LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ADAMO Mario – Presidente –
Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –
Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –
Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –
Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 5725/2007 proposto da:
A.R., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARRA Alfonso Luigi, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;
– intimato –
avverso il decreto N. 51251/05 V.G. della CORTE D’APPELLO di ROMA del 31/10/05, depositato il 14/02/2006;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio dell’08/10/2009 dal Consigliere e Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;
è presente il P.G. in persona del Dott. PIERFELICE PRATIS.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
p.1.- La Corte d’appello di Napoli – adita da A.R. al fine di conseguire l’equa riparazione per la lamentata irragionevole durata di un processo svoltosi dal 3.3.1994 al 22.11.2 000 dinanzi al Pretore di Torre Annunziata e dall’8.3.2001 al 31.12.2003 (avente ad oggetto il riconoscimento del diritto all’adeguamento dell’indennità di invalidità a quella goduta dai grandi invalidi di guerra) – con decreto del 14.2.2006 ha condannato il Ministero della Giustizia a pagare al ricorrente la somma di Euro 4.400,00 a titolo di danno non patrimoniale nonchè al rimborso delle spese processuali, liquidate in Euro 900,00, distratte in favore del difensore anticipatario.
La Corte di merito, in particolare, ha accertato in quattro anni e mesi sei il periodo di ragionevole durata del processo presupposto nei due gradi ed ha, per il ritardo di cinque anni e mesi cinque, quantificato l’indennizzo in Euro 4.400,00 (Euro 800,00 per ogni anno di ritardo).
Per la cassazione di tale decreto A.R. ha proposto ricorso affidato a sette motivi.
Il Ministero intimato non ha svolto difese.
Il ricorso, acquisite le conclusioni scritte del P.G., il quale ne ha chiesto il rigetto, viene deciso ai sensi dell’art. 375 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
p.2. – Deducendo diversi profili di violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6 della convenzione europea dei diritti dell’uomo, così come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, nonchè vizi di motivazione, il ricorrente lamenta che la corte territoriale:
1) ha determinato l’equa riparazione del danno non patrimoniale, la prova del quale è in re ipsa, in misura insufficiente, discostandosi dal parametro utilizzato normalmente dalla corte di Strasburgo (da Euro 1000,00 a Euro 1.500,00 per anno di durata della causa e non per il solo periodo eccedente la durata ragionevole) senza adeguata motivazione, essendo all’uopo insufficiente il riferimento alla modesta entità economica della pretesa, senza tenere in considerazione la natura previdenziale del credito e le condizioni economiche della parte e senza liquidare il “bonus” di Euro 2.000,00 per la suddetta natura del credito vantato;
2) non ha precisato la durata ragionevole del processo, che dovrebbe invece essere determinata, tenendo presente la disciplina delle controversie previdenziali, in sei mesi dal deposito del ricorso;
3) ha liquidato le spese di giudizio non sulla base dei criteri previsti dalle norme che disciplinano i procedimenti davanti alla corte di Strasburgo, ma di quelli previsti dalla norme interne, peraltro applicate in modo incongruo.
p.3. – Osserva la Corte che tutti i motivi di ricorso -fatta eccezione per le censure in relazione alle spese liquidate – sono manifestamente infondati.
In ordine alla determinazione della ragionevole durata del processo, invero, va ricordato che in riferimento al processo del lavoro, due recenti pronunce del giudice europeo hanno affermato la violazione del termine di ragionevole durata, senza valorizzare la natura del giudizio (sentenze 18 dicembre 2007, sul ricorso n. 20191/03, in riferimento ad un giudizio in materia di lavoro durato in primo grado più di quattro anni e cinque mesi; 5 luglio 2007, sul ricorso n. 64888/01, in relazione ad un giudizio della stessa natura, durato più di sette anni e due mesi), quindi la natura del processo non comporta, da sola, la possibilità di stabilire un termine di durata rigido, così come la violazione del principio della ragionevole durata del processo non può discendere in modo automatico dalla accertata inosservanza dei termini processuali, dovendo in ogni caso il giudice della riparazione procedere a tale valutazione alla luce degli elementi previsti dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 (Cass., 19352 del 2005; n. 6856 del 2004).
