LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE LUCA Michele – Presidente –
Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –
Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –
Dott. DI CERBO Vincenzo – rel. Consigliere –
Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 22536/2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende, giusta mandato a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
C.M.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 8538/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 05/06/2008 R.G.N. 5945/06;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/11/2009 dal Consigliere Dott. DI CERBO Vincenzo;
udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado che aveva dichiarato l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato da Poste Italiane s.p.a. con C. M..
Come si evince dalla sentenza impugnata il lavoratore è stato assunto con contratto a termine protrattosi dal 2 gennaio 2003 al 31 marzo 2003. Il contratto, stipulato ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, recava la seguente causale: ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale inquadrato nell’Area Operativa e addetto al servizio di recapito presso la regione Lombardia con diritto alla conservazione del posto.
La Corte territoriale osservava in primo luogo che, anche dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001, l’apposizione di un termine al contratto di lavoro subordinato doveva considerarsi come una deroga al principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è per sua natura a tempo indeterminato. Ciò trovava conferma nella previsione di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, secondo la quale le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, poste come paradigma generale e astratto della fattispecie legittima del contratto a tempo determinato, dovevano essere specificate nell’atto scritto da consegnarsi (comma 3) al lavoratore da parte del datore di lavoro entro cinque giorni dall’assunzione. Il requisito della specificità della causale, previsto dalla legge, rispondeva all’esigenza di fissare la situazione concreta, riconducibile alle categorie indicate in via generale dall’art. 1 cit., comma 1, posta a giustificazione e fondamento della limitazione temporale della durata del contratto di lavoro, al fine di consentire la valutazione della stessa da parte dell’interessato e l’eventuale verifica in sede giudiziale della sua rispondenza al vero e della sua conformità al paradigma legale.
Nel caso di specie, ad avviso della Corte di merito, la causale dell’apposizione del termine, contenuta nel contratto di assunzione, era privo del requisito della specificità. Essa conteneva, infatti, un’indicazione generica, avulsa dalla specifica situazione del lavoratore assunto e comunque tale da non consentire alcuna verifica della reale sussistenza di una legittima causale dell’assunzione de qua. La sentenza impugnata sottolineava, in particolare, l’eccessiva ampiezza dell’area territoriale di riferimento (Regione Lombardia), la genericità delle esigenze sostitutive indicate e la mancata indicazione della tipologia di assenza che aveva reso necessaria l’assunzione. La suddetta genericità era tale da non poter essere colmata in via probatoria per cui rigettava le relative istanze istruttorie.
Quanto alle conseguenze derivanti dalla ritenuta illegittimità del termine confermava la sentenza di primo grado che aveva applicato la conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato.
Per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso affidato a tre motivi; il lavoratore è rimasto intimato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I motivi di ricorso possono essere sintetizzati come segue.
Col primo motivo la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs n. 368 del 2001, art. 1, degli artt. 1362 e seg. c.c. e vizio di contraddittoria motivazione e omessa pronuncia in ordine a un punto decisivo della controversia. Deduce che, contrariamente a quanto contraddittoriamente affermato dalla Corte territoriale, il contratto de quo indicava chiaramente la ragione di carattere sostitutivo e tale ragione era verificabile attraverso gli altri elementi specificati nello stesso contratto e cioè: a) l’inquadramento del personale assente (Area operativa); b) le mansioni svolte dal personale assente (addetti al servizio di recapito/smistamento e trasporto); c) le ragioni delle assenze (assenze con diritto alla conservazione del posto); d) l’unità produttiva di riferimento (Regione Lombardia); e) il periodo di riferimento. Sottolinea che, in base alla normativa sopra richiamata, non è più necessaria l’indicazione del lavoratore sostituito, come previsto invece dalla L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 2, lett. b) abrogata. In sostanza, ad avviso della società ricorrente, la Corte territoriale avrebbe errato nel determinare il grado di specificità richiesto dalla norma in esame.
Col secondo motivo la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c. nonchè vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia. Deduce che contraddittoriamente la Corte territoriale, dopo aver affermato che incombeva sul datore di lavoro l’onere di provare il rapporto fra le assenze del personale e l’assunzione a termine, non ha ammesso la prova all’uopo richiesta da Poste Italiane s.p.a..
Col terzo motivo Poste Italiane denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 12 preleggi, art. 1419 c.c., D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e art. 115 c.p.c. nonchè vizio di motivazione. Contesta la decisione impugnata nella parte in cui ha affermato che la ritenuta violazione della disposizione di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 comportava la nullità del termine e la conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato analogamente a quanto previsto dalla L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 1. Deduce che tale conseguenza non è prevista dal D.Lgs. citato per la fattispecie in esame alla quale dovrebbe applicarsi, nel caso di nullità del termine, la norma di cui all’art. 1419 c.c. in base alla quale la nullità della clausola contenente il termine comporta la nullità dell’intero contratto se risulta che i contraenti non l’avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita da nullità.
