LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARBONE Vincenzo – Primo Presidente –
Dott. ELEFANTE Antonio – Presidente di Sezione –
Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –
Dott. SETTIMJ Giovanni – Consigliere –
Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –
Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –
Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –
Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –
Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
SENTENZA sul ricorso 4575-2009 proposto da:
COMUNE DI *****, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato ROSSANA GRILLO, rappresentato e difeso dall’avvocato CALABRO’ GIUSEPPE, per procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
M.M. (*****), + ALTRI OMESSI elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CICERONE 60, presso lo studio dell’avvocato PREVITI STEFANO, rappresentati e difesi dall’avvocato D’ANNA GUGLIELMO, per procura in calce al controricorso;
– controricorrenti –
contro
S.G. (*****), B.S.
(*****), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TRIONFALE 129, presso lo studio dell’avvocato CERTO GIUSEPPE, rappresentati e difesi, il primo, dall’avvocato BARBERA FRANCO, e il secondo, dall’avvocato CORRENTI CORRADO, per procura in atti;
– controricorrenti adesivi e ricorrenti incidentali –
contro
M.M., + ALTRI OMESSI elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CICERONE 60, presso lo studio dell’avvocato PREVITI STEFANO, rappresentati e difesi dall’avvocato D’ANNA GUGLIELMO, per procura in atti;
– controricorrenti al ricorso incidentale –
e contro
V.L., + ALTRI OMESSI
;
– intimati –
avverso la sentenza n. 307/2008 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 29/05/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/11/2009 dal Consigliere Dott. BRUNO SPAGNA MUSSO;
udito l’avvocato Giuseppe CERTO per delega degli avvocati Giuseppe Calabrò e Corrado Correnti e l’avvocato Guglielmo D’ANNA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per l’A.G.A..
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso in data 12/11/1991, M.F., + ALTRI OMESSI adivano il Pretore di ***** esponendo:
che erano comproprietari e compossessori in ragione di 24/28 indivisi della porzione di terreno di forma trapezoidale di mq 75 ubicata nelle adiacenze del Complesso ***** a confine con la *****, delimitata da un muretto ed individuata in catasto al foglio ***** con le particelle ***** di are 0.65 e ***** di are 0.10;
che nel mese di ***** B.S. e S. G. avevano proceduto, arbitrariamente ed illegittimamente, all’abbattimento del muro di cinta, allo smantellamento di parte del selciato ivi esistente ed alla installazione di due cancelli scorrevoli, al fine di crearsi un accesso carrabile alla parte retrostante dei loro fabbricati.
Chiedevano, quindi, di essere reintegrati nel possesso della porzione del terreno e del muretto di recinzione sopra descritti e la rimozione dei cancelli abusivamente collocati;
nel merito, la conferma dei provvedimenti immediati e la condanna dei resistenti al ripristino dello stato dei luoghi, con la ricostruzione del muretto abbattuto e del selciato smantellato e con l’eliminazione dei cancelli, al risarcimento dei danni ed al pagamento delle spese processuali.
Nel giudizio, iscritto al n. 17586/91 R.G., si costituivano entrambi i resistenti, chiedendo il rigetto delle domande proposte nei loro confronti.
Con provvedimento del 16/12/1991, il Pretore ordinava la rimozione dei cancelli ed il ripristino dello stato dei luoghi.
Con successiva ordinanza del 2/3/1992, il Pretore, a parziale modifica del precedente provvedimento, ordinava ai resistenti la chiusura mediante saldatura in ferro dei cancelli e l’applicazione agli stessi di un pannello fisso in materiale non trasparente, confermando per il resto l’ordinanza del 16/12/1991.
Riassunto il giudizio, dopo l’interruzione causata dalla morte del difensore di S.G., venivano espletate prove per testi nonchè ispezione giudiziale dei luoghi.