Anche le altre censure, poi, sono manifestamente infondate.
Infatti, a più riprese questa Corte ha affermato che la L. n. 89 del 2001, art. 2, espressamente stabilisce che il danno debba essere liquidato per il solo periodo eccedente la durata ragionevole (v., da ultimo, Sez. 1^, n. 28266 del 2008). Invero, “ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, deve aversi riguardo al solo periodo eccedente il termine ragionevole di durata e non all’intero periodo di durata del processo presupposto. Nè rileva il contrario orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, poichè il giudice nazionale è tenuto ad applicare le norme dello Stato e, quindi, il disposto dell’art. 2, comma 3, lett. a) della citata Legge; non può, infatti, ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dei criteri di determinazione della riparazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, attraverso una disapplicazione della norma nazionale, avendo la Corte Costituzionale chiarito, con le sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo non crea un ordinamento giuridico sopranazionale e non produce quindi norme direttamente applicabili negli Stati contraenti, essendo piuttosto configurabile come trattato internazionale multilaterale, da cui derivano obblighi per gli Stati contraenti, ma non l’incorporazione dell’ordinamento giuridico italiano in un sistema più vasto, dai cui organi deliberativi possano promanare norme vincolanti, omisso medio, per tutte le autorità interne” (Sez. 1^, Sentenza n. 14 del 03/01/2008 (Rv. 601232).
Nella concreta fattispecie, poi, la Corte d’appello si è sostanzialmente attenuta ai parametri di liquidazione Cedu che, come è noto, oscillano tra i mille e millecinquecento euro per anno di ritardo, avendo liquidato l’indennizzo complessivo di Euro 4.400,00 per cinque anni e cinque mesi di ritardo, tenendo espressamente conto della “posta in gioco”, particolarmente lieve in relazione all’oggetto del giudizio presupposto. Invero, è noto che il giudice del merito dispone di una certa discrezionalità nel variare l’importo di indennizzo per anno di ritardo (da mille a millecinquecento salvo limitato discostamento in più o in meno a seconda delle circostanze) (cfr. Sez. 1^, n. 28266 del 2008).
Quanto alla richiesta di “bonus”, va ricordato che “ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, non può ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia previdenziale; da tale principio, infatti, non può derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita” (Sez. 1^, Sentenza n. 6898 del 14/03/2008).
Quanto alle spese processuali, poi, effettivamente “il processo camerale per l’equa riparazione del diritto alla ragionevole durata del processo va considerato quale procedimento avente natura contenziosa, nè rientra tra quelli speciali di cui alle tabelle A) e B) allegate al D.M. 8 aprile 2004, n. 127 (rispettivamente voce 50, paragrafo 7 e voce 75, paragrafo 3), per tali dovendo intendersi, ai sensi dell’art. 11 della tariffa allegata al D.M. n. 127 cit., i procedimenti in Camera di consiglio ed in genere i procedimenti non contenziosi” (Sez. 1^, Sentenza n. 25352 del 17/10/2008). Per contro, la Corte di appello ha espressamente richiamato proprio tali ultime voci della tariffa.
In proposito, peraltro, va ricordato che “la parte che intende impugnare per cassazione la sentenza di merito nella parte relativa alla liquidazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato ha l’onere dell’analitica specificazione delle voci della tariffa professionale che si assumono violate e degli importi considerati, al fine di consentirne il controllo in sede di legittimità, senza bisogno di svolgere ulteriori indagini in fatto e di procedere alla diretta consultazione degli atti, giacchè l’eventuale violazione della suddetta tariffa integra un’ipotesi di error in iudicando e non in procedendo” (Sez. 2^, Sentenza n. 3651 del 16/02/2007). Per contro, nella concreta fattispecie, il ricorrente si è limitato ad allegare al ricorso copia della parcella depositata dinanzi alla Corte territoriale senza specificare, nel corpo stesso del ricorso, le voci della tariffa professionale che si assumono violate. Talchè la censura è inammissibile.
Le spese vanno liquidate come in dispositivo e poste a carico del ricorrente soccombente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2010