Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.1532 del 26/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23973/2005 proposto da:

REGIONE AUTONOMA FRIULI VENEZIA GIULIA ***** in persona del Presidente della Regione, I.R., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA COLONNA 355 presso lo studio dell’avvocato CRUCIL Roberto (AVVOCATURA REGIONALE), che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SERVIZI SANITARI TRIESTINA, AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA; M.E., F.G.;

– intimati –

sul ricorso 26867/2005 proposto da:

M.E. *****, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FABIO MASSIMO 60, presso lo studio dell’avvocato MASTROBUONO SEBASTIANO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MOZE SERGIO giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente –

contro

F.G. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GUIDO D’AREZZO 32, presso lo studio dell’avvocato MUNGARI MATTEO giusta procura speciale del Dott. Notaio ALESSANDRA MALACREA in TRIESTE 16/10/2007, rep. n. 260087, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CELLOT MIRIAM giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

REGIONE AUTONOMA FRIULI VENEZIA GIULIA, AZIENDA SERVIZI SANITARI *****

TRIESTINA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 266/2005 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, Sezione Seconda Civile, emessa il 20/12/2004, depositata il 25/2/2005, R.G.N. 600/C/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 02/12/2009 dal Consigliere Dott. ANTONIO SEGRETO;

udito l’Avvocato SERGIO MOZE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARINELLI Vincenzo, che ha concluso per (la inammissibilità e) il rigetto di entrambi i ricorsi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata il 21.5.1997 il 21.5.1997, M. E., ved. G. conveniva davanti al tribunale di Trieste il prof. F.G. e l’Azienda Servizi Sanitari n. ***** di Trieste, per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni da essa attrice subiti a causa di errori nella scelta terapeutica e nella tecnica chirurgica, avvenuti in occasione di un intervento praticatole dal F., il *****, presso l’Ospedale di *****, dove era stata ricoverata d’urgenza a seguito della caduta dal terzo piano del fabbricato dove abitava.

L’azienda eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva.

Con successivo atto di citazione l’attrice conveniva in giudizio la regione Friuli Venezia Giulia.

Le cause venivano riunite.

Il Tribunale, con sentenza n. 329/02, rigettava la domanda proposta dall’attrice. Riteneva il tribunale che la legittimazione passiva si apparteneva alla regione e non alla ASL, ma che, tuttavia, nella fattispecie dalla consulenza tecnica d’ufficio emergeva che l’intervento chirurgico, pur non essendo quello più adeguato, non procurò uno stato di salute peggiorativo.

Avverso questa sentenza proponeva appello l’attrice.

Resistevano i convenuti.

La Corte di appello di Trieste, con sentenza depositata il 25.2.2005, condannava F.G. e la regione Friuli Venezia Giulia in solido al risarcimento del danno nella misura di Euro 14400,00, oltre interessi e spese legali in favore dell’attrice per il danno biologico e danno morale temporanei, della durata di mesi 4, conseguente alla necessità di un secondo intervento, non essendosi il convenuto operatore reso conto nel primo intervento della presenza di un pezzo di osso che comprimeva il midollo osseo; che, invece, non potesse accogliersi la domanda risarcitoria, quanto agli assunti danni biologici e morali permanenti, poichè gli stessi non potevano essere ascritti alla condotta del F., che era immune da responsabilità, sotto questo profilo.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la Regione Friuli Venezia Giulia, che ha presentato anche memoria.

Resiste con controricorso l’attrice, che ha anche presentato ricorso incidentale.

Resiste con controricorso F.G..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi.

Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente principale, Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, lamenta la violazione e falsa applicazione di legge; l’illogicità ed erroneità della motivazione:

art. 75 c.p.c., D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 5; L.R. Friuli 30 agosto 1994, n. 12, art. 9, Delib. G.R. 14 marzo 1995, n. 1035.

