LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –
Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –
Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –
Dott. AMATUCCI Alfonso – rel. Consigliere –
Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 12350/2005 proposto da:
A.D. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 114/B, presso lo studio dell’avvocato ALLEGRETTI PAOLA, rappresentato e difeso dall’avvocato VITI GIANCARLO come da delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
BANCA POPOLARE di SPOLETO *****, in persona del Presidente Sig. G.A. elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OSLAVIA 6, presso lo studio dell’avvocato ACQUARELLI PIERLUIGI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato BARBONI MARCELLO con delega a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 34/2005 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, emessa il 10/06/2004; depositata il 01/02/2005; R.G.N. 203/2001;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/11/2009 dal Consigliere Dott. ALFONSO AMATUCCI;
udito l’Avvocato VITTORIO BETTI (per delega Avv. GIANCARLO VITI);
udito l’Avvocato PIERLUIGI ACQUARELLI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARINELLI Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Nel 1998 A.D., cessionaria dei crediti della nonna R.B. nei confronti della Banca Popolare di Spoleto, convenne in giudizio la banca domandandone la condanna al pagamento della somma di L. 200.000.000, oltre accessori, corrispondenti al valore di CCT della R. che l’istituto di credito aveva venduto, incamerandone il ricavato, nell’assunto che essi fossero stati dati in pegno a garanzia delle obbligazioni della società New Center Gold verso la banca.
Sostenne:
a) che era apocrifa la sottoscrizione della R. sulla lettera del 3.3.1992 (che la banca le aveva inviato a seguito di sua richiesta di spiegazioni) con la quale era stata autorizzata la sostituzione di altri CCT dati in pegno;
b) che il pegno doveva considerarsi nullo per difetto dei requisiti di forma di cui all’art. 2787 c.c. (certezza della data ed indicazione del credito e della cosa);
c) che nella vendita dei titoli la banca non aveva seguito la procedura stabilita dall’art. 2797 c.c. (questione poi abbandonata).
La Banca resistette, opponendo tra l’altro:
a1) l’irrilevanza della disconosciuta scrittura del 3.3.1992, in relazione ad altra precedente scrittura del 5.4.1990 che documentava il pegno originario su CCT 88/93 di pari valore nominale, nonchè il credito ed i soggetti garantiti, e che inoltre conteneva l’espressione del consenso della R. alla “sostituzione dell’oggetto del pegno” (cd. patto di rotatività);
b1) che la R. aveva incassato la plusvalenza derivata dai vecchi titoli e, fino al marzo del 1995, le cedole maturate sui nuovi CCT, senza mai contestare gli estratti del dossier dei titoli in garanzia nè quelle del conto corrente cui lo stesso era appoggiato;
c1) che la vendita era avvenuta secondo le modalità derogatorie consentite dall’art. 2797 c.c., comma 4.
Con sentenza del 23.3.2000 l’adito tribunale di Spoleto, in accoglimento delle eccezioni della banca convenuta, rigettò la domanda e condannò l’attrice alle spese.
2.- Con sentenza n. 34 dell’1.2.2005 la corte d’appello di Perugia ha rigettato il gravame della A., che propone ricorso per cassazione basato su sei motivi.
Resiste con controricorso la Banca Popolare di Spoleto, che ha depositato anche memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- La sentenza è censurata:
a) col primo motivo, per violazione e falsa applicazione degli artt. 2784, 2786, 2787 e 1322 c.c. nonchè per insufficiente e contraddittoria motivazione, laddove la corte di merito ha ritenuto che in presenza di pegno rotativo la garanzia si estende ai nuovi titoli anche in assenza di apposita scrittura munita di data certa;
b) col secondo, per violazione delle stesse disposizioni normative e dell’art. 1362 c.c., nonchè per mancanza e contraddittorietà della motivazione, per essere stata qualificata come clausola di rotatività la disposizione di cui al punto 1) della lettera di pegno del 5.4.1990;
c) col terzo, per violazione e falsa applicazione degli artt. 2784, 2786, 2787 e 1421 c.c., artt. 99 e 102 c.p.c., nonchè per omessa motivazione nella parte in cui la corte d’appello ha omesso di dichiarare la nullità o l’inefficacia della disposizione di cui al punto 1 della lettera di pegno del 5.4.1990 in quanto carente della specificazione che la sostituzione dei beni oggetto di garanzia dovesse essere accompagnata dalla consegna e che quelli dati in sostituzione non dovessero avere valore superiore ai precedenti;
d) col quarto, per violazione e falsa applicazione degli artt. 2784, 2786, 2787, 1321, 1322 e 1421 c.c., artt. 99, 102, 112 e 345 c.p.c., nonchè per insufficiente e contraddittoria motivazione laddove non è stata dichiarata la nullità dell’originario pegno per omessa consegna della cosa;
e) col quinto, per violazione e falsa applicazione degli artt. 1349, 2784, 2786, 2787, 1321, 1322 e 1362 c.c., e per insufficiente e contraddittoria motivazione nella parte in cui s’è esclusa la errata descrizione del credito e del soggetto garantito nella lettera di pegno del 5.4.1990, ad avviso della ricorrente implicante la nullità della costituzione di pegno in ragione della “incertezza” pur ravvisata dalla corte d’appello;
f) col sesto, per violazione e falsa applicazione degli artt. 2784, 2786, 2787, 1321 e 1322 c.c., nonchè per carenza ed illogicità della motivazione laddove s’è affermato che la R., lamentando la vendita dei nuovi titoli, avrebbe di fatto prestato consenso alla sostituzione dei vecchi.
