Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.1287 del 25/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonio – Presidente –

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. ATRIPALDI Umberto – rel. Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26071-2004 proposto da:

L.R.A.C., *****, M.M., B.M., S.A., G.A., A.R., M.V., R.C., I.S., LA.RO.

A., R.G., D.M.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DL QUIRINALE 26, presso lo studio dell’avvocato ST. LIBERTINI, rappresentati e difesi dagli avvocati LIBERTINI MARIO, GIRLANDO GIUSEPPE;

– ricorrenti –

contro

P.C., *****, P.F., *****, T.G., M.A. quale unica accettante l’eredità del marito T.S., T.

A., T.M.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GRAMSCI 16, presso lo studio dell’avvocato PANDOLFO FRANCO C/O ST. FILANDRI, rappresentati e difesi dall’avvocato SCUDERI GIUSEPPE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 701/2004 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 26/07/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/11/2009 dal Consigliere Dott. UMBERTO ATRIPALDI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L.R.A., M.M., B.M., S. A., G.A., A.R., M.V., R. C., I.S., La.Ro.An., R. G., D.M.M. hanno impugnato, nei confronti di P.C., P.F., T.G., M.A., T.A., T.M., con ricorso notificato il 22.12.04, la sentenza della Corte di Appello di Catania, che confermati i diritti “pro quota” di proprietà ed usufrutto rivendicati dagli intimati sul cortile posto a piano terra con accesso carrabile dal n. *****, e in parziale riforma di quella di 1^ grado, rigettata, anche con riferimento allo spazio occupato dai contatori, le loro domande di usucapione abbreviata, li aveva condannati, con esclusione di M.V. e R.C., al rilascio di detto cortile, nonchè’ al pagamento in solido di Euro 54.000 a titolo di risarcimento, dovuto dal M.V. e dalla R.C. nei limiti di Euro 42.300.

Lamentano: 1) la violazione degli artt. 948, 949 e 922 c.c., contraddittoria motivazione, dato che erroneamente i giudici di merito avevano ritenuto gli intimati, sulla base di una serie di successivi atti di trasferimento, aventi causa di B. S., che nel ***** aveva acquistato da Gi.Ma., Gi.Gi. e Ra.Ag. l’area comprensiva del cortile in questione adiacente il fabbricato dalla stessa realizzato, e distinta dell’area acquistata da T.S., loro dante causa, che vi aveva edificato l’edificio, anch’esso adiacente a detto cortile, e di cui erano condomini: Infatti i giudici di merito avevano basato la loro indagine “per quanto indicato nei titoli relativi all’acquisto dei terreni da parte dei sigg.ri T. e B. avvenuti nel *****”, mentre invece l’azione di rivendica degli intimati doveva essere esaminata ed accertata esclusivamente sulla base del tenore letterale dell’atto di donazione col quale nel ***** era stato loro trasferito il complesso immobiliare di *****, e dal quale non emergeva nulla che potesse far ritenere il cortile come facente parte di detto complesso, non potendosi in alcun modo presumere dalla successione degli atti che gli intimati fossero titolari di un bene “avente la medesima affettiva individuazione di quello spettante al B.”.

Per di più i giudici di merito non avevano considerato che “gli originari atti di acquisto del B. e del T. ( *****) realizzati prima della edificazione del complesso immobiliare” non erano in grado di definire compiutamente “l’effettiva delimitazione dei beni costituenti patrimonio individuale”; tant’è che nei certificati catastali il cortile in questione era indicato di “uso comune”; nè avevano considerato che, in ogni caso, la serie di atti di trasferimento a titolo particolare dal B. agli intimati risultava definitivamente interrotta in relazione all’acquisto degli appartamenti effettuato dai coniugi L.R. e A. dalla curatela del fallimento della soc. di fatto T.;

(esteso al B. quale socio occulto illimitatamente responsabile), giusto verbale di conciliazione del *****, col quale era stato loro trasferito “pro quota”, come bene comune; 2) la violazione dell’art. 1117 c.c., dato che, contrariamente all’assunto dei giudizi di merito, il titolo idoneo ad escludere la presunzione di condomini alita “è quello con cui si trasferisce il bene al singolo condomino”, mentre non può attribuirsi alcun valore “agli atti di acquisto del terreno antecedenti la realizzazione dell’edificio condominiale; e per di più le indicazioni contenute nei loro titoli di acquisto, che definivamo condominiale detto cortile, rappresentavano titoli validi per l’usucapione abbreviata;

