Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.1529 del 26/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – rel. Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 12254/2005 proposto da:

IER DI FRANCESCO GIOVANATTI & C SNC ***** in persona del suo legale rappresentante pro tempore G.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. FERRARI 12, presso lo studio dell’avvocato SMEDILE Sergio, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PENNASILICO ENRICO giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.P.G. *****, S.G.

*****, D.R.C. *****, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DI TRASONE 8-12, presso lo studio dell’avvocato FORGIONE Ciriaco, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROMANO ANTONIO giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3274/2004 della CORTE D’APPELLO di MILANO, Sezione Seconda Civile, emessa il 1/12/2004, depositata il 21/12/2004, R.G.N. 1236/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 02/12/2009 dal Consigliere Dott. ALFONSO AMATUCCI;

udito l’Avvocato SERGIO SMEDILE;

udito l’Avvocato ERCOLE FORGIONE per delega dell’Avvocato CIRIACO FORGIONE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARINELLI Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Il ***** il ventenne S.V. morì per la caduta dall’altezza di oltre sei metri, verificatasi il giorno ***** precedente mentre lavorava alle dipendenze della Ier di Francesco Giovanatti & C. s.n.c..

Nel novembre del 1997 i genitori S.G. e D.R. C. e la sorella S.P.G. agirono giudizialmente per il risarcimento innanzi al pretore di Rho in funzione di giudice del lavoro. La convenuta Ier chiamò in causa la Winhertur s.p.a., presso la quale era assicurata, domandando di essere tenuta indenne. La chiamata resistette, in subordine chiedendo che la propria condanna fosse comunque contenuta entro il limite del massimale di L. 500.000.000.

Con sentenza del 6.5.1998 il pretore dichiarò la propria incompetenza funzionale in ordine alla domanda risarcitoria dei danni morale, patrimoniale e biologico direttamente subiti dai ricorrenti e, in prosieguo di giudizio, con sentenza n. 229/98, rigettò (in ragione della brevità del tempo di sopravvivenza in coma) la domanda relativa al danno biologico che si assumeva patito dal defunto, per il risarcimento del quale gli attori avevano agito iure hereditatis, peraltro dichiarando che la Ier era responsabile della morte di S.V.. La decisione fu confermata in appello e la sentenza passò in giudicato a seguito della pronuncia della Corte di cassazione con sentenza n. 6679 del 2003.

2.- Gli attori avevano intanto riassunto il giudizio innanzi al tribunale di Milano con atto di citazione del maggio del 1998, domandando iure proprio la condanna della Ier al risarcimento dei danni direttamente subiti. Il tribunale accolse la domanda con sentenza n. 10680 del 2001, condannando la convenuta al pagamento di quanto riconosciuto in più rispetto alla somma di L. 500.000.000, già direttamente versata nelle more dalla Winhertur, nei confronti della quale venne per questo dichiarata la cessazione della materia del contendere.

3.- L’appello della Ier è stato respinto dalla corte d’appello di Milano con sentenza n. 3274/04, avverso la quale la società soccombente ricorre per cassazione affidandosi a sei motivi, illustrati anche da memoria.

Resistono con controricorso S.G., D.R.C. e S.P.G..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Col primo motivo, denunziando violazione di norme di diritto e vizio della motivazione, la società ricorrente si duole che la corte d’appello abbia escluso che, all’atto della riassunzione innanzi al tribunale, gli attori avessero inammissibilmente modificato la propria domanda.

Sostiene che essi avevano originariamente invocato la responsabilità contrattuale della convenuta, sicchè, agendo in riassunzione per il risarcimento dei danni subiti iure proprio, avevano necessariamente posto a fondamento della domanda una diversa causa petendi. Ed afferma che avevano modificato anche il petitum, giacchè in riassunzione non avevano indicato quanto ciascuno domandava a titolo di risarcimento, com’era invece accaduto con l’originario ricorso introduttivo.

1.1.- La censura è infondata.

Il fatto stesso che il giudice del lavoro si dichiarò incompetente in ordine alle domande proposte dai congiunti del defunto iure proprio per i danni patrimoniali e non patrimoniali direttamente subiti avalla la conclusione della corte d’appello (fondata sul contenuto sostanziale della pretesa, reso evidente anche dal riferimento alla responsabilità del G. ed all’affermata violazione delle norme di comune prudenza) che essi avevano ab origine addotto anche la responsabilità aquiliana del datore dì lavoro della vittima, al di là del letterale riferimento alla sua responsabilità “contrattuale”.

La corte d’appello non s’è dunque discostata dal principio consolidato secondo il quale l’interpretazione della domanda giudiziale va compiuta non solo sulla base della sua letterale formulazione, ma anche del sostanziale contenuto delle pretese fatte valere, con riguardo alle finalità perseguite nel giudizio (cfr., da ultimo, Cass., n. 18783/2009). Ed ha dato puntuale conto delle ragioni di tale conclusione, con motivazione del tutto esauriente.

Nè la mancata indicazione, in sede di riassunzione, della somma specificamente richiesta per ciascuno dei danneggiati è configurabile come mutamento del petitum sostanziale.

2.- La violazione del giudicato addotta col secondo motivo in relazione alla affermata responsabilità contrattuale del datore di lavoro (da parte del pretore, con sentenza 18.12.1998) è manifestamente infondata, stante il ravvisato concorso delle azioni (ex contractu ed ex delicto) verificatosi nella specie.