2.- Il ricorso è infondato sotto tutti i profili in cui sì articola per le ragioni di seguito esposte, progressivamente riferite a ciascun motivo.
2.1.- Per la convenzione costitutiva del pegno, che si perfeziona con la consegna al creditore della cosa o del documento, non è richiesta dall’art. 2786 c.c. la forma scritta, invece prevista dall’art. 2787 c.c., comma 3, solo ai fini della prelazione del creditore pignoratizio sulla cosa ricevuta in pegno. Nè il ricorrente chiarisce il senso dell’affermazione secondo la quale la forma scritta sarebbe necessaria in caso di sostituzione dei beni oggetto del pegno in quanto, altrimenti, si verificherebbe una novazione.
2.2.- L’interpretazione, da parte della corte d’appello, dell’art. 1 della lettera di pegno del 5.4.1990 nel senso che esso integrasse un “patto rotativo” e che il previsto consenso della banca alla sostituzione inibisse solo al debitore di effettuarla unilateralmente ma non precludesse all’istituto di credito di provvedervi di propria iniziativa, integra un apprezzamento di merito. Il vizio della motivazione è inadeguatamente prospettato in riferimento all’esplicita previsione di cui all’art. 2, ultima parte, non essendo esposto in ricorso quali ragioni giustificassero un patto di rotatività in ipotesi limitato ai soli buoni ordinari del tesoro, tali da avallare l’argumentum a contrario ex littera prospettato dalla ricorrente (solo in secondo grado, secondo quanto affermato in sentenza) e da evidenziare, dunque, la prospettata carenza di motivazione, che non si presenta in alcun modo contraddittoria.
2.3.- Il terzo motivo è infondato in quanto, come correttamente rilevato dalla controricorrente, la specificazione che la sostituzione dei beni oggetto di garanzia deve essere accompagnata dalla consegna e che quelli dati in sostituzione non debbono avere valore superiore ai precedenti non è un elemento essenziale del patto di rotatività, la cui mancanza ingenera nullità, ma il requisito che quanto dato in sostituzione deve possedere perchè la prelazione del creditore su quanto ricevuto in pegno sia opponibile ai terzi.
2.4.- Il rigetto del quarto motivo consegue alle seguenti, assorbenti considerazioni.
E’ pacifico che la questione relativa al difetto di consegna per essere i titoli assoggettati a gestione accentrata presso la Banca d’Italia fu dedotta per la prima volta dall’attrice nella memoria ex art. 190 c.p.c.. E’ dunque corretta in diritto la conclusione della corte territoriale che, dovendo la deduzione della nullità ritenersi proposta per la prima volta in appello, essa incappasse nell’inammissibilità di cui all’art. 345 c.p.c.. Ed è del pari corretta l’affermazione che l’inammissibilità non era superabile invocando il principio della rilevabilità della nullità in ogni stato e grado del giudizio, “attesa la necessità del coordinamento di questo principio con quello della domanda, di cui agli artt. 99 e 112 c.p.c; coordinamento che esclude che il giudice possa rilevare d’ufficio una nullità diversa da quella fatta valere con la domanda”.
La rilevabilità d’ufficio della nullità ex art. 1421 c.c. trova infatti spazio applicativo quando si invochi la validità del negozio, quando cioè sia in contestazione l’applicazione o l’esecuzione di un atto la cui validità rappresenti elemento costitutivo della domanda in quanto la parte abbia chiesto l’adempimento delle obbligazioni da esso derivanti (ex plurimis, Cass., nn. 18453/07, 9641/06, 1097/05); e non quando – come nella specie – il giudizio verta direttamente sulla legittimità del contratto di cui si assuma per altre cause l’invalidità. I principi della domanda e del contraddittorio escludono invero che, qualora la parte abbia chiesto l’accertamento dell’invalidità di un atto a sè pregiudizievole, la pronuncia del giudice possa fondarsi su ragioni d’invalidità diverse da quelle enunciate dall’interessato o tardivamente indicate, ed esigono invece che entrambe le parti abbiano avuto la possibilità di trattare la questione (ex multis, Cass., nn. 21080/05 e 14370/04).
2.5.- Il quinto motivo è infondato poichè la corte d’appello, a seguito della corretta affermazione in diritto che “le questioni circa il contenuto della convenzione costitutiva del pegno danno luogo a questioni da risolversi coi mezzi di prova previsti dall’ordinamento, ha ritenuto con apprezzamento di fatto sorretto da adeguata motivazione che la lettura attenta della scrittura del 5.4.1990 rendesse facilmente superabile il margine di incertezza circa la sua discordanza rispetto alla realtà (pagina 11 della sentenza, capoverso).
2.6.- Il sesto ed ultimo motivo è privo di pregio in quanto fa perno su un’affermazione della corte d’appello avulsa dal contesto, connotato dai precedenti, cristallini rilievi della corte territoriale (contenuti nelle ultime tre righe di pagina 15 e nelle prime dodici di pagina 16 della sentenza) che, in ragione dell’originario patto di rotatività del pegno, non era necessario un nuovo consenso perchè il vincolo pignoratizio si trasferisse dai vecchi titoli ai nuovi.
3.- Il ricorso va conclusivamente respinto. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 8.200, di cui 8.000 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 25 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010