LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –
Dott. ODDO Massimo – Consigliere –
Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –
Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –
Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 719-2005 proposto da:
F.A. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato OZZOLA MASSIMO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PENASA LUCIANO;
– ricorrente –
contro
P.G. *****, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 15, presso lo studio dell’avvocato CIDDIO FRANCESCO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato BACCOS FULVIA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1955/2003 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 29/12/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/12/2009 dal Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;
udito l’Avvocato Barbara SILVAGNI, con delega depositata in udienza deLl’Avvocato OZZOLA Massimo, difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato BACCOS Fulvia, difensore della resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CICCOLO Pasquale Paolo Maria che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del 26-4-1995 P.G. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Padova F.A. e, premesso di aver stipulato con quest’ultimo in data 27-2-1995 un contratto preliminare per l’acquisto di un suo appartamento sito in *****, e di aver versato a titolo di caparra penitenziale L. 15.000.000, assumeva che qualche giorno dopo il F. le aveva comunicato di non voler più stipulare l’atto definitivo e le aveva restituito l’importo suddetto rifiutandosi peraltro di corrisponderle l’ulteriore somma di L. 15.000.000 dovuta quale doppio della caparra;
chiedeva pertanto la condanna del convenuto al pagamento della predetta somma.
Il convenuto costituendosi in giudizio deduceva che il preliminare in questione conteneva una clausola secondo cui esso si sarebbe perfezionato solo qualora egli entro cinque giorni avesse confermato il proprio impegno; viceversa nel suddetto termine l’esponente aveva avvertito la P. che non avrebbe potuto stipulare perchè la persona alla quale aveva venduto lo stesso appartamento non si era dichiarata disponibile a permutarlo con un altro; aggiunto che la controparte era a conoscenza di tale suo precedente impegno, il F. chiedeva il rigetto della domanda.
L’attrice alla prima udienza utile replicava sostenendo di aver sottoscritto un contratto non contenente la suddetta clausola, la quale era stata poi aggiunta su insistenza del F. e contro la propria volontà solo dopo che essa aveva già firmato il contratto, cosicchè tale clausola aggiunta, non firmata dall’esponente,non poteva impegnarla.
Con sentenza del 20-12-2000 il Tribunale di Padova condannava il convenuto al pagamento in favore dell’attrice della somma di L. 15.000.000 a titolo di doppio della caparra ricevuta.
Proposto gravame da parte del F. cui resisteva la P. la Corte di Appello di Venezia con sentenza del 29-12-2003 ha rigettato l’impugnazione.
Per la cassazione di tale sentenza il F. ha proposto un ricorso articolato in tre motivi cui la P. ha resistito con controricorso; le parti hanno successivamente depositato delle memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2727 c.c. ed omessa motivazione, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto in via presuntiva che la clausola scritta a penna – secondo la quale il preliminare sarebbe divenuto esecutivo dopo cinque giorni dalla sua stipula con lettera raccomandata da parte del promittente venditore – sarebbe stata inserita dopo la sottoscrizione del contratto da parte della P..
Il F. sostiene che tale convincimento era basato su due circostanze e cioè; a) che la clausola scritta a penna risultava inserita girando attorno alla firma della P.; b) che il modulo conteneva apposito spazio per l’inserimento di ulteriori precisazioni e condizioni negoziali; ebbene in tal modo non era stato tenuto conto che invece dalla verifica delle fotocopie del contratto rispettivamente prodotte dalle parti nel primo grado di giudizio e dal loro raffronto sarebbe emerso che la sottoscrizione della P. era stata opposta dopo l’inserimento della predetta clausola, considerato che il testo di un contratto era stato ottenuto per riproduzione fotostatica dell’altro, e che la firma della P. risultava invece diversa nei due testi contrattuali, e quindi apposta separatamente sulle due copie del contratto dopo la riproduzione fotografica del testo.
Il ricorrente deduce come elemento pacifico in causa che la clausola in questione era stata redatta dal mediatore che, in precedenza, aveva compilato a mano anche la residua parte del contratto non dattiloscritta, e che aveva evidentemente barrato anche la parte riservata alla apposizione di eventuali clausole aggiuntive; pertanto l’esigenza della clausola in oggetto era sorta nel corso della discussione tra le parti allorchè si era manifestato il problema inerente alla precedente promessa di vendita dell’appartamento da parte del F. ed era emersa la necessità di contattare, da parte di quest’ultimo, colui che aveva acquistato l’appartamento per verificare la sua disponibilità a risolvere tale contratto e ad acquistare l’altro appartamento di cui il F. disponeva al secondo piano; ciò spiegava il motivo per cui la clausola era stata inserita nell’unico posto del foglio rimasto libero.
Il F. infine rileva che il fatto che la clausola fosse stata scritta senza l’opposizione della P. non implicava, come invece illogicamente ritenuto dal giudice di appello, che essa fosse stata inserita dopo la sottoscrizione del contratto da parte della promissaria acquirente.
