LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUPI Fernando – Presidente –
Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –
Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –
Dott. VIRGILIO Biagio – rel. Consigliere –
Dott. GRECO Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
EMILIANAUTO GROUP s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Lungotevere Flaminio n. 6, presso l’avv. GREZ Gian Marco, rappresentata e difesa dall’avv. Morello Antonio giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
COMUNE di BOLOGNA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via Cicerone n. 28, presso l’avv. DI BENEDETTO Pietro, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna n. 214/17/06, depositata il 19 settembre 2007;
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 2 dicembre 2009 dal Relatore Cons. Dott. VIRGILIO Biagio.
La Corte:
RITENUTO IN FATTO
che, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., e’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione:
“1. La Emilianauto Group s.p.a. (gia’ Emilianauto s.p.a.) propone ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna n. 214/17/06, depositata il 19 settembre 2007, accogliendo l’appello del Comune di Bologna, e’ stata affermata la legittimita’ degli avvisi di accertamento della TARSU emessi nei confronti della societa’ anzidetto per gli anni 1999/2003: in particolare, il giudice d’appello ha ritenuto che la contribuente non avesse diritto ad alcuna esclusione dalla tassa de qua in ragione della asserita inutilizzabilita’ dei locali oggetto di contestazione, in assenza di denuncia originaria o di variazione che evidenziasse i presupposti per il diritto alla esclusione medesima.
Il Comune di Bologna resiste con controricorso.
2. Con il primo motivo, la ricorrente, denunciando violazione di legge, pone il quesito “se l’espressione obiettive condizioni di inutilizzabilita’ di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 2 deve essere interpretata avendo riguardo al concreto utilizzo dell’immobile ovvero all’astratto concetto di utilizzabilita’ dello stesso, a prescindere dalle sue condizioni oggettive.
Il motivo appare inammissibile, poiche’ il riportato quesito non risponde ai requisiti prescritti, per la sua formulazione, dall’art. 366 bis c.p.c., risolvendosi in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilita’ alla concreta fattispecie in esame (Cass., Sez, un., nn. 36 del 2007, 6420 del 2008).
3. Anche il secondo motivo, con il quale si denuncia l’insufficienza e la contraddittorieta’ della motivazione, appare inammissibile in relazione all’art. 366 bis c.p.c. cit., essendo privo del necessario momento di sintesi atto a circoscriverne puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’ (ex plurimis, Cass. n. 2652 del 2008).
4. Per completezza, va osservato che il ricorso appare comunque manifestamente infondato, in base al consolidato principio della giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e’ dovuta, a norma del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62 per l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, ad esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie ad abitazioni e dei locali e delle aree che, per la loro natura o il particolare uso cui sono stabilmente destinati, o perche’ risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilita’, non possono produrre rifiuti: tali esclusioni non sono, tuttavia, automatiche, perche’ la detta norma, ponendo una presunzione iuris tantum di produttivita’, superabile solo dalla prova contraria del detentore dell’area, dispone altresi’ che le circostanze escludenti la produttivita’ e la tassabilita’ siano dedotte “nella denuncia originaria” o in quella “di variazione”, e debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione (Cass. nn. 9309 e 19459 del 2003, 16459, 18862 e 19173 del 2004).
5. In conclusione, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio, in quanto inammissibile, o, comunque, manifestamente infondato.”;
che la relazione e’ stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti;
che non sono state presentate conclusioni scritte da parte del p.m., mentre ha depositato memoria la ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione, propendendo – anche in base alle argomentazioni svolte dalla ricorrente in memoria – per la manifesta infondatezza (anziche’ per l’inammissibilita’) del ricorso, il quale, pertanto, deve essere rigettato;
che la ricorrente va conseguentemente condannata alle spese del presente giudizio di legittimita’, che si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 3200,00, di cui Euro 3000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.
Cosi’ deciso in Roma, il 2 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010