Assume la ricorrente che erratamente la sentenza impugnata ha ritenuto che essa fosse legittimata passiva in relazione a debiti sorti nei confronti delle ex USL. Secondo la ricorrente, stante la Delib. Giunta Regionale 14 marzo 1995, n. 1035, che ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 6, comma 1, e del D.L. n. 57 del 1995, art. 2, comma 1, affidava alle Asl le gestioni stralcio delle disciolte USL, individuando l’ufficio responsabile della gestione nell’Ufficio del bilancio e della ragioneria della Asl ed il Commissario liquidatore nella persona del direttore generale della ASL, la legittimazione passiva per le azioni relative ai debiti delle disciolte USL si apparteneva alle nuove ASL. Secondo la ricorrente le gestioni stralcio, per effetto di detta delibera di giunta, erano inserite nella struttura dell’Ente ASL e non dell’Ente Regione.

In ogni caso, ove anche si fosse ritenuto che le gestioni liquidatorie operassero su mandato delle Regioni, essendo state chiuse tali gestioni nella Regione Friuli con Delib. Giunta Regionale 13 dicembre 2002, n. 4319, il mandato si era estinto.

2.1. Il motivo è infondato e va rigettato.

Il quadro normativo di riferimento è il seguente.

Il D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 502 (emanato sulla base della L. 23 ottobre 1992, n. 421, di delega per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego e di finanza territoriale) ha realizzato il riordinamento della disciplina in materia sanitaria, con la soppressione delle USL e l’istituzione delle Aziende unità sanitarie locali, aventi natura di “enti strumentali della Regione, dotati di personalità giuridica pubblica di autonomia organizzativa amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica” (art. 3).

La L. 23 dicembre 1994, n. 724, all’art. 6, primo comma, ha disposto che “in nessun caso è consentito alle regioni far gravare sulle aziende di cui al D.Lgs. n. 502 del 1992 e successive modificazioni e integrazioni, nè direttamente, nè indirettamente, i debiti e i crediti facenti capo alle gestioni pregresse delle unità sanitarie locali. A tal fine le regioni dispongono apposite gestioni a stralcio, individuando l’ufficio responsabile delle medesime”. La L. 23 dicembre 1995, n. 549, art. 2, comma 14, dispone che “per l’accertamento della situazione debitoria delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere al *****, le regioni attribuiscono ai direttori generali delle istituite aziende unità sanitarie locali le funzioni di commissari liquidatori delle soppresse unità sanitarie locali comprese nell’ambito delle rispettive aziende. Le gestioni a stralcio di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 6, comma 1, sono trasformate in gestioni liquidatorie.

2.2. Ora, l’interpretazione di questo articolato quadro normativo e la previsione delle gestioni stralcio hanno dato luogo a contrasti giurisprudenziali.

Le S.U. di questa Corte hanno affermato e poi costantemente ribadito, seguite nello stesso senso dalla giurisprudenza delle sezioni semplici, che un fenomeno di successione, in ipotesi di fusione o incorporazione fra enti pubblici, non si realizza per il solo fatto della soppressione degli enti assorbiti, ove la legge preveda, come nella specie, una procedura di liquidazione affidata ad apposita gestione strutturalmente e finalisticamente diversa dall’ente subentrante, almeno fino a quando la gestione stralcio non sia definitivamente e formalmente chiusa con apposito provvedimento: in tal caso, la legittimazione processuale e specificamente quella per l’impugnazione di una sentenza pronunciata nei confronti dell’ente assorbito appartiene pur sempre all’organo di rappresentanza della gestione stralcio, che prolunga la soggettività dell’ente soppresso durante la fase liquidatoria (in tal senso, Cass. S.U. 26 febbraio 1999, n. 102).

Quindi, le disposizioni normative menzionate hanno individuato nella regione il soggetto giuridico obbligato ad assumere integralmente a proprio carico i rapporti obbligatori relativi alle pregresse gestioni delle unità sanitarie locali, sicchè, ai sensi della L. n. 724 del 1994, le istituite aziende non subentrano affatto nei suddetti rapporti, mentre con la prevista gestione a stralcio si è realizzato lo scopo, incompatibile con l’ipotesi della successione universale, di tenere separata l’attività di accertamento delle obbligazioni, che si riferiscono alle cessate unità sanitarie locali, da quelle relative alle neocostituite Asl.

