LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –
Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –
Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –
Dott. CURCURUTO Filippo – rel. Consigliere –
Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
V.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TOSCANA 1, presso lo studio dell’avvocato CERULLI IRELLI GIUSEPPE, rappresentato e difeso dall’avvocato CAVALLUCCI EUGENIO, giusta mandato speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
EDITORIALE OLIMPIA SPA in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SALARIA 332, presso lo studio dell’avvocato DE MAJO GIUSEPPE, rappresentata e difesa dagli avvocati PINTO GIAN LUCA, BECHI VITTORIO, AIAZZI SIMONE, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 286/2007 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE del 2.3.07, depositata il 20/03/2007;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/01/2010 dal Consigliere Relatore Dott. CURCURUTO Filippo;
udito per il ricorrente l’Avvocato Giuseppe Cerulli Irelli (per delega avv. Eugenio Cavallucci) che si riporta ai motivi del ricorso;
udito per la controricorrente l’Avvocato Giuseppe De Majo (per delega avv. Vittorio Bechi) che si riporta ai motivi del controricorso.
E’ presente il P.G. in persona del Dott. FINOCCHI GHERSI Renato che aderisce alla relazione scritta.
RITENUTO IN FATTO
che:
La sentenza della Corte d’Appello di Firenze impugnata con il ricorso in epigrafe, illustrato da memoria, al quale l’intimata resiste con controricorso, anch’esso illustrato da memoria, ha escluso per il periodo fra il 1969 e il 1976, la subordinazione lavorativa fra V.A. e la Editoriale Olimpia, ditta individuale di V.E., padre del ricorrente, poi acquisita dalla s.p.a., Editoriale Olimpia, ed ha parimenti escluso per il periodo successivo, fino al 1987, che Va.An., assunto quale dipendente dalla s.p.a Editoriale Olimpia nel 1976, avesse svolto mansioni dirigenziali.
Conseguentemente ha rigettato la domanda del V. volta ad ottenere il risarcimento del danno da mancata o insufficiente contribuzione previdenziale per i due periodi sopra indicati.
Per quanto ora interessa, relativamente al primo dei due periodi controversi la Corte di merito ha escluso che la direzione di una pubblicazione periodica e la connessa attivita’ di coordinamento, dedotte dal V. implicassero di per se un rapporto di lavoro subordinato, ed ha ritenuto che in base agli atti di causa nient’altro emergeva che una collaborazione autonoma relativamente a singole pubblicazioni e a determinati periodici.
Quanto al secondo periodo la Corte ha notato che il V., pur essendo consigliere di amministrazione della societa’, non era investito di alcun potere decisionale autonomo che potesse impegnare quest’ultima, essendo sprovvisto di deleghe per una concreta gestione dell’azienda, dal momento che ogni potere di rappresentanza e gestione era riservato ad V.E. mentre al di lui figlio era attribuita una delega circoscritta e di tipo esecutivo, sino ad imporgli la firma congiunta con la signora G.M.L. in V., situazione della quale lo stesso V.A. era ben consapevole essendosene piu’’ volte lamentato, come emergeva da numerosi documenti di causa.
Cio’ premesso, la Corte ha richiamato i presupposti per l’attribuzione della qualifica dirigenziale e confrontandoli con le risultanze di causa ha concluso che al V. non era mai stata attribuita la direzione di un ramo aziendale ne’ la responsabilita’ di un programma di vasta portata concordato con i vertici societari, osservando peraltro che le ridotte dimensioni aziendali e la presenza effettiva in azienda del padre del V., cui erano riferibili tutti i poteri di rappresentanza e gestione, rendevano ben difficile la stessa configurabilita’ di una collaterale posizione dirigenziale.
Di questa sentenza V.A. chiede la cassazione sulla base di due motivi di ricorso che denunziano rispettivamente violazione dell’art. 2094 c.c. (il primo) e dell’art. 2095 c.c. (il secondo).
