Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.1293 del 25/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. ODDO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.R., P.D. e P.O. –

rappresentati e difesi in virtù di procura speciale in calce al ricorso dall’avv. CANALI Riccardo del Foro di Milano e dall’avv. Lorenzo Crisostomi Travaglini, presso il quale sono elettivamente domiciliati in Roma, alla via Torlonia, n. 33;

– ricorrenti –

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze – in persona del Ministro in carica – e CONSOB – Commissione Nazionale per le Società e la Borsa

– rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale sono legalmente domiciliati in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrenti –

e Curatela del fallimento della EFT – European Financial Investiments S.p.A. – in persona del curatore dott. G.L. – domiciliato in *****;

– intimato –

avverso il decreto della Corte di appello di Milano de 30 giugno 2004

– n. 69/04 r.g., n. 591/V cron;

Udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 22 dicembre 2009 dal Consigliere dott. ODDO Massimo;

uditi per i ricorrenti l’avv. Riccardo Canali e per i controricorrenti l’avv. Roberto Tortora;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, su proposta della CONSOB, con decreto del 28 ottobre 2003 ingiunse alla EFI – Europea Financial Investiments – S.p.A., il pagamento della sanzione amministrativa di Euro 464.500,00, con obbligo di regresso nei confronti, tra gli altri, di C.R., presidente del collegio sindacale, dei sindaci D. ed P.O. in ragione di Euro 92.900,00 ciascuno, per la violazione del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 192, comma 1 non essendo stata promossa dalla società l’offerta pubblica di acquisto sulla totalità delle azioni della Stayer S.p.A., alla quale l’EFI era obbligata avendone acquistato il ***** una partecipazione superiore al trenta per cento.

Il C. ed i P. proposero opposizione avverso di decreto, negando che fosse loro imputabile un’omissione di vigilanza sull’attività dell’EFI, e con successiva memoria dedussero che:

a) il C. nel corso dei fatti di causa aveva rassegnato le proprie dimissioni da presidente del collegio sindacale;

b) l’OPA non era stata proposta per il mancato ottenimento delle garanzie dell’operazione richieste dalla CONSOB;

c) l’EFI aveva in seguito ridotto la propria partecipazione nella Stayer al di sotto del trenta per cento che rendeva obbligatoria l’OPA;

d) il pagamento in misura ridotta da parte della società della sanzione irrogata ad uno degli amministratori aveva estinto l’obbligazione degli altri obbligati in solido. Con decreto del 30 giugno 2004 la Corte di appello, pronunciando nel contraddittorio con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, della CONSOB e della società EFI, rimasta contumace, rigettò l’opposizione e condannò gli opponenti in solido al pagamento delle spese del giudizio.

Il C. ed i P. sono ricorsi per la cassazione del decreto con dieci motivi, illustrati da successiva memoria, il Ministero e la CONSOB hanno resistito con controricorso e l’EFI, nelle more dichiarata fallita, non ha svolto attività processuale.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso denuncia la nullità del decreto della Corte di appello e del relativo procedimento, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo ritenuto precluso l’esame delle deduzioni non contenute nell’atto di opposizione, ma formulate dai ricorrenti in una memoria depositata nel corso del giudizio.

Il secondo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 101 c.p.c., avendo ritenuto precluso l’esame delle deduzioni non contenute nell’atto di opposizione, ma formulate dai ricorrenti in una memoria depositata nel corso del giudizio, nonostante che su di esse gli opposti avessero avuto la possibilità di contraddire.

Il terzo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo ritenuto precluso l’esame delle deduzioni non contenute nell’atto di opposizione, ma formulate dai ricorrenti in una memoria depositata nel corso del giudizio, benchè non integrassero dei motivi nuovi, ma costituissero allegazioni di circostanze di fatto ad integrazione di quelli contenuti nell’atto di opposizione.

Il quarto motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa motivazione sul punto decisivo della non imputabilità della mancata concessione delle garanzie richieste dalla CONSOB per il lancio dell’OPA ad una omissione del controllo di legittimità imposto ai sindaci sull’attività del consiglio di amministrazione.

Il quinto motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa motivazione sul punto decisivo delle dimissioni da sindaco e presidente del collegio sindacale comunicate dal C. il 30 ottobre 2002 e portate in c.d.a. per la seduta del 23 dicembre 2002.