I primi due motivi devono essere considerati congiuntamente in quanto intrinsecamente connessi.
Deve premettersi che i D.Lgs. n. 368 del 2001, recante l’attuazione della Direttiva 1999/70 CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEP e dal CES, costituisce la nuova ed esclusiva fonte regolatrice del contratto di lavoro a tempo determinato, in sostituzione della L. n. 230 del 1962 e della successiva legislazione integrativa. Il preambolo della citata Direttiva 1999/70, premesso che con la risoluzione del 9 febbraio 1999 il Consiglio dell’Unione Europea ha invitato le parti sociali a tutti i livelli a negoziare accordi per modernizzare l’organizzazione del lavoro, comprese forme flessibili di lavoro, al fine di rendere le imprese produttive e competitive e di realizzare il necessario equilibrio tra la flessibilità e la sicurezza, evidenzia che l’accordo quadro in questione stabilisce principi generali e requisiti minimi con l’obiettivo di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo l’applicazione del principio di non discriminazione, nonchè di creare un quadro per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato. Per tale ragione, accogliendo la richiesta delle parti sociali stipulanti e su proposta della Commissione Europea, il Consiglio a norma dell’art. 4 dell’accordo sulla politica sociale – ora inserito nel trattato istitutivo della Comunità Europea – ha emanato la direttiva in questione, imponendo agli Stati membri di conformarsi ad essa, adottando tutte le prescrizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti (art. 2).
Il legislatore nazionale, nell’adempiere al suo obbligo comunitario, ha emanato il D.Lgs. n. 368 del 2001 che, nel testo originario, vigente all’epoca del contratto ora in questione, all’art. 1 prevede, al comma 1, che è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo e, al comma 2, che l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1.
E’ stata altresì prevista, contestualmente all’entrata in vigore del citato D.Lgs. (24 ottobre 2001), l’abrogazione della L. n. 230 del 1962, della L. n. 79 del 1983, art. 8 bis, della L. n. 56 del 1987, art. 23 e di tutte le disposizioni di legge incompatibili (art. 11, comma 1).
Il quadro normativo che emerge è, dunque, caratterizzato dall’abbandono del sistema rigido previsto dalla L. n. 230 del 1962 – che prevedeva la tipizzazione delle fattispecie legittimanti, sistema peraltro già oggetto di ripensamento come si evince dalle disposizioni di cui alla L. n. 79 del 1983 e alla L. n. 56 del 1987, art. 23 – e dall’introduzione di un sistema articolato per clausole generali, in cui l’apposizione del termine è consentita a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. Tale sistema, al fine di non cadere nella genericità, impone al suo interno un fondamentale criterio di razionalizzazione costituito dal già rilevato obbligo per il datore di lavoro di adottare l’atto scritto e di specificare in esso le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo adottate.
Nel caso di specie i motivi di ricorso impongono di stabilire come debba essere configurato sul piano giuridico il concetto di specificazione con riferimento all’ipotesi in cui il datore di lavoro abbia determinato la causale dell’apposizione del termine riferendosi a ragioni di carattere sostitutivo.
Come già rilevato, l’onere di specificazione della causale nell’atto scritto costituisce una perimetrazione della facoltà riconosciuta al datore di lavoro di far ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato per soddisfare una vasta gamma di esigenze aziendali (di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o aziendale), a prescindere da fattispecie predeterminate. Tale onere ha l’evidente scopo di evitare l’uso indiscriminato dell’istituto per fini solo nominalmente riconducibili alle esigenze riconosciute dalla legge, imponendo la riconoscibilità e la verificabilità della motivazione addotta già nel momento della stipula del contratto. D’altro canto, tuttavia, proprio il venir meno del sistema delle fattispecie legittimanti impone che il concetto di specificità sia collegato a situazioni aziendali non più standardizzate ma obiettive, con riferimento alle realtà specifiche in cui il contratto viene ad essere calato. Il concetto di specificità in questione risente, dunque, di un certo grado di elasticità che, in sede di controllo giudiziale, deve essere valutato dal giudice secondo criteri di congruità e ragionevolezza.
