Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.163 del 08/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 11535/2008 proposto da:

CARLONE LIBERTA’ SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del suo liquidatore, CZ SRL, in persona dell’amministratore unico e legale rappresentante, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA ASIAGO, 2, presso lo studio dell’avvocato PAIANO SIMONA, rappresentate e difese dall’avvocato GIANCASPERO Berardino, giusta procura alle liti a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

CONDOMINIO DI *****, in persona dell’Amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL TRITONE, 102, presso lo studio dell’avvocato NANNA VITO, rappresentato e difeso dall’avvocato VOLPE Vito, giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1225/2007 della CORTE D’APPELLO di BARI del 21/11/07, depositata il 29/11/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio de

PREMESSO IN FATTO

che nella relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., si legge quanto segue:

“Con la sentenza impugnata la Corte di appello ha respinto il gravame dell’attuale ricorrente avverso la sentenza di primo grado, con cui era stata respinta l’impugnazione di delibera assembleare condominiale del 16 ottobre 1993, di ratifica di precedenti delibere del 31 marzo e 15 dicembre 1990.

Nell’esaminare, in particolare, il primo motivo di appello, con cui si sosteneva che la delibera impugnata non poteva sanare la nullità delle precedenti, delle quali conteneva una semplice presa d’atto, e non una ratifica, la Corte ha richiamato la disposizione dell’art. 2377 c.c., u.c., ed ha confermato che la Delib. 16 ottobre 1993 conteneva una espressa ratifica delle richiamate delibere anteriori.

Con il primo motivo di ricorso per cassazione si deduce che la Delib.

15 dicembre 1990 era stata annullata con sentenza del 12 febbraio 1998 della medesima Corte di Bari, passata in giudicato; le conseguenze da trarsene sulla correttezza della decisione impugnata restano, però, oscure, nè sono chiarite dalla formulazione del quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c. (“Dica Codesta Suprema Corte se erri il giudice di merito che, in un’ipotesi come quella di specie, in cui si è verificato il passaggio in giudicato di una sentenza (…), dichiari inapplicabile, al caso de quo, proprio per effetto del giudicato, la disposizione di cui al menzionato comma dell’art. 2377 c.c.”). Il motivo sembra pertanto inammissibile.

Del pari inammissibile si rivela il secondo motivo di ricorso, con il quale si sostiene che, essendo stata dedotta in giudizio una causa di nullità, e non di annullabilità, della delibera, l’art. 2377 c.c., u.c., non era applicabile. Invero, la questione dell’applicabilità di tale disposizione, che prevede l’impossibilità di pronunciare l’annullamento della delibera anteriore che sia stata ratificata da legittima delibera successiva, non ha rilevanza in un giudizio, come quello di cui trattasi, di impugnazione della delibera successiva, e non di quella anteriore”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

che detta relazione è stata ritualmente comunicata al P.M. e notificata agli avvocati delle parti, i quali non hanno presentato conclusioni o memorie;

che la stessa è condivisa dal Collegio, il quale rileva, inoltre, sul secondo motivo, come la tesi dell’insuscettibilità di ratifica della delibera dichiarata invalida con sentenza passata in giudicato valga nell’ipotesi in cui la delibera sia stata dichiarata nulla per vizi sostanziali, non anche nell’ipotesi in cui sia stata annullata per vizi formali (come nella specie per omissione degli avvisi di convocazione) indipendentemente dalla terminologia (nullità/annullabilità) appropriata o meno utilizzata dal giudice;

che, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile;

che le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrenti alle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorar, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2009.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2010

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