LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –
Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –
Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –
Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
P.L. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DARDANELLI 13, presso lo studio dell’avvocato SPINGARDI LUCA, rappresentato e difeso dall’avvocato VILLANACCI GERARDO;
– ricorrente –
contro
IST DIOCESANO SOSTENTAMENTO CLERO DIOCESI ***** *****, in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PANAMA 58, presso lo studio dell’avvocato MEDUGNO LUIGI, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCHETTI UBALDO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 749/2003 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 15/11/2003;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 16/12/2009 dal Consigliere Dott. BURSESE Gaetano Antonio;
udito l’Avvocato IMPARATO Darlo, con delega depositata in udienza dell’Avvocato VILLANACCI Gerardo difensore del ricorrente che ha chiesto accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARINELLI Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato in data 23 ottobre 1996 l’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero della Diocesi di ***** conveniva in giudizio avanti al Pretore di Fermo, P.L., deducendo che, con contratto preliminare del ***** con esso stipulato, l’istituto si era impegnato a vendere a quest’ultimo un’area di sua proprieta’, subordinandone l’efficacia alla prescritta autorizzazione canonica; che tale autorizzazione era stata successivamente negata dal vescovo diocesano per cui il preliminare doveva ritenersi risolto di diritto in forza della clausola contrattuale n. 8; tanto premesso chiedeva la condanna dei convenuto alla restituzione del fondo, atteso che egli era stato immesso nel possesso dello stesso in via provvisoria, dopo la stipula del contratto in questione. Radicatosi il contraddittorio il P. contestava la domanda, sostenendo che l’autorizzazione canonica era stata comunque concessa prima della stipula del preliminare ed era stata richiamata nel preambolo della delibera dell’ente che autorizzava la stipula del contratto; pertanto non occorreva alcun successivo atto d’assenso dell’autorita’ ecclesiastica, per cui la nominata clausola contrattuale n. 8 doveva ritenersi superflua o comunque, come non opposta.
Il pretore di Fermo, con la sentenza n. 93 in data 9 aprile del 1999 accoglieva la domanda dell’istituto, dichiarando l’inefficacia del contratto de quo e condannando conseguentemente il P. alla restituzione del terreno. Questi appellava la decisione, riproponendo le precedenti difese; si costituiva l’istituto chiedendo il rigetto dell’impugnazione e in via incidentale la riforma della pronuncia per la disposta compensazione delle spese processuali.
L’adita Corte d’Appello di Ancona, con la decisione n. 749 depos. in data 15.11.2003, rigettava entrambe le impugnazioni.
Avverso la suddetta pronuncia l’odierno ricorrente propone ricorso per Cassazione sulla base di 3 mezzi; resiste con controricorso l’intimato; entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorrente, con il primo motivo, deduce “l’errore di diritto sostanziale di norme sulla condizione ex art. 1353 c.c. e segg.;
motivazione insufficiente, illogica ed omessa”. Insiste sull’efficacia della preventiva autorizzazione del vescovo richiamata nel preambolo della delibera del consiglio di amministrazione dell’ente che delegava il presidente aita stipula del preliminare;
considera quindi superflua la successiva autorizzazione imposta dalla clausola n. 8, quale condizione di efficacia per la stipula del contratto definitivo. In realta’ siffatta clausola inserita in un “modello” contrattuale prestampato doveva ritenersi giustificata ed efficace solo nel caso in cui non vi fosse intervenuto il previo atto d’assenso dell’autorita’ diocesana; ma poiche’ cio’, nella fattispecie, si era verificato, la clausola in questione non esplicava alcuna utilita’ e quindi doveva ritenersi inoperante, tanquam non esset. La doglianza e’ infondata.