Con altro ricorso in data 22/12/1992, C.S., + ALTRI OMESSI quali comproprietari e compossessori, in ragione di 14/28, della porzione di terreno di circa metri quadrati 75 in questione, si rivolgevano al Pretore di *****, lamentando che nel ***** il Comune di detta località aveva illegittimamente proceduto all’abbattimento di parte del muretto di recinzione posto a delimitazione dell’area di proprietà dei ricorrenti; chiedevano pertanto di essere reintegrati nel possesso del suolo.
In tale secondo giudizio, si costituiva il Comune di *****, eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità ed improcedibilità dell’azione dei ricorrenti nonchè l’infondatezza nel merito.
Espletata consulenza di ufficio, l’adito Pretore disponeva, con provvedimento in data 11.6.97 la riunione delle cause (la n. 360/92 alla n. 17586/91).
Le cause così riunite venivano, in seguito assegnate alla sezione stralcio di ***** e il GOA, con sentenza n. 532/2003, rigettava il ricorso e revocava il provvedimento di reintegra emesso dal Pretore (nella causa 360/92).
Proponevano appello M.A.D., + ALTRI OMESSI .
Si costituivano B.S., S.G. e il Comune di *****. Interveniva volontariamente P.M..
L’adita Corte d’Appello di Messina, con la decisione in esame, depositata in data 29/5/2008, in parziale riforma dell’impugnata decisione, così provvedeva: “ordina a B.S., a S.G. ed al Comune di ***** di ripristinare lo stato dei luoghi, i primi due eliminando, con la ricostruzione del muro, il varco realizzato con la collocazione dei due cancelli, e ripristinando il ciglio netto a confine tra l’area per cui è controversia e ***** rimuovendo le panchine collocate nell’area”.
Ricorre per cassazione il Comune con tre motivi; resistono con controricorsi gli intimati nonchè B.S. e S. G. che, a sua volta, propongono ricorso incidentale con quattro motivi; ha depositato memoria il S..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ricorso principale:
con il primo motivo di ricorso di deduce “nullità della sentenza impugnata e dell’intero procedimento di appello, per violazione dell’art. 331 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, in quanto detta fase processuale si è svolta senza provvedere ed integrare il contraddittorio nei confronti della Curatela del Fallimento Edilgiuffrè, che era intervenuta in giudizio nel procedimento di primo grado all’udienza del 27/2/92” . Si fa presente in proposito che il giudizio di appello si è svolto in assenza della Curatela del Fallimento Edilgiuffrè s.p.a., intervenuta nel giudizio di primo grado all’udienza del 27/2/92, atteso che con l’atto di appello del 5/4/2004, il fallimento non è stato evocato in giudizio neanche ai fini della integrità del contraddittorio, con il secondo motivo si deduce “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per omessa, insufficiente, contraddittoria e/o apparente motivazione circa il fatto controverso e decisivo dell’effettiva occupazione e successiva espropriazione da parte del Comune dell’area oggetto del contendere”.
Si afferma in proposito che appare di tutta evidenza che la Corte, avendo riformato la sentenza di primo grado, senza, peraltro, motivare sui presunti errori del primo giudice, ha apoditticamente ritenuto che il Comune avesse agito iure privatorum, riconoscendo, per l’effetto, l’ammissibilità dell’azione di reintegra contro la P.A., pur non avendo esaminato, come dalla stessa ammesso, i titoli prodotti dalle parti, ritenuti irrilevanti;
con il terzo motivo si deduce violazione delle norme sulla giurisdizione.