La trasformazione delle gestioni a stralcio in gestioni liquidatorie, operata con la L. n. 549 del 1995, ha poi preposto ad amministrare tali gestioni i direttori generali delle aziende unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, rispetto ai quali spetta appunto alle regioni il potere-dovere di conferire le funzioni di commissari liquidatori.

La funzione di commissario liquidatore da parte dei direttori generali delle aziende sanitarie locali è dunque prevista nell’interesse e per conto della regione, agendo essi in qualità di organi di tale ente, laddove nessuna disposizione autorizza a ritenere che sia stato attuato anche un trasferimento alle neocostituite aziende degli obblighi già attribuiti alla stessa regione per le obbligazioni delle pregresse gestioni delle unità sanitarie locali. In tal senso, dunque, è stata realizzata una sorta di successione ex lege delle regioni nei rapporti obbligatori già di pertinenza delle soppresse UU.SS.LL..

Tali principi sono stati ribaditi anche da un’ulteriore sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte (n. 1237 del 30 novembre 2000), la quale ha posto in luce, tra l’altro, “che è stata realizzata una sorta di successione ex lege delle regioni nei rapporti obbligatori già di pertinenza delle soppresse USL, successione che, sopravvenuta in corso di causa, ha determinato la legittimazione ad agire o contraddire della regione stessa, secondo i principi sanciti dall’art. 111 c.p.c., per l’ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto controverso, non anche la legittimazione dell’azienda sanitaria, subentrata nello svolgimento dei compiti propri dell’USL”.

Questi principi, già affermati dalle S.U., seguite dalle altre sezioni, costituiscono ormai diritto vivente, come ha riconosciuto la Corte Costituzionale, nella ordinanza, resa in materia, n. 89 del 23/31 marzo 2000, e vanno tenuti fermi.

Questi principi non comportano peraltro l’attribuzione di una legittimazione processuale “esclusiva” alla gestione liquidatoria, in persona del commissario liquidatore; ed infatti questa Corte ha più volte affermato che per effetto della rilevata successione ex lege la legittimazione sostanziale e processuale concernente i pregressi rapporti creditori e debitori delle soppresse USL spetta sia alle gestioni liquidatorie, sia alle regioni (Cass. S.U. 15/11/2005, n. 23022; Cass. 15/09/2005, n. 18285; Cass. 08/03/2007, n. 5351).

3.1. Nè la situazione muta per effetto della legislazione della regione Friuli Venezia-Giulia, La L. Friuli-Venezia Giulia 30 agosto 1994, n. 12, art. 9, statuisce che: “1. Le Unità sanitarie locali sono costituite in Azienda con decreto del Presidente della Giunta regionale, previa deliberazione della Giunta stessa, da emanarsi entro il 31 dicembre 1994 e con effetto dal 1 gennaio 1995.

2. Con lo stesso provvedimento è attribuita alle Aziende per i servizi sanitari la personalità giuridica pubblica e sono trasferiti alle medesime i rapporti giuridici ed economici, ivi compresi quelli relativi al personale dipendente, nonchè tutti i beni indicati al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 5, comma 1, come modificato dal D.Lgs. 7 dicembre 1993, n. 517, art. 6.

3. Con il provvedimento di cui al comma 1 sono individuate, sentite le conferenze dei sindaci, le sedi delle Aziende per i servizi sanitari.

2. Contestualmente alla costituzione delle Aziende per i servizi sanitari, di cui al comma 1, sono soppresse le Unità sanitarie locali nella loro attuale configurazione giuridica”.

3.2. Sulla base della predetta norma effettivamente poteva sorgere il dubbio interpretativo che in tutti i rapporti giuridici fosse subentrata la costituita nuova Asl in luogo della soppressa USL..