Con riferimento specifico alle ragioni di carattere sostitutivo, pertanto, il contratto a termine se in una situazione aziendale elementare è configurabile come strumento idoneo a consentire la sostituzione di un singolo lavoratore addetto a specifica e ben determinata mansione, allo stesso modo in una situazione aziendale complessa è configurabile come strumento di inserimento del lavoratore assunto in un processo in cui la sostituzione sia riferita non ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica che sia occasionalmente scoperta. In quest’ultimo caso, il requisito della specificità può ritenersi soddisfatto non tanto con l’indicazione nominativa del lavoratore o dei lavoratori sostituiti, quanto con la verifica della corrispondenza quantitativa tra il numero dei lavoratori assunti con contratto a termine per lo svolgimento di una data funzione aziendale e le scoperture che per quella stessa funzione si sono realizzate per il periodo dell’assunzione.
Questa Corte non ignora la sentenza della Corte costituzionale n. 214 del 2009, la quale, nel dichiarare non fondata la questione di costituzionalità del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 1, e D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11, afferma che l’onere di specificazione previsto dallo stesso art. 1, comma 2 impone che, tutte le volte in cui l’assunzione a tempo determinato avvenga per soddisfare ragioni di carattere sostitutivo, risulti per iscritto anche in nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione.
Sul problema degli effetti delle sentenze interpretative di rigetto della Corte costituzionale sull’interpretazione delle leggi da parte del giudice ordinario, questa Corte (cfr, in particolare, Cass. 9 gennaio 2004 n. 166) ha affermato che, ove il giudice delle leggi, nel ritenere non infondato il denunciato vizio di incostituzionalità di una certa disposizione nella interpretazione non implausibile fornitane dal giudice del merito, indichi una possibile, diversa interpretazione della stessa disposizione conforme a Costituzione, tale interpretazione adeguatrice non interferisce con il controllo di legittimità rimesso alla Corte di cassazione ed il suo effetto vincolante per i giudici ordinari e speciali, non esclusa la Corte di cassazione, riguarda soltanto il divieto di accogliere quella interpretazione che la Corte costituzionale ha ritenuto, sia pure con una pronuncia di infondatezza della questione di legittimità costituzionale sottoposta al suo esame, viziata.
Nel caso di specie il passo della sentenza della Corte costituzionale sopra citato deve essere letto nel contesto argomentativo in cui esso è stato formulato. La sentenza, subito dopo il passo estrapolato, prosegue precisando che considerato che per ragioni sostitutive si debbono intendere motivi connessi con l’esigenza di sostituire uno o più lavoratori, la specificazione di tali motivi implica necessariamente anche l’indicazione del lavoratore o dei lavoratori da sostituire e delle cause della loro sostituzione; solamente in questa maniera, infatti, l’onere che il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, impone alle parti che intendano stipulare un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato può realizzare la propria finalità, che è quella di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto. Tale precisazione sta a indicare che, nella illimitata casistica che offre la realtà concreta delle fattispecie aziendali, accanto a fattispecie elementari in cui è possibile individuare fisicamente il lavoratore o i lavoratori da sostituire, esistono fattispecie complesse in cui la stessa indicazione non è possibile e “l’indicazione del lavoratore o dei lavoratori” deve passare necessariamente attraverso la “specificazione dei motivi”, mediante l’indicazione di criteri che, prescindendo dall’individuazione delle persone, siano tali da non vanificare il criterio selettivo che richiede la norma.
Intesa in questi termini la sentenza della Corte costituzionale, l’opzione interpretativa offerta da questo Collegio è pienamente coerente con quella offerta dalla sentenza stessa che, per l’autorevolezza della fonte da cui proviene, costituisce un contributo ermeneutico della massima importanza.
Dunque, per concludere sul punto, l’apposizione del termine per “ragioni sostitutive” è legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti – da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse – risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori (quali, l’ambito territoriale i riferimenti, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, ferma restando in ogni caso la verificabilità circa la sussistenza effettiva del presupposto di legittimità prospettato.
Nel caso in esame appare incongrua e priva di adeguata motivazione, in relazione ai principi sopra enunciati, la valutazione fatta dalla Corte di merito circa l’assenza di specificità della causale apposta al contratto di lavoro a termine in discussione. In particolare la Corte territoriale non ha tenuto conto del fatto che il concetto di specificità deve essere collegato a situazioni aziendali non più standardizzate ma obiettive, con riferimento alle realtà specifiche in cui il contratto viene ad essere calato.
I primi due motivi di ricorso devono essere i definitiva accolti, con assorbimento del terzo e per l’effetto la causa deve essere rimessa ad altro giudice, indicato in dispositivo, che provvedere sulla base dei sopra indicati principi di diritto oltre che sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo, cassa in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010