Il sesto motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa/illogica motivazione sul punto decisivo che lo scrupolo, con il quale il collegio sindacale aveva tenuto le proprie riunioni trimestrali, chiedendo inutilmente al c.d.a. chiarimenti e la possibilità di esaminare la documentazione relativa ai titoli inseriti per rilevanti importi nelle poste di bilancio, rendeva assolutamente attendibile la circostanza che i sindaci non erano stati messi in condizione di esercitare il con trailo sul mancato lancio dell’OPA. Il settimo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa motivazione sul punto decisivo della riduzione della partecipazione dell’EFI in Stayer al di sotto del limite dimensionale che imponeva il lancio obbligatorio dell’OPA non appena la società si era resa conto dell’impossibilità dell’operazione.

L’ottavo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa motivazione sul punto decisivo del disconoscimento da parte del presiedente del collegio sindacale della propria sottoscrizione sulla domanda di OPA inoltrata dalla società alla CONSOB;

Il nono motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa/insufficiente motivazione, non avendo esaminato congiuntamente i singoli punti di fatto descritti nei motivi di ricorso da 4) ad 8), che nel loro complesso integravano degli “indici di riscontro circostanziati per far ritenere plausibile” la falsità dei verbali che attestavano la presenza dei sindaci alle riunioni del c.d.a.

ovvero che di esse era stato dato loro regolare avviso.

Il decimo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 192, t.u.f., e art. 2407 c.c., giacchè, escludendo la natura solidale della responsabilità della società e degli amministratori, e di quella dei sindaci per i fatti o le omissioni da compiuti da questi ultimi, che la sanzione per la violazione accertata potesse essere moltiplicata per quanti erano gli obbligati, erroneamente la Corte di appello aveva negato che il pagamento da parte della società della sanzione irrogata ad uno degli amministratori avesse estinto il debito degli altri coobbligati.

Il primo, secondo e terzo motivo, che per connessione vanno trattati congiuntamente, sono in parte inammissibili ed in altra infondati.

Sono inammissibili, laddove non soddisfano l’onere di riportare nei loro esatti termini, e non genericamente o per riassunto, le domande o le eccezioni sulle quali il giudice di merito non si sarebbe pronunciato, siccome imposto dal principio di autosufficienza del ricorso per consentire la verifica, oltre che della ritualità e tempestività delle questioni prospettate in sede di legittimità, anche della loro decisività, la cui osservanza non può ritenersi esclusa dalla riconducibilità della violazione dell’art. 112 c.p.c., ad un error in procedendo, rispetto al quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, giacchè il potere di esaminare gli atti del processo non comporta alcuna deroga alla non rilevabilità d’ufficio del vizio di mancata corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (cfr. da ultimo: Cass. civ., sez. 2^, sent.

19 marzo 2007, n. 6371). Egualmente inammissibili sono nella parte in cui, sotto la specie della mancata corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, anzichè della carenza di motivazione, non deducono l’omesso esame di domande od eccezioni, bensì di allegazioni di fatto a sostegno dei motivi originariamente proposti.

Sono infondati, invece, quando ignorano che il giudizio di opposizione a sanzione amministrativa pecuniaria previsto dalla L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23 è strutturato come un giudizio civile ordinario e risponde agli stessi principi, tra i quali quello della non modificabilità della causa petendi (cfr.: Cass. civ., sez. un., sent. 19 aprile 1990, n. 3271) e che le disposizioni ostative alla formulazione da parte del l’attore, anche nella prima udienza di trattazione, di nuove domande non conseguenti a quelle riconvenzionali o ad eccezioni del convenuto, contenute negli artt. 183 e 184 c.p.c. nel testo introdotto dalla L. n. 353 del 1990 ed anteriore alla novella n. 35/2005 – disciplinanti ratione temporis il giudizio -, non sono derogabili dalle parti, essendo espressione delle esigenze pubblicistiche di concentrazione e di speditezza del processo costituzionalizzate nel principio della sua ragionevole durata (cfr.: art. 111 Cost, comma 2).

Anche in detto giudizio, dunque, il fondamento del petitum, costituito dai motivi formulati nell’atto di opposizione, non è modificabile nel corso del procedimento ed è del tutto irrilevante, a fronte del potere ufficioso di rilevare la preclusione del mutamento e/o della novità della domanda conseguente alla proposizione di nuovi motivi, che l’opposto, o gli opposti, abbiano su di essi interloquito o, anche semplicemente, accettato il contraddittorio (cfr.: Cass. civ., sez. 1^, sent. 13 dicembre 2006, n. 26691 ; Cass. civ., sez. 1^, sent. 10 dicembre 2004).