Sennonchè sul punto è intervenuto il legislatore regionale con la L.R. 4 settembre 2001, n. 21, art. 4 il cui tenore è il seguente:

“In via di interpretazione autentica della L.R. 30 agosto 1994 n. 12, art. 9, commi 2 e 4, ai direttori generali, quali commissari delle gestioni liquidatorie delle soppresse unità sanitarie locali, spetta l’amministrazione esclusiva e diretta di ogni rapporto giuridico connesso con tali gestioni, nonchè la rappresentanza delle medesime in materia di liti attive e passive”.

3.3. Questa Corte con sentenza 28/08/2002, n. 12605, ha statuito che la L.R. Friuli Venezia Giulia 4 settembre 2001, n. 21, art. 4, non ha (nonostante l’espressa enunciazione) natura di interpretazione autentica della L.R. n. 12 del 1994, art. 9 citato, atteso che il suo contenuto concerne un aspetto del quale non è rinvenibile alcuna traccia nella norma precedente, con conseguente incompatibilità con i connotati propri della legge interpretativa” e che “da ciò deriva ulteriormente la irretroattività della norma – innovativa – sopravvenuta e quindi la sua inapplicabilità alle controversie pendenti, rispetto alle quali, pertanto, spetta alla regione, per effetto della L. n. 724 del 1994, art. 6, comma 1, e della L. n. 549 del 1995, art. 2, comma 14, la legittimazione non solo sostanziale, ma anche processuale, concernente i pregressi rapporti creditori e debitori delle soppresse Usl”.

Sennonchè la sentenza citata (come si legge in motivazione) attiene esclusivamente al punto se abbia carattere interpretativo la norma (L. n. 21 del 2001, art. 4) nella parte in cui ha attribuito ai direttori generali delle aziende sanitarie locali l’amministrazione “esclusiva” dei rapporti giuridici delle gestioni liquidatorie delle soppresse unità sanitarie locali e la rappresentanza delle medesime in materia di liti attive e passive ovvero se la detta rappresentanza si aggiunga a quella spettante alla regione e non la sostituisca, come conclude appunto la sentenza in questione.

3.4. Il punto non ha rilevanza nella fattispecie, in cui ciò che è sufficiente rilevare è che, proprio per effetto di detta legge interpretativa regionale, ed in ogni caso ai fini di un’interpretazione costituzionalmente orientata, va escluso che la L.R. n. 12 del 1994, art. 9, potesse prevedere una successione della costituita nuova ASL anche nei debiti della disciolta USL, dovendo gli stessi porsi a carico delle gestioni liquidatorie delle disciolte Usi, predisposte dalla regioni. Tale interpretazione autentica, operata dal legislatore regionale, è infatti conforme ad un’interpretazione costituzionalmente orientata della L.R. n. 12 del 1994, art. 9, come si desume dal principio affermato dalla Corte costituzionale, secondo cui: “La L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 6, comma 1, a norma del quale in nessun caso le regioni possono far gravare, direttamente o indirettamente, sulle neocostituite Asl i debiti facenti capo alle preesistenti Usi, dovendo a tal fine le regioni stesse predisporre apposite “gestioni stralcio”, con individuazione dell’ufficio responsabile, sebbene sia norma a contenuto specifico e dettagliato, costituisce principio fondamentale della legislazione nazionale, vincolante l’autonomia finanziaria regionale in materia sanitaria, in quanto inserito in un’azione complessiva, a carattere generalizzato, volta a contenere il disavanzo pubblico” (Corte cost. Ord., 31/03/2000, n. 89; Cass. 12/04/2005, n. 7529).