La clausola n. 8 contenuta nel contratto, e’ del seguente testuale tenore: “La presente scrittura di preliminare di vendita e’ subordinata alle prescritte autorizzazioni canoniche e civili, cui soggiace l’Istituto diocesano. La carenza delle stesse provochera’ la risoluzione di diritto della presente scrittura”. Cio’ posto il P., a fronte dell’esplicito diniego espresso dal Vescovo, insiste nel ritenere che l’autorizzazione alla vendita era stata ottenuta prima della stipula del preliminare. Sul punto la Corte d’Appello ha puntualmente rilevato che la preventiva autorizzazione dell’ordinario diocesano, genericamente richiamata nel preambolo dell’atto deliberativo dell’ente (di cui peraltro non era stata data alcuna prova) “…anziche’ documentare l’avveramento della condizione di efficacia del contratto voluta dalle parti con la clausola n. 8, processualmente si risolve in una dichiarazione priva di concreti contenuti probatori, posto che si pone in aperto contrasto di significanza con la suddetta clausola, con la richiesta 15.9.95 fatta dall’Istituto di autorizzazione all’alienazione, con la risposta 31.10.95 dell’Arcivescovo di ***** di soprassedere ad ogni vendita, con la successiva determinazione 31.11.1995 con la quale lo stesso Arcivescovo dichiarava di non autorizzare la vendita dell’immobile”.
Di conseguenza non si puo’ sostenere che detta clausola contrattuale fosse superflua o ridondante, ne’ considerarla come non opposta, tenuto conto al riguardo anche il canone ermeneutico espresso dall’art. 1367 c.c. D’altra parte, siffatta delibera del Consiglio di Amministrazione dell’ente (che riportava in modo generico la frase:
“vista l’autorizzazione preventiva dell’Ordinario Diocesano”, in quanto atto con efficacia meramente interna era irrilevante e di certo non configurava alcuna proposta negoziale. Peraltro, anche se l’ipotetica autorizzazione ecclesiastica preventiva si fosse riferita al preliminare in questione, essa tuttavia non poteva esplicare i suoi effetti anche sul successivo contratto di vendita, atteso, che secondo lo statuto dell’ente, per gli atti di alienazione (qual e’ appunto il contratto di compravendita) e’ sempre prevista la preventiva autorizzazione del vescovo (art. 11 lett. b dello Statuto).
Passando all’esame del 2 motivo, con esso il ricorrente deduce la violazione della L. 20 maggio 1985, n. 222, artt. 36 e 37; nonche’ il vizio di motivazione. Secondo l’esponente la piu’ volte menzionata clausola contrattuale n. 8 sarebbe in contrasto con le disposizioni di legge richiamate e dunque deve ritenersi “inutile” e come non opposta.
Invero la L. 20 maggio 1985, n. 222, artt. 36 e 37 prevedono il parere della Conferenza Episcopale Italiana ed altri adempimenti nel caso di alienazione di beni di ingente valore; nella fattispecie non occorreva alcun parere trattandosi di atti di alienazione di modestissimo importo (un “frustolo di terreno”). Anche detta doglianza non ha alcun pregio.
Il richiamo alla L. n. 222 del 1985 e’ inconferente perche’ essa prescrive il parere della C.E.I. per la vendita di beni di valore particolarmente rilevante, mentre nella fattispecie e’ prescritta dallo Statuto dell’ente ecclesiastico una distinta e diversa autorizzazione di altro organo ecclesiastico (il vescovo diocesano).
Con il terzo motivo infine la ricorrente deduce ” error in iudicando” per violazione e falsa applicazione delle disposizioni in materia di clausola risolutiva espressa; violazione ex art. 112 c.p.c.” Il motivo attiene alla corretta qualificazione giuridica della clausola contrattuale n. 8, erroneamente ritenuta dal giudice di merito come clausola risolutiva espressa, mentre invece mancavano i presupposti idonei a configurarne la natura risolutiva.
Secondo il ricorrente la clausola n. 8 non aveva lo scopo di regolare gli aspetti successivi alla stipula del contratto, quanto piuttosto gli eventi che potevano condizionare l’efficacia del contratto stesso. La censura e’ inammissibile in quanto l’esatta qualificazione giuridica di tale clausola (peraltro neppure suggerita dall’esponente) e’ del tutto irrilevante nella presente sede, essendo incontrovertibile che attraverso la stessa le parti avevano certamente inteso subordinare l’efficacia de contratto all’autorizzazione dell’autorita’ ecclesiastica, autorizzazione che nella fattispecie era stata negata.
Conclusivamente il ricorso dev’essere rigettato; in considerazione della peculiarita’ della fattispecie esaminata, si ritiene di compensare le spese di giudizio.
P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il ricorso e compensa le spese processuali.
Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010