3.- Per la stessa ragione è manifestamente infondato anche il terzo motivo, con il quale è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 2059 c.c., per essere stato riconosciuto il danno morale anche in relazione ad un’ipotesi di responsabilità contrattuale (al di là del rilievo che il danno non patrimoniale ben può conseguire anche all’inadempimento contrattuale, pur se nei limiti di recente fissati da Cass., sez. un., n. 26972/2008) .

4.- Manifestamente infondato è, del pari, il quarto motivo, col quale è denunciata violazione dell’art. 102 c.p.c., per non essere stato il contraddittorio integrato nei confronti di G. F., cui era stata irrogata la pena su richiesta, ex art. 444 c.p.p., per il reato di omicidio colposo.

La critica è infatti basata sull’implicito, ma erroneo, presupposto che la responsabilità solidale comporti il litisconsorzio necessario dei condebitori.

5.- Col quinto motivo la società ricorrente si duole, deducendo violazione dell’art. 2059 c.c., e vizio della motivazione, che la corte d’appello abbia confermato la liquidazione di L. 60.000.000 per danno morale a favore della sorella del defunto benchè fosse stato dimostrato che, al momento dell’evento, ella si era sposata già da oltre un anno, trasferendosi col marito in un’altra città; mentre il primo giudice aveva liquidato quella somma nell’erroneo convincimento (indotto da equivoche certificazioni prodotte dagli attori) che ella convivesse col fratello nella casa dei genitori.

5.1.- Il motivo è infondato.

Con valutazione di fatto, in sè incensurabile in questa sede ed adeguatamente motivata, la corte d’appello ha ritenuto che la liquidazione del tribunale fosse congrua e che non potesse essere ridotta “per il solo motivo che essa si era sposata l’anno prima”. E tanto perchè non può “certamente presumersi che il dolore per la tragica perdita del suo unico fratello, di così giovane età, insieme al quale era cresciuta e vissuta sino all’anno prima, sia stato per lei meno intenso per il solo fatto che da un anno abitava sotto un altro tetto” (pagina 17 della sentenza impugnata).

E’ il caso di precisare che i rilievi contenuti in memoria illustrativa (alle pagine da 20 a 24) circa la duplicazione risarcitoria cui, in relazione ai principi enunciati dalle Sezioni unite con sentenza 11.11.2008 n. 26972, avrebbe dato luogo il congiunto riconoscimento del danno biologico e morale alla madre, integrano una censura del tutto nuova, non formulata in ricorso e come tale inammissibile.

6.- Col sesto ed ultimo motivo (pagine da 29 a 43 del ricorso) la ricorrente censura la sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 315 e 1226 c.c., e per ogni tipo di vizio della motivazione.

Si duole tra l’altro, che sia stata assunto come base di calcolo del danno patrimoniale patito dai genitori un reddito del defunto di L. 26.208.000 (in relazione alla busta paga del mese di maggio 1996, contenente emolumenti per festività ed arretrati) in luogo di quello di L. 23.317.255, cui si sarebbe correttamente pervenuti senza tener conto di tali occasionali prestazioni. Si era in tal modo giunti a liquidare complessivamente a loro favore la somma di L. 87.360.000 (poi arrotondata a L. 88.000.000).

6.1.- Nemmeno tale censura può trovare accoglimento.

Premesso che, sulla base dei valori indicati, la differenza riconosciuta in più ascende a poco più di L. 10.000.000 complessivi, la corte d’appello ha opposto alle considerazioni dell’appellante il rilievo che la capacità lavorativa di un giovane di venti anni era in fase di rafforzamento e che gli arretrati fanno certamente parte del reddito percepito.

Per quanto sia corretto che – come rilevato dalla ricorrente – l’arretrato di un anno corrisposto a maggio (nella specie L. 316.041) andava assunto in ragione di 1/13 e che non ogni mese prevede attività lavorative nei giorni di festività, va tuttavia considerato che si verte in ipotesi di valutazione comunque equitativa e non aritmetica, sicchè le considerazioni della corte d’appello possono ritenersi idonee a giustificare il quantum liquidato in eccesso in riferimento al risultato cui si sarebbe pervenuti in base a criteri di calcolo meramente matematici.

La valutazione equitativa del danno inevitabilmente contiene, invero, il germe dell’approssimitività della statuizione giudiziale, suscettibile di dar luogo a rilievi in sede di legittimità sotto il profilo del vizio della motivazione solo se totalmente difetti la giustificazione che quella statuizione sorregge, o macroscopicamente si discosti dai dati di comune esperienza, o sia radicalmente contraddittoria.

E non è questo il caso, neppure sotto i profili del tempo per il quale il giudice del merito ha ritenuto che il defunto avrebbe contribuito ai bisogni della famiglia (5 anni) e per la quota di reddito (due terzi) che ha assunto come destinabile a tale scopo in relazione alle caratteristiche di quel nucleo familiare.

7.- Il ricorso è conclusivamente respinto.

Le spese del giudizio di legittimità, che possono essere compensate per la metà in relazione alle considerazioni appena svolte, vanno poste per l’altra metà a carico della ricorrente.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento della metà delle spese processuali, che in tale misura liquidano in Euro 4.600,00 di cui Euro 4.500,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori dovuti per legge.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010

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