3.5. Va quindi confutata la tesi di una carenza di legittimazione sostanziale e processuale della regione per le posizioni debitorie facenti capo alla gestione delle soppresse UU.SS.LL. ed addirittura come rilevato dalla giurisprudenza alle stesse gestioni liquidatorie (Cass. 19.9.2005, n. 18285) Infatti, sia per le prime che per le seconde, come si è osservato, l’attribuzione delle funzioni di commissario liquidatore è prevista nell’interesse e per conto dell’ente regione, su mandato del quale il medesimo svolge compiti non limitati alla mera riscossione dei residui attivi ed al pagamento dei residui passivi, ma estesi all’amministrazione e liquidazione della situazione debitoria; il tutto nell’ambito di un’attività espletata in qualità di organo della regione, mediante strutture costituite dallo stesso ente, anche se avvalendosi di quelle esistenti presso le nuove ASL. Pertanto anche gli oneri economici sostenuti dalla medesima organizzazione per la realizzazione della suddetta finalità vanno ricondotti al soggetto giuridico – la regione – al quale sono affidate le operazioni di ricognizione dei debiti e dei crediti, come prevede il D.L. 13 dicembre 1996, n. 630, art. 1, convertito in L. 11 febbraio, n. 21, in tema di finanziamento dei disavanzi delle aziende unità sanitarie locali al *****.

4.1. Infondata è anche la tesi secondo cui nella fattispecie sussisterebbe la legittimazione passiva delle ASL, perchè con Delib.

della Giunta Regionale Regione Friuli 14 marzo 1995, n. 1035, alle ASL erano affidate le gestioni stralcio delle soppresse USL, in quanto venivano individuati l’ufficio responsabile nell’Ufficio Bilancio e ragioneria della ASL ed il Commissario liquidatore nel Direttore Generale.

Anzitutto va osservato che la delibera di una giunta regionale non può modificare il contenuto precettivo di una norma di legge, tanto più se, come nella fattispecie rilevato dalla Corte costituzionale, il principio fissato dalla L. n. 724 del 1994, art. 6, comma 1 – per cui nessun debito pregresso poteva gravare sulle nuove ASL, dovendo rimanere a carico delle regioni – costituisce principio fondamentale della legislazione nazionale, vincolante l’autonomia finanziaria regionale in materia sanitaria, in quanto inserito in un’azione complessiva, a carattere generalizzato, volta a contenere il disavanzo pubblico (Corte cost. Ord., 31/03/2000, n. 89).

4.2. Inoltre il rilievo che la regione si sia avvalsa nel costituire le gestioni stralcio (poi liquidatorie) di uffici o soggetti di altro ente, non significa che essa anche abbia trasferito implicitamente a tale Ente le posizioni debitorie che la legge poneva a suo carico.

Egualmente nella fattispecie è irrilevante,sia ratione temporis sia per le ragioni già esposte in tema di valenza di un atto amministrativo regionale nei confronti di un principio fondamentale della legislazione nazionale, la Delib. Giunta Regionale 13 dicembre 2002, n. 4319, con cui veniva disposta la cessazione dell’attività delle gestioni liquidatorie.

5. Con il ricorso incidentale la ricorrente M.E. lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e cioè sulla quantificazione della responsabilità, che deve essere determinata previa riapertura dell’istruttoria e nomina di nuovo perito.

Lamenta la ricorrente che non sia stato tenuto conto dal giudice di appello del documento rilasciatole dal prof. B., che l’aveva sottoposta in Brescia ad un secondo intervento chirurgico, con cui si ponevano in risalto gli errori commessi dal prof. F. nell’intervento eseguito in Trieste.

Assume poi la ricorrente che in ogni caso, la sentenza impugnata non ha considerato che già dopo 4 giorni dall’intervento chirurgico del ***** si verificava lo sganciamento monolaterale del sistema Harrington; che il convenuto operatore non aveva rilevato dalla radiografia la presenza di un grosso frammento nel canale midollare che comprimeva il midollo spinale; che solo con l’intervento eseguito in ***** il ***** veniva effettuata una laminectomia decompressiva, liberando l’attrice dalla pressione sul midollo osseo;

che conseguentemente l’invalidità dell’attrice per l’incidente occorsole, pari al 60%, era da ascriversi in parte anche all’inadeguatezza dell’intervento sanitario effettuatole dal F..

