LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –
Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –
Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –
Dott. D’AMICO Paolo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 18613/2005 proposto da:
B.A. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BARI 13, presso lo studio dell’avvocato VECCHIO Marcello, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CIAMPALINI PAOLO giusta delega in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
P.G. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A. MORDINI 14, presso lo studio dell’avvocato ABATI Manlio, che lo rappresenta e difende giusta delega in calce al controricorso;
– controricorrente –
e contro
P.B.;
– intimato –
sul ricorso 22410/2005 proposto da:
P.B. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA PIO XI 62, presso lo studio dell’avvocato GENTILE ORAZIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato OCCHIPINTI DOMENICO giusta delega in calce al controricorso e ricorso incidentale;
– ricorrente –
contro
B.A., P.G.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 821/2005 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, emessa il 11/1/2005, depositata il 23/05/2005, R.G.N. 742/2000/A;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 04/12/2009 dal Consigliere Dott. PAOLO D’AMICO;
udito l’Avvocato MARCELLO VECCHIO;
udito l’Avvocato ORAZIO GENTILE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PIVETTI Marco, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l’assorbimento del ricorso incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
B.A. conveniva in giudizio davanti al Pretore di Firenze P.B. al fine di sentirlo condannare al pagamento della somma di L. 40.000.000 a titolo di liquidazione pro- quota dell’avviamento commerciale della società di fatto già esistente tra le parti e dalla quale il B. era receduto.
L’attore esponeva in particolare che con sentenza n. 38/90 del Pretore di Firenze, passata in giudicato, era stata accertata l’esistenza di una società di fatto costituita tra esso attore ed il P., avente ad oggetto l’attività di agenzia assicuratrice e che egli era receduto dalla società stessa lasciando l’intero portafogli clienti al socio P..
Rilevato quindi che la propria quota nella società era del 35%, l’attore chiedeva che la quota di avviamento fosse liquidata in ragione di tale percentuale e ne quantificava l’importo in L. 40.000.000.
P.B. si costituiva in giudizio contestando la fondatezza della domanda ed esponeva che dal bilancio finale redatto dal liquidatore era anzi emerso un debito del B. verso la società stessa di L. 30.783.760 e che egli era creditore verso la medesima società della identica somma. In tale situazione di dare e avere tra i soci e la società, il liquidatore aveva ceduto al P. il credito vantato dalla società stessa verso il B. al fine di soddisfare il credito di quest’ultimo nei confronti della medesima società. Formulava pertanto domanda riconvenzionale chiedendo la condanna dell’attore al pagamento a suo favore della somma di L. 30.783.760. Quindi, chiedeva di essere autorizzato a chiamare in causa il liquidatore P.G. affinchè garantisse il credito ceduto.
Autorizzata dal G.I. la chiamata del terzo P.G., questi si costituiva in giudizio eccependo preliminarmente il difetto di legittimazione passiva del P. in relazione alla domanda formulata dal B.. Contestava anche la legittimità della propria chiamata in causa, rilevando di aver ceduto il credito vantato dalla società verso l’ex socio B. al P. a tacitazione di ogni pretesa di quest’ultimo.
Con la sentenza n. 14/2000 del 26.1.2000 il Tribunale di Firenze rigettava tanto le domande di parte attrice, quanto quella di parte convenuta.
Avverso tale sentenza, proponeva appello P.B. con atto di citazione notificato ad B.A. e a P.G. il 9 e 10.5.2000, chiedendo la riforma dell’impugnata pronuncia con l’accoglimento della domanda riconvenzionale formulata in primo grado.
Gli appellati B. e P.G. chiedevano il rigetto dell’appello e si opponevano alle nuove produzioni documentali in quanto tardive.
La Corte, con ordinanza del 4.12.2001, ritenute ammissibili le produzioni documentali dell’appellante, disponeva consulenza tecnica d’ufficio, dando incarico al Dott. F.R. di ricostruire la situazione contabile della società ed i rapporti di dare e avere tra la stessa ed i soci e dei soci tra loro.
La Corte d’Appello di Firenze condannava B.A. a corrispondere a P.B. la soma di Euro 15.898,48 oltre interessi.
Condannava B. a rifondere a P. le spese processuali e P.B. a rifondere a P.G. le medesime spese.
Proponeva ricorso per cassazione B.A..
