Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Sentenza n.1627 del 27/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Primo Presidente f.f. –

Dott. PREDEN Roberto – Presidente di Sezione –

Dott. VIDIRI Guido – Consigliere –

Dott. ODDO Massimo – Consigliere –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 8152/2009 proposto da:

COMUNE DI GARDA (*****), in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato MANZI LUIGI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI SALA, per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1386/2008 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 20/10/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/12/2009 dal Consigliere Dott. ANTONIO MERONE;

udito l’Avvocato Emanuele COGLITORE per delega dell’avvocato Luigi Manzi;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARTONE Antonio, che ha concluso per la giurisdizione della Corte dei conti.

RILEVATO IN FATTO

L’Agenzia delle Entrate ha citato in giudizio il Comune di Garda, dinanzi al Tribunale ordinario, competente per territorio, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni causati dalla mancata notificazione di tre avvisi di accertamento fiscali (annullati dal competente giudice tributario proprio perchè non risultavano notificati), destinati ad altrettanti contribuenti.

Il tribunale adito ha rigettato la domanda sull’assunto che, con la richiesta di notifica, si era costituito un rapporto di servizio diretto tra l’Agenzia delle entrare e i messi comunali.

La Corte di Appello, invece, adita su impugnazione dell’Agenzia delle Entrate, ha condannato il comune di Garda al risarcimento del danno cagionato all’Agenzia, sul rilievo che l’azione era stata proposta direttamente nei confronti del Comune (e non nei confronti dei messi, circostanza che poteva involgere la giurisdizione della Corte dei conti) e che secondo la giurisprudenza di questa Corte regolatrice, alla quale il Collegio ha aderito, “quando l’amministrazione finanziaria, avvalendosi della facoltà concessale dal D.P.R. n. 645 del 1958, art. 38, e dalle disposizioni successive citate dal comune, provvede alla notificazione degli avvisi di accertamento a mezzo di messi comunali, facendone richiesta all’amministrazione comunale dalla quale questi dipendono, sorge tra di essa ed il comune (e non tra di essa ed i messi) un rapporto di preposizione che deve essere qualificato come mandato “ex lege”, in base al quale l’ente territoriale è obbligatoriamente tenuto ad esplicare un’attività nell’interesse e per conto dell’amministrazione finanziaria (notificazione degli atti a mezzo dei propri messi), assumendo l’ordinaria responsabilità per i casi di inosservanza dell’obbligo o di difettoso o manchevole adempimento. Dal che discende che il comune direttamente risponde in base ai principi dell’immedesimazione organica sia del colpevole ritardo dei propri impiegati nella trasmissione degli atti ai messi … che, come espressamente ribadito dal R.D.L. n. 383 del 1934, art. 273, pur sempre agiscono quali dipendenti comunali” (Cass. 10263/2000).

Il Comune di Garda ricorre oggi per la cassazione di quest’ultima decisione, sulla base di quattro motivi, illustrati anche con memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c.. L’Agenzia intimata non ha svolto alcuna attività difensiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso non può trovare accoglimento.

Con i primi due motivi, da esaminare congiuntamente perchè sono basati sul comune asserito presupposto che, nella specie, tra l’Agenzia delle Entrate ed i messi comunali si sarebbe instaurato un rapporto di servizio diretto, la parte ricorrente denuncia la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, e L. n. 20/194, art. 1, comma 4, sostituito dalla L. n. 369 del 1996, art. 3, comma 1, lett. c bis), con conseguente difetto di legittimazione passiva dell’ente comunale ed attribuzione della controversia alla giurisdizione della Corte dei conti per i danni cagionati dai messi direttamente all’Agenzia delle Entrate.

Le censure appaiono prive di fondamento. Non è condivisibile la tesi del rapporto diretto tra Agenzia delle Entrate e messi notificatori per le ragioni illustrate nella giurisprudenza di questa Corte citata dalla Corte di Appello, consolidatasi con successive conformi pronunce (intervenute anche dopo la riforma della giurisdizione della Corte dei conti, degli anni 1994/96), alle quali il Collegio intende dare continuità. Infatti, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nell’affermare che “In tema di notifica degli avvisi di accertamento tributario, qualora l’Amministrazione finanziaria, avvalendosi della facoltà di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, faccia richiesta al Comune di provvedere all’incombente a mezzo di messi comunali, si instaura, tra Amministrazione ed ente locale, un rapporto di preposizione gestoria che deve essere qualificato come mandato “ex lege”, la cui violazione costituisce, se del caso, fonte di responsabilità esclusiva a carico del Comune, non essendo ravvisabile l’instaurazione di un rapporto di servizio diretto tra l’Amministrazione finanziaria e i messi comunali, che operano alle esclusive dipendenze dell’ente territoriale” (Cass. 23679/2008; conf. 3397/2003, 711/2002).