3) la violazione dell’art. 1159 c.c., atteso che la Corte di merito aveva ritenuto necessaria per la richiesta applicazione dell’usucapione abbreviata “la perfetta identità fra l’immobile posseduto e quello acquistato in buona fede a non domino”, senza considerare che in relazione ai beni condominiali ex art. 1117 c.c. la mancata esclusione derivante dal titolo, li rendeva oggettivamente compresi nel trasferimento effettuato col medesimo, da cui quindi doveva decorrere il termine decennale di usucapione; 4) la violazione dell’artt. 1147, 1148, 1226 e 2056 c.c.; atteso che erroneamente la Corte di Appello aveva riconosciuto agli intimati il diritto al risarcimento del danno, ricorrendo indebitamente alla liquidazione equitativa, per il presunto periodo di occupazione, senza considerare che non era stata fornita prova alcuna in ordine al preteso danno, e che a norma dell’art. 1148 c.c. il possessore in buona fede risponde verso il rivendicante solo dei frutti percepiti dopo la domanda giudiziale; 5) la violazione degli artt. 2932, 1965, 1478 c.c.; dato che la Corte di merito aveva errato nel non riconoscere ai coniugi L.R. e A. la comproprietà del cortile in questione, sebbene avessero acquistato i loro appartamenti, “con la proporzionale comproprietà di tutti i corpi e servizi costituenti il condominio di cui facevano parte”, direttamente dalla curatela del fallimento delle soc. di fatto T., B. ed altri con verbale di conciliazione del *****, quando cioè il fallimento per effetto della confusione/commistione delle originarie separate proprietà era divenuto unico ed esclusivo proprietario sia delle fabbriche a piano cantinato, a piano terra, e a “piano cortile” (originariamente appartenente al B.) sia delle costruzioni al disopra di tale quota appartenente al T.. Infatti la circostanza che detto verbale fosse “accessorio ad una transazione avente ad oggetto l’esecuzione specifica” di due appartamenti” tra le cui parti comuni non poteva essere ricompreso il cortile in parola, non di proprietà del promittente venditore” ( T.), non poteva considerarsi ostativa al trasferimento della comproprietà dello stesso, considerato che tale atto di trasferimento aveva autonoma e specifica valenza, in cui il bene trasferito è quello indicato dalle parti con l’unico limite derivante dalla sussistenza in capo al cedente della proprietà del bene compravenduto; nè la Corte, mai chiamata a decidere sul punto, poteva interpretare la portata giuridica del verbale di conciliazione “de quo” ed invalidarne o ridurne l’effetto per una indimostrata incompatibilità con la domanda di esecuzione in forma specifica; 6) la violazione degli artt. 332, 333, 334 c.p.c., dato che la domanda di risarcimento danni nei confronti del R. G. e della moglie D.M., non costituitisi in appello, non poteva più essere riproposta con appello incidentale tardivo; per di più non notificato nel loro luogo di residenza. Gli intimati resistono.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Affetto da inammissibilità si manifesta il 1^ motivo col quale i ricorrenti prospettano una questione nuova (la proprietà degli intimati non deriverebbe dal comune originario dante causa B., ma nascerebbe solo dall’atto di donazione del ***** dal quale non si evincerebbe il trasferimento del cortile) non sottoposta all’esame della Corte di Appello e per di più, in violazione del principio dell’autosufficienza non riportano il contenuto dell’atto sul quale fondano il loro apodittico assunto, precludendo così la possibilità di qualsiasi valutazione in merito.

Mentre la censura relativa all’asserita inidoneità degli originari atti (*****), con i quali il B. e il T. acquistarono distinte quote dell’area poi edificata, a definire compiutamente i beni individuali dei medesimi, oltre a rappresentare anch’essa una questione nuova, tende per di più ad una non consentita rinnovazione delle valutazioni in fatto dei giudici di merito che, sulla base dell’analitico esame dei rispettivi atti di acquisto e delle risultanze della C.T.U., hanno accertato l’inequivoca ubicazione del cortile in questione nell’area di proprietà esclusiva del B., originario dante causa degli intimati.