Si afferma che sulla inammissibilità e/o improcedibilità, per difetto di giurisdizione, dell’azione possessoria nei confronti della p.a. che non agisce iure privatorum, si è pronunziata, con costante e consolidata giurisprudenza, la Suprema Corte di Cassazione a sezioni unite che ha statuito: l’esperibilità di un azione possessoria nei confronti della P.A. è condizionata dal presupposto che quest’ultima abbia agito iure privatorum, ovvero abbia posto in essere un’attività sine titulo mentre ogni qualvolta il comportamento dell’amministrazione si risolva nella attuazione di una pubblica potestà ovvero di un atto amministrativo (sia pur viziato), la tutela possessoria è inammissibile perchè, essendo funzionale al ripristino della situazione modificata o turbata dall’attività denunziata, si attuerebbe con un provvedimento di natura costitutiva che, nell’elidere gli effetti dell’azione amministrativa, violerebbe il divieto imposto al giudice ordinario dalla L. n. 2248 del 1865, art. 4.
Ricorso incidentale:
con il primo motivo si deduce omessa, insufficiente, illogica, contraddittoria e solo apparente motivazione sul fatto controverso e decisivo del possesso della zona oggetto del contendere, nonchè omessa valutazione di documentazione, in relazione alla L. 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 50 e 53 e, art. 2653 c.c..
Si afferma che la sentenza impugnata ha de plano ed acriticamente, accolto i motivi di gravame senza esplicitare le ragioni e o le motivazioni che hanno indotto la Corte stessa a ritenerli degni di accoglimento.
Ed invero, pur non avendo accolta il gravame degli appellanti, tendente alla disapplicazione del decreto sindacale n. 4 7 del 2/11/87, espropriativo dell’area in questione, la Corte di merito, a pag. 19 scrive testualmente “i motivi di gravame sono per quanto di ragione fondati” ma non fa alcun esplicito ragionamento per far comprendere le argomentazioni a sostegno di tale decisione;
con il secondo motivo si deduce in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1168 c.c., dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 116 c.p.c..
Si deduce che la Corte, riformando la sentenza di primo grado, ha accolto la domanda di reintegra in possesso proposta dai ricorrenti, in ordine alla zona in oggetto, considerando, erroneamente, manifestazione dello ius possessionis uno sporadico ed occasionale parcheggio da parte di terzi, estranei al condominio;
con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1140 c.c. e della L. n. 2359 del 1865, art. 53 per avere la Corte di merito ritenuto provata la situazione di possesso, sulla base del titolo di proprietà del ***** (per notaio Cutrupia), col quale essi appellanti avevano acquistato complessivi 24/28, in contrasto con gli atti ablatori prodotti dal Comune e con la accertata irreversibile trasformazione del terreno a suo tempo occupato e successivamente espropriato da detta P.A.;
con il quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1168 c.c., art. 2697 c.c. e art. 116 c.p.c. per omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, avendo la Corte omesso qualsiasi motivazione in ordine alla sussistenza dell’animus spoliandi.
Invero, secondo un orientamento, ormai consolidato, lo spoglio, al pari dello spossessamento, costituisce atto illecito che lede il diritto del possessore alla conservazione della disponibilità della cosa e obbliga chi lo commette al risarcimento del danno; ne consegue che, al pari di qualsiasi atto illecito, anche per lo spoglio deve accompagnarsi alla condotta materiale il dolo o la colpa, la cui prova incombe, in applicazione del principio generale in tema di onere della prova, su che propone la domanda di reintegrazione.
Si dispone la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c..
Entrambi i ricorsi, in relazione a tutte le suesposte doglianze, non meritano accoglimento.
Quanto al ricorso principale, preliminare è l’esame del terzo motivo in relazione alla dedotta violazione di norme sulla giurisdizione:
premesso che nel caso di specie con il ricorso presentato nei confronti del Comune di *****, gli istanti deducevano un illecito comportamento di quest’ultimo riguardo all’abbattimento di un mero di recinzione, posto a delimitazione di un area di proprietà degli stessi, del tutto prescindendo, quindi, dall’esercizio di un pubblico potere (a carattere discrezionale) o dall’emissione di un provvedimento amministrativo e che, inoltre, nella vicenda in esame, non viene in evidenza e non assume alcun rilievo la procedura espropriativa promossa dallo stesso Comune nei confronti dell’immobiliare Ruggeri, dante causa della Edilgiuffrè (a sua volta dante causa degli odierni resistenti), in quanto come evidenziato in fase di merito, dalla Corte territoriale, l’area in questione non rientra in quella espropriata, deve affermarsi la giurisdizione del giudice ordinario (correttamente individuata dalla Corte di Messina).
