LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ADAMO Mario – Presidente –
Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –
Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –
Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –
Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 5724/2007 proposto da:
P.L., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARRA Alfonso Luigi, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto n. 51082/04 V.G. della CORTE D’APPELLO di ROMA del 31/10/05, depositato il 13/02/2006;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio dell’08/10/2009 dal Consigliere e Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;
è presente il P.G. in persona del Dott. PIERFELICE PRATIS.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
p.1.- La Corte d’appello di Roma – adita da P.L. al fine di conseguire l’equa riparazione per la lamentata irragionevole durata di un processo civile incardinato dinanzi al giudice del lavoro di Napoli, iniziato con ricorso depositato il 29 ottobre 1998, pendente alla data del 15.7.2004, avente ad oggetto l’adeguamento all’80% di quanto riscosso a titolo di sussidio per L.S.U. – con decreto del 13.2.2006 ha condannato il Ministero della Giustizia a pagare alla ricorrente la somma di Euro 1.500,00, oltre al rimborso delle spese processuali, a titolo di danno non patrimoniale per la durata del processo ritenuta irragionevole, pari a tre anni, mesi due e giorni sedici.
Per la cassazione di tale decreto la P. ha proposto ricorso affidato a undici motivi.
Il Ministero intimato ha resistito con controricorso. Il ricorso, acquisite le conclusioni scritte del P.G., il quale ne ha chiesto l’accoglimento limitatamente alla liquidazione del danno, viene deciso ai sensi dell’art. 375 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
p.2. – Con i motivi di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001 e Convenzione europea per i diritti dell’uomo, come interpretata dalla Corte europea) e relativo vizio di motivazione, lamentando, in estrema sintesi, che la Corte di appello:
a) non ha ritenuto direttamente applicabile la C.E.D.U., sia erroneamente applicando la normativa italiana in contrasto con la C.E.D.U., dimenticando che la L. n. 89 del 2001, costituisce diretta applicazione della C.E.D.U. – specie art. 6 -, sia disattendendo la giurisprudenza europea e l’interpretazione, i parametri dalla stessa enunciati e la relativa elaborazione ermeneutica;
b) non ha tenuto conto che la durata ragionevole del processo dovrebbe essere determinata, tenendo presente la disciplina delle controversie previdenziali, in sei mesi dal deposito del ricorso;
c) non si è attenuta ai parametri minimi sanciti dalla giurisprudenza di Strasburgo in tema di quantificazione dell’equo indennizzo che non può essere inferiore a Euro 1.000,00 – Euro 1.500,00 per anno;
d) erroneamente ha ritenuto la controversia di modesto valore, posto che le condizioni economiche del ricorrente sono tali che anche una controversia di modesto valore gli procura patema d’animo. Richiama la giurisprudenza delle Sezioni unite secondo la quale l’entità della posta in gioco non può giustificare il mancato riconoscimento del danno una volta accertata la durata irragionevole del processo;
f) ha erroneamente applicato la tariffa professionale, richiamando le voci relative ai procedimenti speciali anzichè quelle relative al processo contenzioso.
p.3.- Osserva la Corte che i motivi con i quali sostanzialmente si lamenta la liquidazione di un indennizzo non corrispondente ai criteri elaborati dalla giurisprudenza della CEDU, sono manifestamente fondati, tenuto conto del limite minimo di Euro 750,00 per anno di ritardo applicato dalla corte europea, in quanto nessun argomento del ricorso impone di derogare in melius quanto ai primi tre anni mentre, per il ritardo ulteriore occorre applicare il limite minimo di Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo (giurisprudenza della Sezione consolidata: cfr. tutte le decisioni emesse dalla Sez. 1^, e dalla sottosezione 1^ nella c.c. del 30.9.2009), Quanto alle restanti censure, invece, va ricordato che a più riprese questa Corte ha affermato che la L. n. 89 del 2001, art. 2, espressamente stabilisce che il danno debba essere liquidato per il solo periodo eccedente la durata ragionevole (v., da ultimo, Sez. 1^, n. 28266 del 2008). Invero, “ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, deve aversi riguardo al solo periodo eccedente il termine ragionevole di durata e non all’intero periodo di durata del processo presupposto. Ne rileva il contrario orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, poichè il giudice nazionale è tenuto ad applicare le norme dello Stato e, quindi, il disposto dell’art. 2, comma 3, lett. a) della citata Legge; non può, infatti, ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dei criteri di determinazione della riparazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, attraverso una disapplicazione della norma nazionale, avendo la Corte costituzionale chiarito, con le sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo non crea un ordinamento giuridico sopranazionale e non produce quindi norme direttamente applicabili negli Stati contraenti, essendo piuttosto configurabile come trattato internazionale multilaterale, da cui derivano obblighi per gli Stati contraenti, ma non l’incorporazione dell’ordinamento giuridico italiano in un sistema più vasto, dai cui organi deliberativi possano promanare norme vincolanti, omisso medio, per tutte le autorità interne” (Sez. 1^, Sentenza n. 14 del 03/01/2008 (Rv. 601232).
