LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PAPA Enrico – Presidente –
Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –
Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –
Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –
Dott. BERTUZZI Mario – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
Ministero delle Finanze e Agenzia delle Entrate, in persona, rispettivamente, del Ministro e del Direttore pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– ricorrenti –
contro
C.R.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 170/9/03 della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, Sezione distaccata di Pescara, depositata il 7.4.2004;
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza in camera di consiglio del 18 dicembre 2009 svolta dal consigliere relatore dott. Mario Bertuzzi;
lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. MARTONE Antonio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
FATTO E DIRITTO
Con atto notificato il 28.4.2005, il Ministero delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate ricorrono, sulla base di un unico motivo, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, Sezione distaccata di Pescara, in epigrafe indicata, che, in riforma della decisione di primo grado, aveva accolto il ricorso della contribuente, libero professionista, contro il silenzio rifiuto formatosi sulla sua istanza di rimborso irap per gli anni dal 1998 al 2000, reputando il giudice di secondo grado che la ricorrente, esercitando la professione di commercialista, per la quale è richiesto il superamento di un esame di abilitazione, fosse esentata dall’imposta e che, comunque, l’attività svolta veniva esercitata senza autonoma organizzazione.
L’intimata non si è costituita.
Attivata procedura ex art. 375 cod. proc. civ., gli atti sono stati trasmessi al Procuratore Generale, che ha concluso per la trattazione del ricorso in camera di consiglio e per il suo accoglimento per manifesta fondatezza.
In via preliminare va dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal Ministero delle Finanze, atteso che, a seguito dell’istituzione dell’Agenzia delle entrate ad opera del D.Lgs. n. 300 del 1999, divenuta operativa dal 1 gennaio 2001, si è verificata una successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, in forza della quale spetta esclusivamente ad essa la legittimazione processuale in ordine alle relative controversie (Cass. n. 9004 del 2007; Cass. n. 22889 del 2006; Cass. S.U. n. 3118 del 2006). Nè una concorrente legittimazione ad processum può ravvisarsi nei confronti del Ministero in forza delle precedenti fasi processuali, tenuto conto che il giudizio di appello, promosso dopo il 1 gennaio 2001, si è svolto con la esclusiva partecipazione della Agenzia delle entrate.
Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate censurando la sentenza impugnata per “Violazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 1 e ss.” e per vizio di motivazione, assume l’infondatezza della tesi accolta dalla Commissione regionale secondo cui ogni attività professionale protetta, cioè organizzata in Ordini, sarebbe esente dall’irap, ed osserva per contro che, ai sensi della sentenza n. 196 del 2001 della Corte costituzionale, l’accertamento di fatto deve vertere sull’autonomia dell’organizzazione del professionista.
Sostiene inoltre il ricorso che la decisione de qua è insufficientemente motivata, laddove ha escluso anche l’esistenza del requisito dell’autonoma organizzazione, senza considerare che la contribuente si avvaleva nell’esercizio della sua attività di due dipendenti.
Il motivo è manifestamente fondato.
La ratio decidendi della pronuncia di secondo grado, imperniata sul carattere protetto dell’attività professionale svolta dalla contribuente, appare in netto contrasto con il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui, in tema di irap, l’esercizio per professione abituale, ancorchè non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diversa dall’impresa commerciale costituisce, secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 156 del 2001, presupposto dell’imposta qualora si tratti di attività autonomamente organizzata, precisando altresì che il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente che eserciti attività di lavoro autonomo: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo l’id quod plerumque accidit, costituiscono nell’attualità il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (Cass. 3678/07 ed altre). Irrilevante, ai fini dell’assoggettabilità all’imposta, appare pertanto la considerazione che l’apporto del titolare sia insostituibile trattandosi di attività riservata agli iscritti ad un albo o in cui sono preminenti le qualità personali del contribuente. L’iscrizione ad un ordine professionale “protetto” non comporta infatti l’esenzione dall’imposta dei soggetti esercenti professioni intellettuali (Cass. n. 13475 del 2008; Cass. n. 3675 del 2007).
Fondata appare altresì la censura di vizio di motivazione, considerato che il giudice territoriale, pur dando atto della deduzione dell’Ufficio circa la presenza, nello studio professionale, di due dipendenti (pag. 4 della sentenza), non ha poi valutato tale circostanza, obiettivamente decisiva, in sede di accertamento in ordine al requisito dell’autonoma organizzazione del professionista.
Per tali ragioni il ricorso è accolto e la sentenza cassata con rinvio ad altra Sezione della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, che si atterrà, nel decidere, al principio di diritto sopra enunciato e provvederà anche alla liquidazione delle spese di giudizio.
Le spese di lite nei confronti del Ministero delle Finanze si dichiarano invece compensate, atteso che la sua partecipazione in giudizio non ha influito in misura apprezzabile sulle difese avanzate dal contribuente.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Ministero delle Finanze e compensa le relative spese di giudizio; accoglie il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra Sezione della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, che provvederà anche alla liquidazione delle spese di giudizio.
Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2010