Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.1664 del 27/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Ministero delle Finanze e Agenzia delle Entrate, in persona, rispettivamente, del Ministro e del Direttore pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrenti –

contro

C.I.F., rappresentato e difeso per procura a margine del controricorso dagli Avvocati Garovoglia Mario e Claudio Lucisano, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Crescenzio n. 91.

– intimato –

avverso la sentenza n. 12/22/03 della Commissione tributaria regionale del Piemonte, depositata il 7.11.2003;

udita la relazione della causa svolta nell’adunanza in camera di consiglio del 18 dicembre 2009 svolta dal consigliere relatore dott. Mario Bertuzzi;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

FATTO E DIRITTO

Il Ministero delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate ricorrono, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte in epigrafe indicata, che, in riforma della decisione di primo grado, aveva accolto il ricorso del contribuente, libero professionista, contro il silenzio rifiuto formatosi sulla sua istanza di rimborso Irap per gli anni da 1998 al 2001.

L’intimato si è costituito con controricorso.

Attivata procedura ex art. 375 cod. proc. civ., gli atti sono stati trasmessi al Procuratore Generale, che ha concluso per la trattazione del ricorso in camera di consiglio e per il suo accoglimento per manifesta fondatezza. Preliminarmente va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal controricorrente per essere la notifica dello stesso avvenuta a mezzo posta soltanto in data 24. 12. 2004, oltre il termine lungo stabilito dall’art. 327 cod. proc. civ. (richiamato per il processo tributario dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38).

L’eccezione non ha pregio, avendo questa Corte già precisato che, nei casi di notificazione a mezzo del servizio postale, a seguito della pronunzia n. 477 del 2002 della Corte Costituzionale, la notificazione, laddove raggiunga il destinatario, deve ritenersi effettuata per il notificante a solo compimento delle formalità direttamente impostegli dalla legge, ossia con la consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario (Cass. n. 5853 del 2006;

Cass. n. 709 del 2004; Cass. n. 6402 del 2004), adempimento avvenuto nel caso di specie il 23.12.2004, ultimo giorno prima della scadenza del termine, come risulta dal timbro attestante il registro cronologico dell’ufficiale giudiziario apposto a margine del ricorso.

Sempre in via preliminare va invece dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal Ministero delle Finanze, atteso che, a seguito dell’istituzione dell’Agenzia delle entrate ad opera del D.Lgs. n. 300 del 1999, divenuta operativa dal 1 gennaio 2001, si è verificata una successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, in forza della quale spetta esclusivamente ad essa la legittimazione processuale in ordine alle relative controversie (Cass. n. 9004 del 2007; Cass. n. 22889 de 2006; Cass. S.U. n. 3118 de 2006). Nè una concorrente legittimazione ad processum può ravvisarsi nei confronti del Ministero in forza delle precedenti fasi processuali, tenuto conto che il giudizio di appello, promosso dopo il 1 gennaio 2001, si è svolto con la esclusiva partecipazione della Agenzia delle entrate.

Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata sotto il profilo della violazione e falsa applicazione della L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 114, e D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2, 3, 8, 27 e 36 assumendo che ai sensi di tali disposizioni debbono considerarsi soggetti ad Irap tutti i lavoratori autonomi esercenti arti e professioni, quale che sia il grado di intensità organizzativa impresso alla propria attività, rimanendone sottratti solo coloro che svolgono attività di collaborazione coordinata e continuativa. Il motivo è manifestamente infondato.

Questa Corte ha affermato il principio secondo cui, in tema di Irap, l’esercizio per professione abituale, ancorchè non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diversa dall’impresa commerciale costituisce, secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 156 del 2001, presupposto dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività autonomamente organizzata. Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente che eserciti attività di lavoro autonomo: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo l’id quod plerumque accidit, costituiscono nell’attualità il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (Cass. 3678/07 ed altre).

La ratio decidendi della sentenza impugnata è conforme a tale principio e si sottrae, pertanto, al vizio di violazione di legge contestato.

Con il secondo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate, denunziando violazione dell’art. 2697 cod. civ. e vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per avere accolto il ricorso del contribuente sulla base della considerazione che l’Ufficio finanziario non aveva provato, come era suo onere, che l’attività professionale svolta dal contribuente era autonomamente organizzata.

Il motivo è fondato.

La medesima giurisprudenza richiamata a proposito dell’esame del primo motivo ha invero precisato che nel caso in cui il contribuente che ha pagato intenda chiedere il rimborso trovano applicazione le generali norme sull’indebito oggettivo (art. 2033 cod. civ.), con la conseguenza che grava sul contribuente medesimo, secondo le regole generali, la prova dell’inesistenza della predetta condizione, vale a dire della mancanza del presupposto impositivo. La Commissione regionale ha pertanto errato, laddove, non attenendosi a tale principio, ha motivato l’accoglimento della domanda di restituzione sulla base della considerazione che l’Ufficio non aveva provato il presupposto dell’imposta in discorso.

Per tale ragione il ricorso è accolto e la sentenza cassata con rinvio ad altra Sezione della Commissione tributaria regionale del Piemonte, che si atterrà, nel decidere, al principio di diritto sopra enunciato e provvederà anche alla liquidazione delle spese di giudizio.

Le spese di lite nei confronti del Ministero delle Finanze si dichiarano invece compensate, atteso che la sua partecipazione in giudizio non ha influito in misura apprezzabile sulle difese avanzate dal contribuente.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Ministero delle Finanze e compensa le relative spese di giudizio; rigetta il primo motivo del ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate ed accoglie il secondo; cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra Sezione della Commissione tributaria regionale del Piemonte, che provvederà anche alla liquidazione delle spese di giudizio.

Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2010

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