E’ manifestamente infondato, altresì, il motivo con il quale si lamenta che la corte territoriale abbia erroneamente determinato la durata ragionevole del processo de quo risultando dal provvedimento impugnato che tale durata è stata accertata, sulla base della valutazione della complessità del procedimento, in due anni e mezzo per il primo grado, mentre la ricorrente non ha formulato specifiche censure alla motivazione sulla quale si basa la determinazione della durata ragionevole effettuata dal giudice del merito, ininfluente, essendo, il richiamo operato dalla medesima all’astratta scansione temporale del processo previdenziale, che dovrebbe giustificare una durata inferiore, perchè la valutazione rimessa al giudice del merito deve essere fatta in concreto.
Il decreto impugnato va, pertanto, cassato in relazione ai motivi accolti, restando assorbite le ulteriori censure circa le spese liquidate, venendo meno la relativa pronuncia a seguito della cassazione del decreto.
Ravvisandosi le condizioni per la decisione della causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., dovendosi quantificare il periodo di eccessiva durata del processo in anni tre e mesi due, tenuto conto dei criteri per la liquidazione del danno non patrimoniale stabiliti dalla CEDU, nonchè della particolare lievità del danno nel caso di specie in relazione alla posta in gioco, l’indennizzo va liquidato nella misura di Euro 2.420,00, con gli interessi dalla domanda.
Invero, la Corte di Strasburgo ha osservato che è irrilevante la circostanza che il metodo di computo previsto dal diritto interno non corrisponda esattamente ai criteri da essa stabiliti, qualora consenta “di concedere importi che non siano irragionevoli” (p.104, sentenza 29 marzo 2006, sul ricorso n. 64705/01) e, in una serie di casi nei quali il risarcimento riconosciuto dal giudice italiano era inferiore alla somma che essa avrebbe riconosciuto, ha concesso una ulteriore somma, ma sino ad una soglia pari a circa il 45% del risarcimento che essa avrebbe attribuito (sentenze 29 marzo 2006, sul ricorso 64890/01, nonchè sul ricorso n. 62361/00, n. 64705 del 2001).
La più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo rende quindi possibile affermare che, ferma la presunzione di sussistenza del danno non patrimoniale – salvo che non ricorrano circostanze che permettano di escluderlo -, qualora la parte non abbia allegato, comunque non emergano, elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza di detto danno (costituiti, tra gli altri, dal valore della controversia, dalla natura della medesima, da apprezzare in riferimento alla situazione economico-patrimoniale dell’istante, dalla durata del ritardo, dalle aspettative desumibili anche dalla probabilità di accoglimento della domanda), l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce delle quantificazioni operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, imponga una quantificazione che, nell’osservanza della giurisprudenza della Corte EDU, deve essere, di regola, non inferiore ad Euro 750,00, per anno di ritardo (per i primi tre anni). La fissazione di detta soglia si impone, alla luce delle sentenze sopra richiamate del giudice europeo, in quanto occorre tenere conto del criterio di computo adottato da detta Corte (riferito all’intera durata del giudizio) e di quello stabilito dalla L. n. 89 del 2001 (che ha riguardo soltanto agli anni eccedenti il termine di ragionevole durata), nonchè dell’esigenza di offrire di quest’ultima un’interpretazione idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine di detta L. n. 89 del 2001, ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con la norma della CEDU, come interpretata dalla Corte di Strasburgo.
Le spese del giudizio di primo grado vanno poste a carico della parte soccombente e vanno liquidate come in dispositivo, secondo le tariffe vigenti ed i conseguenti criteri di computo costantemente adottati da questa Corte per cause similari.
Si ravvisano giusti motivi, in relazione all’infondatezza o inammissibilità di gran parte dei motivi formulati ed all’accoglimento solo in parte del ricorso, per compensare per metà le spese del giudizio di cassazione, che si liquidano a loro volta a carico della parte soccombente come in dispositivo. Spese distratte.
PQM
La Corte, accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente la somma di Euro 2.420,00 per indennizzo, gli interessi legali su detta somma dalla domanda e le spese del giudizio:
che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 311,00 per diritti e Euro 445,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore dell’avv. Marra antistatario;
che compensa in misura di 1/2 per il giudizio di legittimità, gravando l’Amministrazione del residuo 1/2 e che determina per l’intero in Euro 600,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore dell’avv. Marra antistatario.
Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2010