Come infatti già statuito da queste Sezioni Unite (tra le altre, Ord. n. 23 561/08), le azioni possessorie sono esperibili davanti al giudice ordinario nei confronti della P.A. (e di chi agisca per conto di essa) quando il comportamento della medesima non si ricolleghi ad un formale provvedimento amministrativo, emesso nell’ambito e nell’esercizio di poteri autoritativi e discrezionali ad essa spettanti, ma si concreti e si risolva in una mera attività materiale, non sorretta da atti o provvedimenti amministrativi; ove risulti, invece, sulla base del criterio del petitum sostanziale, che oggetto della tutela invocata non è una situazione possessoria, ma il controllo di legittimità dell’esercizio del potere, va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, competente essendo il giudice amministrativo.
Tra l’altro, del tutto destituita di fondamento è l’affermazione in ricorso in base alla quale l’azione possessoria contro la pubblica amministrazione risulta ammissibile quando l’attività è stata posta in essere nell’esercizio di un potere pubblico in esecuzione di un atto amministrativo: tale asserzione non fa parte del contenuto argomentativo della decisione impugnata.
Inammissibile è, altresì, il primo motivo del ricorso principale:
innanzitutto l’omessa integrazione del contraddittorio nei confronti della Curatela del fallimento Edilgiuffrè (intervenuta in primo grado) e la connessa deduzione della nullità della sentenza impugnata e dell’intero procedimento di appello per violazione dell’art. 321 c.p.c. non possono essere genericamente denunciati come vizi di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 senza inoltre specificare l’omessa indicazione di tutte le parti del giudizio, (in cui è intervenuta detta Curatela), le ragioni della dedotta inscindibilità di cause, anche sul piano processuale e la circostanza della (eventuale) presenza del Comune ricorrente nel giudizio in cui fu parte la Curatela.
Tale primo motivo è dunque privo del requisito dell’autosufficienza.
Comunque l’appello risulta notificato a tutte le parti nei cui confronti venne pronunciata la sentenza di primo grado e nella quale non vi è riferimento alla Curatela stessa. Inammissibile, poi, è il secondo motivo del ricorso principale: a parte la considerazione che la Corte di Messina con ampie e logiche motivazioni ha dato conto del proprio decisum, sulla base delle risultanze di giudizio, la censura in esame risulta priva della formulazione del relativo quesito di cui l’art. 366 bis c.p.c.; già, queste Sezioni Unite hanno, infatti, affermato che (tra le altre Ord. 8897/08), allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso.
Quanto al ricorso incidentale si osserva: tutte le censure in esso esposte tendono a un non consentito riesame della presente sede di fatti, documenti e circostanze sui quali la Corte di merito, previo compiuto esame, ha fondato la propria decisione, tra cui in particolare: il non aver agito il Comune iure privatorum bensì a seguito del decreto di esproprio n. 47/87 e la irrilevanza dell’atto notarile di acquisto degli originari istanti rispetto alla data di avvenuta espropriazione, (primo motivo); l’erronea rilevanza attribuita alla destinazione a parcheggio dell’area in questione ai fini della sussistenza dello ius possessionis (secondo motivo); la coincidenza tra terreno occupato e terreno espropriato ed indennizzato (terzo motivo); la mancanza di dolo o colpa nell’attività di spoglio in questione perchè compiuta al seguito del rilascio di una concessione amministrativa.
In relazione alla natura e complessità della controversia sussistono giusti motivi per dichiarare interamente compensate tra tutte le parti le spese della presente fase.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta e compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 24 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2010