LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUPI Fernando – Presidente –
Dott. D’ALESSANDRO Paolo – rel. Consigliere –
Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –
Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –
Dott. GRECO Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
L.S.;
– intimato –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 79/50/07 dell’11/9/07.
FATTO E DIRITTO
Considerato che il Consigliere relatore, nominato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione scritta prevista dall’art. 380 bis c.p.c., nei termini che di seguito si trascrivono:
“L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione contro la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia che ha rigettato l’appello dell’ufficio contro la pronuncia di primo grado, che aveva accolto il ricorso del contribuente contro il diniego di rimborso IVA richiesto con istanza del 7/10/03.
L’intimato non si è costituito.
Il ricorso contiene due motivi. Può essere trattato in camera di consiglio (art. 375 c.p.c., n. 5) ed accolto, per manifesta fondatezza, alla stregua delle considerazioni che seguono:
Con il primo motivo l’Agenzia, sotto il profilo della violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis, censura la sentenza appellata per avere in sostanza ritenuto che ai fini del rimborso IVA non sia necessaria istanza e che il relativo diritto sia soggetto alla sola prescrizione decennale.
Il mezzo è manifestamente fondato. Questa Corte ha affermato che, in materia di IVA, la completezza della domanda di rimborso dell’eccedenza d’imposta detraibile intesa come conformità al modello legale, quale prefigurato dalla disciplina legislativa (D.P.R. 26 ottobre 1973, n. 633, artt. 28, 30 e 38 bis) e dalla normativa secondaria cui essa rinvia – costituisce un vero e proprio onere a carico del contribuente, con la conseguenza che una domanda di rimborso formulata in senso sostanzialmente difforme dal predetto modello legale, e cioè carente degli elementi che alla stregua delle indicate fonti normative ne costituiscono il contenuto necessario, è inidonea a far decorrere il termine stabilito ai fini dell’insorgenza del diritto alla percezione degli interessi sulla somma di cui sia stato riconosciuto il diritto al rimborso (novantesimo giorno successivo a quello della presentazione dell’istanza), coincidendo il relativo dies a quo solo con il momento della successiva regolarizzazione dell’istanza (Cass. 21053/05, 10098/05).
Ne discende – facendo applicazione dei medesimi principi – che non è sufficiente, perchè sorga il diritto al rimborso, che dalla dichiarazione emerga l’esistenza del credito, ma è necessario che la volontà di chiedere il rimborso di tale credito sia esplicitata mediante la dichiarazione o l’apposita istanza di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis.
Con il secondo motivo, sotto il profilo della violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, la sentenza viene censurata quanto all’assunto che il diritto al rimborso sia soggetto al solo termine di prescrizione decennale e non al termine decadenziale di cui alla norma citata.
Anche il secondo motivo è manifestamente fondato, in quanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte – nell’ordinamento tributario vige, per la ripetizione del pagamento indebito, un regime speciale basato sull’istanza di parte, da presentare, a pena di decadenza, nel termine previsto dalle singole leggi di imposta (in specie, per i rimborsi di versamenti diretti attinenti alle imposte sui redditi, dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38) o, comunque, in difetto, dalle norme sul contenzioso tributario (art. 16, comma sesto, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 e, ora, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, comma 1, lett. g, e art. 21, comma 2) (tra le tante, Cass. 15840/06).
Nella specie trovava dunque applicazione il citato art. 21, secondo cui la domanda di rimborso non può essere presentata dopo due anni dal pagamento o dal momento in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”;
che le parti non hanno presentato memorie; che il collegio condivide la proposta del relatore; che pertanto la sentenza impugnata deve essere cassata;
che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo;
che appare equo compensare le spese dei gradi di merito e condannare il contribuente al pagamento di quelle del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.000,00 di cui Euro 800,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.
P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo; compensa le spese dei gradi di merito e condanna il contribuente al pagamento di quelle del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.000,00 di cui Euro 800,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 2 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2010