Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.1537 del 26/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18725/2005 proposto da:

M.A.L. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SISTINA 121, presso lo e studio dell’avvocato MARRA ALFONSO LUIGI, rappresentato e difeso dall’avvocato CUCINELLA Luigi Aldo giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.R. *****, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 2/B, presso lo studio dell’avvocato GHIGGI Francesco, che la rappresenta e difende giusta procura speciale del Dott. Notaio GIOVANNI CASARO in Napoli 11/11/2009, rep. n. 85056, resistente con procura;

– resistente –

avverso la sentenza n. 550/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA, Sezione Prima Civile, emessa il 10/1/2004, depositata il 07/02/2005, R.G.N. 4708/2001;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 04/12/2009 dal Consigliere Dott. PAOLO D’AMICO;

udito l’Avvocato FRANCESCO GHIGGI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PIVETTI Marco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.R. conveniva dinanzi al Tribunale di Roma M. A.L. per sentirlo condannare al risarcimento dei danni che asseriva di aver subito a seguito della diffusione, da parte del convenuto, di volantini contenenti espressioni ritenute gravemente diffamatorie e lesive della sua dignità personale e professionale.

Costituitosi, il convenuto eccepiva l’improcedibilità della domanda in relazione alla sua qualità di parlamentare e la nullità dell’atto di citazione per indeterminatezza dello stesso; nel merito, deduceva che gli stampati ai quali faceva riferimento l’attrice erano il mezzo attraverso il quale egli esercitava la sua funzione di parlamentare.

Il Tribunale accoglieva la domanda, condannando il convenuto al risarcimento dei danni, liquidati in L. 150.000.000, alla sanzione pecuniaria di L. 15.000.000 ed alla pubblicazione della sentenza.

Avverso tale decisione proponeva appello il M. chiedendo la riforma in suo favore della decisione impugnata.

Resisteva l’appellata C..

La Corte d’Appello di Roma rigettava la domanda di pubblicazione della sentenza e, confermandola nel resto, condannava l’appellante alle spese processuali.

Proponeva ricorso per cassazione M.A.L. che presentava memoria.

Parte intimata, interveniva alla discussione orale.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i tre motivi del ricorso parte ricorrente rispettivamente denuncia: 1) “Violazione e falsa applicazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3) – art. 2697 c.c., art. 2043 c.c., art. 2059 c.c., art. 185 c.p.”; 2) “Assenza di motivazione su un punto fondamentale della controversia art. 360 c.p.c., n. 5. Violazione i legge (art. 360 c.p.c., n. 3)”; 3) “Violazione e falsa applicazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3) – art. 2967 c.c., artt. 2043 e 2059 c.c., art. 185 c.p., art. 1226 c.c. e art. 114 c.p.c., difetto di motivazione art. 360 c.p.c., n. 5, art. 132 c.p.c.”.

Con il primo motivo, in particolare, parte ricorrente deduce violazione di legge in relazione alla qualificazione delle sue dichiarazioni come diffamatorie; quindi, sotto il profilo della errata applicazione delle norme in tema di reato di diffamazione, di danno e di prova del danno, critica che la Corte d’Appello ed il Tribunale non abbiano considerato il documento contestato quale espressione di un pensiero politico sulla magistratura. M. critica altresì che i Giudici abbiano ravveduto nel documento de quo l’ipotesi del reato pur in assenza di una sentenza penale e che la Corte abbia derogato ai principi in tema di onere della prova.

Con il secondo motivo si deduce carenza e contraddittorietà della motivazione in relazione alla ascrizione di illegalità alle indagini, contenuta nelle suddette dichiarazioni.

Con il terzo motivo si sostiene infine che il Giudice non ha correttamente applicato le norme in tema di onere della prova sulla quantificazione del danno.

In ordine a tali mezzi d’impugnazione si deve anzitutto osservare che nessuno di essi riguarda la statuizione con la quale la Corte d’Appello ha respinto il primo motivo di gravame proposto nel giudizio di secondo grado dall’attuale ricorrente. Quest’ultimo infatti con tale motivo sosteneva l’esistenza di una sorta di pregiudizialità parlamentare che obbliga il Giudice a sospendere il processo e trasmettere gli atti alla Camera competente (ovvero al Parlamento europeo) al fine di far espletare alla stessa un preventivo controllo sulla riconducibilità delle affermazioni incriminate (nella specie contenute nel volantino) alla valutazione dello stesso organo parlamentare (Camera).

La statuizione resa dalla Corte d’Appello di Roma in ordine alla non sussistenza della cosiddetta pregiudizialità parlamentare, non è stata dunque impugnata dall’attuale ricorrente ed è perciò passata in giudicato. Tale motivo d’impugnazione, non essendo stato formulato nel ricorso, non può, in quanto nuovo, essere introdotto dalla memoria ex art. 378 c.p.c..

Più specificamente poi, in relazione al primo motivo del ricorso ed alla qualità diffamatoria delle espressioni usate si deve comunque osservare che in tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo stampa, la ricostruzione storica dei fatti, la valutazione del contenuto degli scritti e delle circostanze oggetto di altri provvedimenti giudiziali anche non costituenti cosa giudicata, l’apprezzamento in concreto delle espressioni usate come lesive dell’altrui reputazione, l’esclusione della esimente dell’esercizio del diritto di cronaca e di critica, costituiscono accertamenti in fatto, riservati al giudice di merito ed insindacabili in sede di legittimità se sorretti, come nell’impugnata sentenza, da argomentata motivazione esente da vizi logici ed errori di diritto (Cass., 18.10.2005, n. 20138).

Quanto al secondo mezzo d’impugnazione, nel quale parte ricorrente sostiene di aver dimostrato la veridicità di quanto assunto in ordine alle “indagini illegali”, si rileva che la sentenza afferma esplicitamente di prescindere dall’uso del termine “illegalità”.

Quanto infine al terzo motivo del ricorso è giurisprudenza costante di questa Corte che in tema di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo stampa, qualora la divulgazione della notizia lesiva dell’altrui reputazione sia avvenuta su quotidiani a diffusione solamente locale, l’elemento della comunicazione a più persone della notizia diffamatoria relativa ad un soggetto che vive e lavora nel luogo medesimo deve considerarsi “in re ipsa”, poichè la notizia, in un ambito territoriale più ristretto, si propaga con maggiore facilità e si rivolge specificamente alla sfera dei consociati tra i quali è destinata a creare il discredito sociale (Cass., 1 agosto 2002, n. 11420). Quanto vale per i giornali a diffusione locale vale, a maggior ragione, per i volantini e dunque il danno deve considerarsi, anche in questo caso, in re ipsa.

In conclusione, per tutte le ragioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 2.700,00 di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre rimborso forfettario delle spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010

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