Nè rileva, nella specie, la giurisprudenza citata nella memoria difensiva (Cass. SS.UU. 23677/2009) che riguarda la diversa fattispecie nella quale l’Agenzia delle Entrate ha agito direttamente nei confronti di un messo notificatore, ben identificato, resosi responsabile di danno erariale per avere irritualmente notificato un atto impositivo, attestando falsamente (anche se il giudice penale aveva poi escluso il dolo) di averlo notificato al destinatario che si era rifiutato di firmarlo. Nella specie, l’azione di risarcimento è diretta nei confronti dell’ente comunale, che non ha adempiuto ai compiti affidatigli dalla legge, e non nei confronti dei messi notificatori, che nemmeno si sa quali e quanti fossero e se l’ente comunale ne disponesse in numero adeguato per fare fronte ai compiti istituzionali. Come ha rilevato la Corte di Appello, e sul punto non v’è censura, già il Tribunale aveva rigettato nel merito la domanda, piuttosto che accedere alla tesi del difetto di legittimazione passiva del Comune, sollevata dal convenuto, sul rilievo che la domanda stessa era stata proposta nei confronti dell’ente e non dei messi. In definitiva, correttamente la domanda contro il Comune, per il risarcimento di danni derivanti dalla violazione degli obblighi inerenti al mandato ex lege, è stata proposta dinanzi al competente giudice ordinario.

Con il terzo motivo, denunciando la violazione degli artt. 2697, 1223 e 1226 c.c., la parte ricorrente eccepisce che l’Agenzia delle Entrate non avrebbe fornito la prova del danno subito; danno che non può essere commisurato alla entità delle imposte che il contribuente avrebbe dovuto pagare, posto che non è dimostrato che l’esito del contenzioso sarebbe stato favorevole alla Agenzia. Il problema è stato già affrontato da questa Corte e, come ha già rilevato la Corte di appello, è stato risolto nel senso che “l’esistenza e l’ammontare del danno devono ritenersi in via presuntiva determinati dall’entità della pretesa fiscale, dalla quale l’Amministrazione finanziaria è decaduta per effetto della mancata o intempestiva notificazione, fino a che l’autore del danno non deduca e dimostri l’insussistenza dei presupposti di fatto e di diritto dell’obbligazione tributaria, o il suo minore ammontare, ovvero la ricorrenza di impedimenti insuperabili ad un utile esercizio del correlativo credito contro il contribuente” (Cass. 10263/2000). Nella specie, poi, come hanno rilevato i giudici di merito “il Comune non ha dedotto nè, tantomeno, fornito la prova atta a superare la citata presunzione” (p. 7 della sentenza impugnata). Il citato indirizzo giurisprudenziale, al quale il Collegio intende dare continuità in mancanza di validi argomenti di segno contrario, ha trovato conferma anche con la sentenza n. 3192/2006, secondo la quale “In caso di responsabilità del comune nei confronti dell’amministrazione finanziaria dello Stato per tardiva notificazione di un avviso di accertamento tributario, l’esistenza e l’ammontare del danno devono ritenersi in via presuntiva commisurati all’entità della pretesa fiscale dalla quale l’amministrazione è decaduta, salvo che l’autore del danno non deduca e dimostri l’infondatezza della pretesa fiscale, ovvero la ricorrenza di impedimenti insuperabili ad un esercizio utile della stessa”.

Infine, con il quarto motivo, viene denunciata la violazione dell’art. 1227 c.c., anche sotto il profilo del vizio di motivazione, in quanto l’amministrazione finanziaria, che affidava al Comune una notevole mole di lavoro non si è poi preoccupata di sollecitarne l’adempimento. La Corte di appello, ha correttamente rilevato che l’amministrazione richiedente aveva inviato gli atti da notificare con congruo anticipo.

Quanto alla violazione dell’art. 1227 c.c., la censura è generica, e quindi inammissibile, in quanto, in forza della norma invocata, il debitore può soltanto ottenere una diminuzione del risarcimento, in ragione della gravità della colpa e della entità delle conseguenze che ne sono derivate e la parte ricorrente non deduce in quale misura la pretesa colpa avrebbe influito sul mancato adempimento, nè se l’eccezione sia stata formulata nei corretti termini almeno dinanzi ai giudici di merito.

Conseguentemente, il ricorso va rigettato. Non occorre liquidare le spese del giudizio di legittimità, sostenute soltanto dalla parte soccombente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2010

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