LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUPI Fernando – Presidente –
Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –
Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –
Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 20579/2008 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;
– ricorrente –
contro
SICAM SRL in liquidazione, in persona del Liquidatore legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE DEI MELLINI 44, presso lo studio dell’avvocato MILETO SALVATORE, che la rappresenta e difende, giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 268/2007 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di ROMA SEZIONE DISTACCATA di LATINA del 4/04/07, depositata il 12/06/2007;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’01/12/2009 dal Consigliere Relatore Dott. DI IASI Camilla;
udito l’Avvocato Mileto Salvatore, difensore della controricorrente che si riporta agli scritti;
è presente il P.G. in persona del Dott. VELARDI Maurizio che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.
IN FATTO E IN DIRITTO 1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione (successivamente illustrato da memoria) nei confronti della S.I.C.A.M. s.r.l. in liquidazione (che resiste con controricorso) e avverso la sentenza n. 268/39/07, depositata il 12-06-07, con la quale, in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento per Irpeg e Ilor relativo al 1997, la C.T.R. rigettava l’appello dell’Agenzia delle Entrate, confermando la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso della società.
2. Il primi due motivi di ricorso (coi quali si deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. sotto il duplice profilo dell’omessa pronuncia – per avere i giudici della C.T.R. omesso di pronunciarsi sul motivo d’appello col quale l’Ufficio aveva dedotto che i primi giudici avevano annullato l’avviso opposto sostenendo che la documentazione extracontabile rinvenuta era priva di riscontri oggettivi benchè la parte non avesse avanzato tale richiesta nel ricorso introduttivo – e della extrapetizione – per avere i medesimi giudici pronunciato anch’essi sulla valenza probatoria della suddetta documentazione nonostante la mancanza di domanda in proposito-) sono manifestamente infondati.
E’ infatti da rilevare, con riguardo alla denuncia di omessa pronuncia, che nella sentenza impugnata si da espressamente conto del fatto che l’Ufficio aveva impugnato la sentenza di primo grado anche per extrapetizione, ma la censura viene (unitamente alle altre proposte con l’appello) rigettata rilevando, tra l’altro, che nel giudizio di primo grado era stato dedotto che l’Ufficio non aveva adempiuto all’onere probatorio gravante su di lui non avendo fornito alcun elemento probatorio a sostegno di quanto sostenuto nella motivazione dell’avviso opposto (e quindi escludendo la denunciata extrapetizione).
I giudici d’appello hanno pertanto interpretato il ricorso introduttivo ed hanno ritenuto che in esso fosse comunque denunciata la mancanza di prova della pretesa fiscale (quindi l’inidoneità degli elementi probatori, anche presuntivi, forniti dal soggetto onerato); in proposito, è appena il caso di rilevare (con riguardo alla denuncia di extrapetizione) che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, occorre tenere distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda, o la pronuncia su una domanda non proposta, dal caso in cui si censuri l’interpretazione data dal giudice di merito alla domanda stessa, in quanto solo nel primo caso si verte propriamente in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c. per mancanza della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, prospettandosi che il giudice di merito sia incorso in un “error in procedendo”, in relazione al quale la Corte di Cassazione ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti giudiziari, onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini delle pronuncia richiestale, mentre nel caso in cui venga invece in considerazione l’interpretazione del contenuto o dell’ampiezza della domanda, tali attività integrano un accertamento in fatto, tipicamente rimesso al giudice di merito, insindacabile in cassazione salvo che sotto il profilo della correttezza della motivazione della decisione impugnata sul punto (v. tra numerose altre cass. n. 20373 del 2008).
Peraltro, non risultando specificamente depositato unitamente al ricorso per cassazione – il ricorso introduttivo del giudizio (dalla cui lettura dovrebbe emergere la denunciata extrapetizione), il motivo sarebbe in ogni caso improcedibile ai sensi dell’art. 369 c.p.c., n. 4, a norma del quale, insieme col ricorso (e pertanto nello stesso termine previsto dal primo comma del citato art. 369 c.p.c.) devono essere depositati a pena di improcedibilità “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”.
Come è evidente, la norma non distingue tra i vari tipi di censura proposti, e prevede il deposito non solo di documenti o contratti, ma anche di atti processuali, con la conseguenza che, anche in caso di denuncia di error in procedendo, gli atti processuali sui quali la censura si fonda devono essere specificamente e nominativamente depositati unitamente al ricorso e nello stesso termine, non rilevando a tal fine nè la riscrittura (in tutto o in parte) dell’atto in questione nel ricorso nè la richiesta di acquisizione del fascicolo d’ufficio dei gradi di merito, nè, eventualmente, il deposito del fascicolo di parte (che in ipotesi tali atti contenga), se tale deposito non interviene nei tempi e nei modi di cui al citato art. 369 c.p.c. e se all’atto del deposito viene indicato in modo generico il suddetto fascicolo senza specificare gli atti e documenti in esso contenuti sui quali il ricorso è fondato.
La censura esposta nel terzo motivo (col quale si deduce violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 54, nonchè artt. 2727 e seg. e 2697 c.c. per aver ritenuto la documentazione extracontabile rinvenuta dalla G.d.F. inidonea a costituire una presunzione) è inammissibile innanzitutto per difetto di autosufficienza. I giudici d’appello nella motivazione della sentenza impugnata non hanno espressamente affermato che il rinvenimento presso la sede della contribuente di documentazione extracontabile dalla quale risulti l’esistenza di operazioni non contabilizzate e non dichiarate non possa dare luogo a presunzione con conseguente inversione dell’onere della prova, ma, premesso che l’onere della prova della pretesa avanzata incombeva nella specie all’amministrazione, hanno chiaramente affermato che tale onere non risultava assolto e che in ogni caso la contribuente aveva cercato, nei limiti del possibile, di dimostrare che gli appunti rinvenuti non si riferivano ad una contabilità parallela ma ad una prima nota: tali affermazioni, concernendo accertamenti in fatto, dovevano essere censurate in questa sede innanzitutto riportando testualmente in ricorso tutti gli elementi probatori (eventualmente trascurati o mal valutati dai giudici d’appello) forniti in giudizio dall’amministrazione a sostegno della pretesa tributaria per consentire a questo giudice di valutarne la decisività (ossia, nello specifico, il fatto che dalla documentazione extracontabile rinvenuta risultavano operazioni non contabilizzate e non dichiarate e quindi l’idoneità di tale documentazione a fondare l’invocata presunzione).
La censura esposta nel quarto motivo, (col quale si deduce violazione dell’art. 654 c.p.p. e art. 116 c.p.c.) è inammissibile per carenza di interesse, posto che nella decisione impugnata ci si limita a dare atto della produzione della sentenza penale con la quale il legale rappresentante della Gemini s.r.l. era stato assolto dall’imputazione di emissione di fatture per operazioni inesistenti nei confronti della Sicam s.r.l., senza fondare su tale circostanza la decisione assunta, che risulta invece sorretta da ulteriori e diverse rationes decidendi.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese che liquida in Euro 3.200 di cui Euro 3.000 per onorari oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2010