione va assunta in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2010