LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PAPA Enrico – Presidente –
Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –
Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –
Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –
Dott. BERTUZZI Mario – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– ricorrente –
contro
R.F., residente in *****, rappresentato e difeso per procura a margine del ricorso dall’Avvocato Taddeo Luigi, elettivamente domiciliato presso lo studio del dott. Michelangelo Mattia, in Roma, via Nomentana n. 263;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 157/27/05 della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata il 3.10.2005;
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza in camera di consiglio del 18 dicembre 2009 svolta dal consigliere relatore dott. Mario Bertuzzi;
lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per i rigetto di entrambi i ricorsi.
FATTO E DIRITTO
L’Agenzia delle Entrate ricorre, sulla base di un unico motivo, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania in epigrafe indicata, notificata il 27.12.2005, che aveva rigettato l’appello dell’Ufficio per la riforma della pronuncia di primo grado che aveva accolto il ricorso del contribuente, libero professionista, contro il silenzio rifiuto formatosi sulla sua istanza di rimborso irap per gli anni 1998 e 2001.
L’intimato si è costituito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale, affidato a due motivi.
Attivata procedura ex art. 375 cod. proc. civ., gli atti sono stati trasmessi al Procuratore Generale, che ha concluso per la trattazione dei ricorsi in camera di consiglio e per il loro rigetto per manifesta infondatezza.
Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., in quanto proposti avverso la medesima sentenza.
Per primo va quindi esaminato il ricorso incidentale proposto dal contribuente, che investe due questioni pregiudiziali, in quanto attinenti all’ammissibilità dell’appello avanzato dall’Ufficio finanziario nei confronti della sentenza di primo grado.
Il primo motivo del ricorso incidentale denunzia motivazione omessa su un punto decisivo della controversia, per non avere il giudice a qua motivato in ordine alla ritenuta ammissibilità dell’appello proposto dall’Ufficio, nonostante che questi non avesse allegato l’autorizzazione della Direzione generale delle Entrate prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52.
Il motivo è infondato.
Questa Corte ha invero già precisato che nel processo tributario, la disposizione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52, comma 2, secondo la quale gli uffici periferici del Dipartimento delle Entrate del Ministero delle Finanze e gli Uffici del territorio devono essere previamente autorizzati alla proposizione dell’appello principale, rispettivamente, dal responsabile del Servizio del contenzioso della competente Direzione generale delle Entrate e dal responsabile del Servizio del contenzioso della competente Direzione compartimentale del territorio, non è più suscettibile di applicazione una volta divenuta operativa – in forza del D.M. Economia 28 dicembre 2000, – la disciplina recata dal D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 57 che ha istituito le Agenzie fiscali, attribuendo ad esse la gestione della generalità delle funzioni in precedenza esercitate dai dipartimenti e dagli uffici del Ministero delle Finanze, e trasferendo alle medesime i relativi rapporti giuridici, poteri e competenze, da esercitarsi secondo la disciplina dell’organizzazione interna di ciascuna Agenzia. A seguito della soppressione di tutti gli uffici ed organi ministeriali ai quali fa riferimento la citata disposizione, infatti, da tale norma non possono farsi discendere condizionamenti al diritto delle Agenzie di appellare le sentenze ad esse sfavorevoli delle Commissioni Tributarie provinciali (Cass. SS.UU. 604/2005, conf. Cass. n. 10493 del 2007 e n. 6809 del 2005.
Il secondo mezzo del ricorso incidentale lamenta vizio di motivazione della decisione impugnata, sostenendo che l’appello dell’Agenzia delle Entrate doveva essere dichiarato inammissibile in quanto proposto nei confronti di una sentenza diversa da quella che aveva concluso il giudizio di primo grado, atteso che in tale atto l’Ufficio faceva “riferimento ad una estesa parte della motivazione di una sentenza che non riguarda affatto il contribuente R. F. e la riporta estesamente nel corpo dell’appello”.
Il motivo, oltre che scarsamente intelligibile, è palesemente inammissibile, atteso che viene censurata sotto il profilo della motivazione la mancata rilevazione di una asserita nullità del processo, che avrebbe dovuto pertanto essere dedotta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e mediante, in osservanza del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, la riproduzione per esteso dell’atto di appello proposto dall’Agenzia, al fine di evidenziare la fondatezza e decisività della censura.
Il ricorso incidentale va pertanto respinto.
L’unico motivo del ricorso principale censura la sentenza impugnata sotto il profilo della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2 e 3 assumendo che ai sensi di tali disposizioni debbono considerarsi soggetti ad irap tutti i lavoratori autonomi esercenti in forma abituale arti e professioni, quale che sia il grado di intensità organizzativa impresso alla propria attività, rimanendone sottratti solo coloro che svolgono attività in maniera saltuaria ovvero avente i caratteri di collaborazione coordinata e continuativa.
Il motivo è infondato.
La Commissione regionale ha adottato la decisione impugnata sul presupposto che sono soggetti all’irap soltanto i professionisti che svolgono la loro prestazione avvalendosi di “un’organizzazione in grado non solo di amplificare le prestazioni del lavoratore autonomo, ma di essere sganciata dall’attività dell’organizzazione”, quale che sia il numero di dipendenti e la quantità dei mezzi impiegati, giungendo alla conclusione che, nel caso concreto, il contribuente doveva ritenersi sottratto all’imposta avendo dimostrato di non avere sopportato nè spese di collaborazione nè spese di ammortamento per l’acquisizione di beni strumentali e, quindi, – deve ritenersi – di svolgere la propria attività senza collaborazione altrui e con esigui mezzi materiali.
Tanto precisato, il Collegio rileva che tanto la premessa interpretativa da cui muove il giudice a qua quanto l’interpretazione fornita dall’Ufficio finanziario non sono condivisibili, ponendosi in aperto contrasto con l’orientamento di questa Corte, qui condiviso, secondo cui, in tema di irap, l’esercizio per professione abituale, ancorchè non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diversa dall’impresa commerciale costituisce, secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 156 del 2001, presupposto dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività autonomamente organizzata e che il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente che eserciti attività di lavoro autonomo: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo l’id quod plerumque accidit, costituiscono nell’attualità il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (Cass. 3678/07 ed altre).
Nel caso concreto, tuttavia, la Commissione regionale, pur basandosi su una errata interpretazione del dettato normativo, è giunta ad una conclusione corretta, atteso che, in forza della giurisprudenza di questa Corte sopra richiamata, il requisito dell’autonoma organizzazione va certamente escluso nel caso in cui il professionista non si avvalga per la sua attività di collaborazioni esterne o di dipendenti e utilizzi beni strumentai esigui. D’altra parte non vi è alcuna censura da parte della ricorrente principale in ordine alla motivazione dell’accertamento di fatto operato dal giudice di merito.
Il ricorso va pertanto respinto, con la precisazione che, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., la motivazione della sentenza impugnata va corretta nel senso sopra precisato.
Il rigetto di entrambi i ricorsi comporta la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi. Compensa tra le parti le spese di giudizio.
Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2010