6.1. Il motivo è infondato e va rigettato.

Va, anzitutto, osservato che correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto tardiva la produzione del documento redatto dal prof. B., depositato in sede di precisazione delle conclusioni in data 18.12.2001, e quindi oltre i termini previsti dall’art. 184 c.p.c..

Conseguentemente, tale documento, non può essere esaminato come mezzo di prova.

Ove, invece, tale documento venga inteso come mera allegazione della parte, contenente osservazioni critiche alla consulenza tecnica, va osservato che nella fattispecie la ricorrente incidentale aveva nominato nella fase di merito un consulente tecnico di parte (dr. Be.), e che il ctu fu risentito a chiarimenti in merito ai rilievi critici mossi al suo elaborato.

Va, a tal fine osservato, che il giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione o nei chiarimenti resi successivamente, abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento; non è quindi necessario che egli sì soffermi sulle contrarie deduzioni dei consulenti di fiducia che, anche se non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perchè incompatibili con le argomentazioni accolte. Le critiche di parte, che tendano al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in tal caso in mere allegazioni difensive, che non possono configurare il vizio di motivazione previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (Cass. 03/04/2007, n. 8355; Cass. 21/02/2006, n. 3768).

La valutazione delle risultanze probatorie rientra nei compiti istituzionali del giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso e di disattendere taluni elementi ritenuti incompatibili con la decisione adottata, essendo sufficiente, ai fini della congruità della motivazione, che da questa risulti che il convincimento si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi processualmente acquisiti, considerati nel loro complesso, pur senza un’esplicita confutazione degli altri elementi non menzionati e non accolti, anche se allegati, purchè risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, a quelli utilizzati, non potendo, perciò, il giudice esimersi, con riguardo alla consulenza tecnica, da una puntuale e dettagliata motivazione, purchè i rilievi mossi risultino specifici e argomentati, e non mere argomentazioni difensive di dissenso alle valutazioni compiute al fine di far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice all’opinione che di essi abbia la parte. (Cass. 23/11/2005, n.24589; Cass. 06/10/2006, n. 21625; Cass. 06/10/2006, n. 21625; Cass. 29/09/2006, n. 21140; Cass. 28/09/2006, n. 21087).

6.2. In ogni caso la sentenza di appello ha indicato le ragioni per cui ha ritenuto che non potesse accogliersi la domanda di risarcimento del danno biologico permanente. Sulla base degli accertamenti effettuati dal c.t.u.,la corte territoriale ha infatti ritenuto che, sebbene l’intervento non fosse stato effettuato a regola d’arte, la situazione neurologica accertata nell’attrice non era certo derivata da quell’intervento medico nè dallo sganciamento degli uncini applicati secondo la tecnica di Harrington, per cui tutto ciò non poteva ritenersi incidente in termini di aggravamento della percentuale di invalidità, di cui la M. era rimasta portatrice, per effetto della caduta dal terzo piano.

Ha rilevato la corte di appello che, secondo la letteratura medica citata, era logico ritenere che il trauma avesse già provocato un danno midollare irreversibile e che il migliore intervento possibile non avrebbe consentito di raggiungere risultati più confortanti.

Secondo il giudice di appello la responsabilità del convenuto andava, quindi, limitata solo al prolungamento della temporanea inabilità totale, per un periodo di 4 mesi, dovuta alla mancata rimozione di un grosso frammento nel canale midollare che comprimeva il midollo spinale, eliminato solo successivamente con l’intervento eseguito in ***** il *****.

Tale motivazione è immune da vizi logici o tecnici ed il dissenso espresso nel motivo di ricorso dalla ricorrente incidentale si risolve in una richiesta di diversa valutazione dei fatti, inammissibile in questa sede di sindacato di legittimità.

7. I ricorsi vanno pertanto rigettati.

Esistono giusti motivi (segnatamente la peculiarità della vicenda e la reciproca soccombenza tra parti ricorrente principale ed incidentale) per compensare le spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese di questo giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010

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