Resistevano con controricorso P.G. e P. B.; quest’ultimo proponeva altresì ricorso incidentale condizionato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi devono essere previamente riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..
Con il primo motivo parte ricorrente denuncia “violazione o falsa applicazione di norme di diritto e/o nullità della sentenza o del procedimento art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4”.
Parte ricorrente impugna la statuizione espressa dalla Corte d’Appello con l’ordinanza del 4 dicembre 2001 che ha ammesso la nuova documentazione prodotta da P.B. in base alla considerazione secondo la quale si trattava di prove precostituite e dunque sempre producibili.
Secondo le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., 20.4.2005, n. 8203) il Giudice, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3, è abilitato ad ammettere, nonostante le già verificatesi preclusioni, solo quelle prove che ritenga indispensabili in quanto suscettibili di un’influenza causale più incisiva rispetto a quella che le prove definite come rilevanti hanno sulla decisione finale della controversia.
Denuncia parte ricorrente che dall’ordinanza collegiale della Corte Fiorentina non risulta la indispensabilità dei suddetti documenti, bensì solo la loro ammissibilità.
Il motivo è infondato. Le suddette prove hanno infatti condotto alla riforma della sentenza di primo grado e dunque il carattere della indispensabilità non può che essere loro riconosciuto.
Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto e omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa più punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio – art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.
Sostiene parte ricorrente che la sentenza impugnata non ha spiegato perchè ha posto a base delle proprie valutazioni la data dell’8.9.1989 anzichè quella dell’8.3.1989, data di efficacia del recesso del socio B.A.. A tale data infatti nè il P. nè la s.d.f. P. e B. vantavano alcun credito verso B.A. e dalla C.t.u. risulta che vi era un utile finale di esercizio di L. 10.460.233.
Il recesso del socio B.A. ha effetto, secondo lo stesso ricorrente, dalla data di ricezione della raccomandata da parte dell’altro socio, P.B., avvenuta il 9 marzo 1989; e solo fino a tale data l’attuale ricorrente era tenuto a rispondere di tutte le passività. Nessun rilievo ha invece, secondo B., la data dell’8.9.1989.
La censura è infondata. Il C.t.u. ha infatti calcolato i debiti ed i crediti dello stesso B. alla data di scioglimento della società ai sensi dell’art. 2272 c.c., n. 4, mentre il ricorso non prova che siano state computate a danno dell’attuale ricorrente poste passive successive al suo recesso.
Con altra censura del medesimo motivo parte ricorrente osserva che il “supposto credito” appartenente alla società di cui faceva parte il B. sarebbe spettato in ogni caso a quest’ultimo in ragione della sua partecipazione sociale in misura del 40%. Quindi, quand’anche fosse stato sussistente il credito ceduto, la parte spettante al P. sarebbe stata solo il 60% considerato che il rimanente apparteneva all’altro socio e si sarebbe estinta per compensazione. Anche su tale eccezione conclude parte ricorrente, non si rinviene motivazione.
Anche tale censura è infondata perchè la cessione del credito era avvenuta a compensazione di un debito della società nei confronti di P.. (E quand’anche fosse fondata non avrebbe effetto nei confronti dello stesso P. in quanto quest’ultimo non ha agito come socio o come successore, ma come cessionario del credito).
Con il terzo ed ultimo motivo si censura infine la violazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. art. 360 c.p.c., n. 3.
Il motivo è infondato. In tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va infatti inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse e il suddetto criterio non può essere frazionato secondo l’esito delle varie fasi del giudizio ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, non rilevando che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi soccombente abbia conseguito un esito a lei favorevole. Con riferimento al regolamento delle spese il sindacato della Corte di cassazione è così limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese stesse non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le medesime; e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi (Cass., 11/01/2008, n. 406).
Il ricorso incidentale condizionato è assorbito dal rigetto del ricorso principale.
Per tutte le ragioni che precedono, riuniti i ricorsi, il ricorso principale deve essere dunque rigettato mentre va assorbito l’incidentale.
Le spese processuali del giudizio di cassazione vanno poste a carico di parte ricorrente nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito l’incidentale e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida a favore di P.G. in complessivi Euro 1.700,00 di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre rimborso forfettario delle spese generali ed accessori come per legge; a favore di P. in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre rimborso forfettario delle spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010