Il primo motivo si conclude con il seguente quesito: “E’ ammissibile ritenere non provata la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato quando sia stato accertato che nell’impresa, nel caso specifico azienda editoriale, il lavoratore era direttore dell’Ufficio Pubblicita’, si occupava di concordare con gli autori e i committenti le caratteristiche editoriali di un volume o di una pubblicazione, proponeva la pubblicazione di opere, teneva i rapporti con gli autori, concordava la grafica delle copertine e il numero di copie da stampare di una determinata pubblicazione, cioe’ non ritenere che le prestazioni sopradescritte comportassero nel lavoratore l’inserimento nella struttura organizzativa aziendale, assoggettamento al potere gerarchico e disciplinare del datore di lavoro, la messa a disposizione del datore di lavoro delle proprie energie lavorative e la continuita’ nell’attivita’ e conseguentemente la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato?” Il secondo motivo si conclude con il seguente quesito: “E’ ammissibile ritenere non provato lo svolgimento di mansioni dirigenziali e il diritto all’inquadramento quale dirigente per il lavoratore quando e’ stato accertato che il lavoratore nell’impresa, nel caso specifico azienda editoriale era direttore dell’Ufficio Pubblicita’, si occupava di concordare con gli autori o i committenti le caratteristiche editoriali di un volume o di una pubblicazione, proponeva la pubblicazione di opere, teneva i rapporti con gli autori, concordava la pagina della copertina ed il numero delle copie da stampare di una determinata pubblicazione, inoltre eseguiva pagamenti ai creditori, girava ed emetteva assegni, riscuoteva somme e ne dava quietanza, infine rappresentava l’azienda su delega informale, cioe’ ritenere che le mansioni sopradescritte non comportassero nel lavoratore lo svolgimento delle mansioni di dirigente o il diritto all’inquadramento quale dirigente?” I due quesiti, la cui funzione, dato il tipo di vizio asseritamente denunziato, dovrebbe esser quella di evidenziare sinteticamente l’errore di diritto commesso dalla sentenza impugnata, sembrano in realta’ anzitutto proporre alla Corte un diverso apprezzamento degli elementi di fatto della controversia.
Quanto poi al primo quesito in particolare, anche a volerlo considerare come vero e proprio quesito di diritto, appare agevole osservare che secondo il costante orientamento di questa Corte ogni attivita’ umana economicamente rilevante puo’ essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che di rapporto di lavoro autonomo, a seconda delle modalita’ del suo svolgimento e che l’elemento tipico di distinzione del primo dei suddetti tipi di rapporto e’ costituito dalla subordinazione, intesa quale disponibilita’ del prestatore nei confronti del datore di lavoro con assoggettamento al potere direttivo di questo ed alle relative esigenze aziendali, mentre altri elementi – come l’osservanza di un orario, la continuita’ della prestazione e l’erogazione di un compenso continuativo – possono avere, invece, valore indicativo, ma mai determinante. L’esistenza del suddetto vincolo va poi concretamente apprezzata dal giudice di merito con riguardo alla specificita’ dell’incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione, fermo restando che, in sede di legittimita’, e’ censurabile soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto – come tale incensurabile in tale sede se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici – la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice di merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale (per tutte, Cass. 2622/2004).
Il quesito, ipotizzando una sorta di inevitabile natura “oggettivamente” subordinata delle attivita’ poste in essere dal ricorrente non pare tener conto del menzionato orientamento, sicche’, ove esso fosse da considerare come quesito di diritto sarebbe manifestamente infondato.
Considerazioni in parte analoghe possono farsi per il secondo quesito, sotto il profilo che anch’esso, al di la della sua formale intitolazione, tende in realta’ ad ottenere dalla Corte un diverso apprezzamento delle risultanze di causa.
Oltre a cio’, va ricordato che secondo un orientamento, anche in tal caso costante, di questa Corte, il tratto caratterizzante della figura del dirigente e’ rappresentato dall’esercizio di un potere ampiamente discrezionale che incide sull’andamento dell’intera azienda o che attiene ad un autonomo settore produttivo della stessa, non essendo per converso necessaria la preposizione all’intera azienda. (Cass. 15489/2007; in termini analoghi Cass. 2005/18482;
2004/17344).
La Corte di merito si e’ in sostanza uniformata a tale principio, mentre il quesito non tenendo conto delle specifiche precisazioni fatte in sentenza circa il limitato ambito dei poteri accordati al V., attribuisce alla Corte di merito un errore di diritto che sembra manifestamente insussistente.
Il ricorso non merita quindi accoglimento, ne’ le considerazioni svolte dal ricorrente nella memoria inducono a diversa conclusione, poiche’ esse in sostanza ribadiscono il dissenso del ricorrente rispetto alla interpretazione complessiva del materiale istruttorio compiuta dalla Corte di merito.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente alle spese del giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alle spese in Euro 30,00 oltre ad Euro 4000,00 per onorari, nonche’ IVA, CPA e spese generali.
Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2010.
Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2010