Inammissibili, altresì, sono il quarto, il quinto, il sesto, il settimo, l’ottavo ed il nono motivo, anche essi da trattare congiuntamente, che investono tutti l’adeguatezza e la logicità della motivazione del provvedimento impugnato.

Nel regime anteriore alla sostituzione dell’art. 360 c.p.c., operata dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – applicabile alla fattispecie -, il decreto della Corte d’Appello, che decideva sull’opposizione contro il provvedimento con cui, su proposta della Banca d’Italia o della CONSOB, il Ministero del Tesoro aveva applicato una sanzione amministrativa a norma del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 195, era impugnabile per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., unicamente per violazione di legge, e non anche per vizi attinenti alla sua motivazione, salvo che la loro denuncia non si risolvesse in quella dell’inosservanza dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per la carenza materiale o mera apparenza di essa, in quanto sviluppantesi con argomentazioni non idonee a rivelare il procedimento logico attraverso il quale il giudice di merito era pervenuto alla decisione (cfr.: Cass. civ., sez. 1^, sent. 14 febbraio 2006, n. 3157; Cass. civ., sez. 1^, sent. 8 aprile 2004, n. 69349. Una tale inosservanza non è stata esplicitamente prospettata dai ricorrenti e, in ogni caso, non è ravvisabile con riferimento ai motivi di opposizione da essi originariamente proposti, che sono stati compiutamente esaminati e ritenuti infondati dalla Corte di appello sotto il profilo sia dell’incolpevole ignoranza dei sindaci dell’acquisto della rilevante partecipazione della Stayer e sia della loro successiva impossibilità di attivarsi per il lancio obbligatorio dell’OPA, in base al rilievo che non vi era alcuna attendibile prova della falsità dei documenti che attestavano la presenza dei sindaci alle sedute del c.d.a. e la convocazione di quelli assenti, ed all’assorbente considerazione che, essendo obbligo dei sindaci vigilare sulla prudente e corretta gestione della società, l’eventuale mancata conoscenza di un’operazione di acquisizione azionaria, destinata a concludersi con la promozione obbligatoria di OPA, ed omesso controllo che la stessa avvenisse nel rispetto dei parametri procedimentali previsti dalla legge, erano in ogni caso riconducibili ad una loro inescusabile negligenza. Infondato, infine, è il decimo motivo.

Il D.Lgs. 23 luglio 1996, n. 415, innovando con gli artt. 43 e 44 alla anteriore disciplina dettata dalla L. 2 gennaio 1991, n. 1, ha introdotto la diretta responsabilità per le violazioni alle norme di legge o di regolamento, od alle disposizioni impartite dalle autorità di vigilanza, di coloro che svolgono funzioni di amministrazione, di direzione o di controllo presso i soggetti esercenti l’attività di intermediazione mobiliare, nonchè dei dipendenti di essi, e disposto che le società e gli enti ai quali appartengono i responsabili delle violazioni rispondono del pagamento della sanzione e sono tenuti ad esercitare il diritto di regresso verso i responsabili.

Dette disposizioni, che, unitamente a quella della diretta responsabilità degli autori delle violazioni, ribadivano il principio della solidarietà delle società e degli enti nel pagamento delle sanzioni, già affermato in via generale per violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 6, comma 3, sono state mantenute, anche nella parte in cui per assicurare l’effettività della sanzione stabilivano l’obbligo di regresso, nel D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (T.U. delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria), che ha abrogato il D.Lgs. 23 luglio 1996, n. 415. In base alla normativa vigente, dunque, destinatari delle sanzioni sono direttamente gli autori delle violazioni, tra i quali vanno ricompresi anche coloro che svolgono funzioni di controllo, e la natura personale della responsabilità degli autori ed il principio dettato dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 5 secondo il quale, quando più persone concorrono in una violazione amministrativa, ciascuna di esse soggiace alla sanzione per questa disposta, escludono che il pagamento della sanzione irrogata ad un singolo amministratore, anche se operato dalla società coobbligata in solido, possa assumere un effetto estintivo dell’autonoma obbligazione di ciascuno dei soggetti concorrenti nella violazione.

All’inammissibilità od infondatezza dei motivi seguono il rigetto del ricorso e la condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del giudizio liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in Euro 7.200,00, oltre spese prenotate e prenotande a debito, spese generali, iva, cpa ad altri accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2010

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