Con il secondo motivo il ricorrente, deducendo insufficiente motivazione, censura la sentenza impugnata per aver omesso di esaminare l’istanza dell’esponente per l’ordine di esibizione alla P. dell’originale del contratto stipulato dalle parti per accertare che la clausola in questione era stata inserita prima della sottoscrizione da parte di quest’ultima; se infatti il testo contrattuale fosse risultato completamente fotocopiato, ivi compresa la suddetta clausola, e la sottoscrizione della P. non fosse risultata fotocopiata, era evidente che il contratto era stato sottoscritto da quest’ultima dopo l’inserimento della clausola stessa.
Il F. inoltre sostiene che la Corte territoriale ha insufficientemente motivato il rigetto dell’istanza dell’esponente di espletamento di C.T.U. tendente ad accertare se la “copia originale” del contratto a mani della P. fosse stata ottenuta tramite riproduzione fotostatica del contratto a mani del F. prodotto sub 5 dell’atto di appello, accertamento che avrebbe portato alla matematica certezza che i due testi contrattuali erano stati sottoscritti dalle parti dopo l’inserimento della clausola in oggetto.
Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono infondate.
Il giudice di appello ha rilevato che il consenso delle parti era stato raggiunto solo sul contenuto del contratto che precedeva le sottoscrizioni e non sulla clausola sospensiva suddetta, la quale figurava “univocamente inserita girando intorno alla firma della P.”, così da far ragionevolmente presumere che fosse stata aggiunta in seguito, considerato altresì che il modulo conteneva appositi spazi per l’inclusione di ulteriori pattuizioni, e che proprio in tale spazio, che risultava invece barrato, la clausola in questione avrebbe dovuto trovare la propria collocazione; la Corte territoriale ha ritenuto tale presunzione tanto più grave e precisa ove si fosse considerata l’importanza che essa rivestiva per il F. e che avrebbe dovuto indurlo a pretenderne l’inclusione nel luogo a tal fine appositamente predisposto.
La sentenza impugnata ha poi rilevato l’inammissibilità della richiesta C.T.U. in quanto, premesso come dato pacifico che i documenti negoziali prodotti dalle parti erano entrambi copie dell’originale, non occorrevano ulteriori indagini peritali per verificare quanto rilevabile dalla diretta osservazione di entrambe le suddette produzioni, ovvero che la clausola in oggetto era stata scritta “girando intorno e quindi ricomprendendo artatamente le sottoscrizioni dei contraenti”.
Orbene deve ritenersi che il giudice di appello ha proceduto ad un accertamento di fatto sorretto da esauriente e logica motivazione, considerato che rientra nell’esercizio del potere discrezionale del giudice di merito istituzionalmente demandatogli di individuare le fonti di prova, nell’ambito delle quali può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, alle presunzioni (Cass. 11-5-2007 n. 10847), e che inoltre in tema di prova presuntiva è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice di merito circa la valutazione dei requisiti di precisione, gravità, e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, sempre che la motivazione appaia congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni (Cass. 11-10-2006 n. 21745), come appunto nella fattispecie.
E’comunque opportuno osservare altresì che nella sentenza impugnata è compresa una ulteriore statuizione, non oggetto di censure da parte del ricorrente, che costituisce una autonoma “ratio decidendi”;
invero la Corte territoriale ha rilevato la mancanza di una apposita sottoscrizione della clausola in questione ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c. in quanto, trattandosi di modello predisposto a stampa e di clausola inserita a penna, tale clausola, per essere efficace, avrebbe dovuto a sua volta essere specificatamente sottoscritta dalla parte contro cui veniva fatta valere; quindi la pattuizione in oggetto, ancorchè fosse stata inserita nel preliminare “de quo” prima della sottoscrizione da parte della P., per la ragione ora esposta non avrebbe potuto essere ritenuta efficace nei suoi confronti.
Con il terzo motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1326 c.c., vizio di motivazione e violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, assume che il giudice di appello non si è pronunciato sul motivo di appello formulato dall’esponente secondo cui, qualora si fosse ritenuto che la P. avesse sottoscritto il contratto preliminare in questione prima dell’inserimento della più volte menzionata clausola, tale sottoscrizione si sarebbe configurata come una proposta contrattuale, mentre la sottoscrizione da parte del F. dopo l’inclusione della clausola stessa avrebbe dovuto essere qualificata ai sensi dell’art. 1326 c.c., u.c., come una nuova proposta contrattuale, con la conseguenza che l’omessa sottoscrizione da parte della P. del nuovo testo contrattuale avrebbe comportato la sua mancata accettazione e dunque la mancata conclusione del contratto.
La censura è infondata.
La sentenza impugnata, nel disattendere l’assunto dell’appellante secondo cui il preliminare sarebbe stato trasformato in una opzione, ha affermato tra l’altro che una diversa volontà negoziale era esclusa dal fatto che il F. aveva ricevuto dalla P. la somma di L. 15.000.000 a titolo di caparra penitenziale, come risultava dal contratto, “e quindi in esecuzione puntuale di esso che, essendo un preliminare,era già perfetto”.
E’quindi evidente che con tale statuizione, non oggetto di specifiche censure, la Corte territoriale ha escluso, sia pure implicitamente, che le intese intercorse tra le parti non fossero confluite in un contratto preliminare vero e proprio fonte di diritti e di obblighi correlativi e quindi suscettibile di essere eseguito.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte:
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 3000,00 per onorari di avvocato.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010