Risulta, poi, infondata la censura concernente l’acquisto dei due appartamenti effettuato dai coniugi L.R. e A. nel ***** con verbale di conciliazione della curatela della soc. di fatto T., B. ed altri, e con ciò si esamina anche il 5^ motivo di analogo contenuto. Infatti, contrariamente all’assunto dei ricorrenti, l’asserita “confusione/commistione” dei beni individuali dei soci confluiti nel fallimento divenuto così esclusivo proprietario sia dei beni del T. che del B., non si vede come posa interferire sulla consistenza di entità condominiali già costituite. Tanto più che legittimamente la Corte di Appello ha rilevato come l’intervenuta transazione del ***** fra la curatela e i menzionati ricorrenti, vertente sull’obbligo del T. di stipulare il definitivo di vendita dei due appartamenti compresi nel condominio posto sull’area già di sua esclusiva proprietà, era inidonea a trasferire “pro quota” il cortile “de quo” non compreso, come visto, fra i beni comuni, e quindi di necessità escluso sia nell’originario preliminare di vendita, che nella inerente transazione avente per oggetto la lite concernente il preteso trasferimento degli appartamenti e quindi il medesimo rapporto giuridico. Mentre, in relazione alla ventilata ipotesi di transazione mista ex art. 1695 c.c., comma 2 (“possibilità di creare, modificare, estinguere anche rapporti diversi”) la censura si manifesta inammissibile per violazione del principio dell’autosufficienza, essendo riportato in modo estremamente sommario il contenuto dell'”atto di conciliazione”; si che risulta preclusa ogni verifica in tal senso.

Affetto da inammissibilità è anche il 2^ motivo nella parte in cui è asserita l’irrilevanza degli atti di acquisto dei terreni al fine di stabilire la titolarità del cortile in questione, basandosi su un’apodittica affermazione non sorretta da alcuna concreta argomentazione. E’ invece infondato, e con ciò si esamina anche il 3^ motivo di analogo contenuto, in relazione alla contestata affermazione d’inidoneità degli atti di acquisto dei ricorrenti ai fini dell’usucapione abbreviata ex art. 1117 c.c. della proprietà di detto cortile.

Infatti, contrariamente all’assunto dei medesimi, l’art. 1117 c.c. stabilisce una presunzione di condominialità solo in relazione a strutture comunque comprese nello stabile condominiale, altrimenti di proprietà esclusiva di singoli condomini, ma non certo in relazione ad immobili che, come nella specie, risultino di spettanza di terzi estranei al condominio; donde legittimamente la Corte di merito ha rilevato come all’asserito possesso mancasse la corrispondenza di un idoneo titolo di acquisto “a non domino”, necessaria per l’usucapione abbreviata.

Manifestamente infondato è anche il 4^ motivo considerato che, come rilevato dalla Corte di Appello, il danno da illecita occupazione di un immobile è insito nella corrispondente indebita privazione del godimento subita dal proprietario pertanto, ai imi del risarcimento del corrispondente lucro cessante, valutabile con equo apprezzamento ex art. 2056 c.c., comma 2, tenuto solo a provare tale evenienza, essendo sufficiente ai fini della quantificazione, in mancanza di ulteriori pretese, fare riferimento ai correnti parametri stabiliti dal mercato immobiliare.

Il riconoscimento, poi, dei frutti spettanti ex art. 1148 c.c. al possessore in buona fede, richiesto per la 1 volta in questa sede, costituisce una inammissibile questione nuova non sottoposta all’esame della Corte di merito.

Risulta, invece, fondato il 6^ motivo, atteso che l’impugnazione incidentale tardiva non estende i suoi effetti nei confronti delle parti che non abbiano proposto l’appello principale quando le rispettive posizioni siano scindibili, come nella verificatasi ipotesi in cui, in relazione alla domanda di risarcimento, non accolta in 1 grado, le situazioni dei singoli ricorrenti, solidalmente obbligati, rimangono distinte art. 1306 c.c.; donde la pregressa decisione di rigetto nei confronti dei coniugi R.G. non appellanti, risulta definitivamente coperta dal giudicato.

All’accoglimento di quest’ultimo motivo, segue l’inerente cassazione dell’impugnata sentenza e nel merito, la eliminazione della condanna del R.G. e della D.M. al risarcimento di Euro 54.000 a favore degli intimati, con compensazione delle relative spese della presente fase e del giudizio di appello, attesa la reciproca soccombenza. Al rigetto degli altri motivi segue la condanna alle spese dei restanti ricorrenti.

P.Q.M.

Rigetta il 1^, 2^, 3^, 4^ e 5^ motivo, accoglie il 6^, cassa in relazione e, decidendo nel merito, elimina la condanna di R. G. e D.M.M. al risarcimento di Euro 54.000 e dichiara compensate le spese della presente fase e del giudizio di appello tra i medesimi e gli intimati. Condanna i restanti ricorrenti alle spese in Euro 2.700, di cui 2.500 per onorari.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2010

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