Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.1678 del 27/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

R.R., residente in *****, rappresentato e difeso per procura a margine del ricorso dall’Avvocato Raccuglia Tommaso, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, via Ruffini n. 2/A;

– intimato –

avverso la sentenza n. 110/02/05 della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, depositata il 21.11.2005;

udita la relazione della causa svolta nell’adunanza in camera di consiglio del 18 dicembre 2009 svolta dal consigliere relatore dott. Mario Bertuzzi;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTO E DIRITTO

L’agenzia delle entrate ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna in epigrafe indicata, che aveva respinto l’appello dell’Ufficio per la riforma della pronuncia di primo grado che aveva accolto il ricorso del contribuente, libero professionista, contro il silenzio rifiuto formatosi sulla sua istanza di rimborso irap. L’intimato si è costituito con controricorso.

Attivata procedura ex art. 375 cod. proc. civ., gli atti sono stati trasmessi al Procuratore Generale, che ha concluso per la trattazione del ricorso in camera di consiglio e per il suo rigetto per manifesta infondatezza. Con i primi due motivi di ricorso – che, in ragione della loro connessione obiettiva, possono trattarsi congiuntamente – l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata sotto il profilo della violazione e falsa applicazione della L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 114, e D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2, 3, 8, 27 e 36 assumendo che ai sensi di tali disposizioni debbono considerarsi soggetti ad irap tutti i lavoratori autonomi esercenti arti e professioni, quale che sia il grado di intensità organizzativa impresso alla propria attività, rimanendone sottratti solo coloro che svolgono attività di collaborazione coordinata e continuativa.

Entrambi i motivi sono manifestamente infondati.

Questa Corte ha affermato il principio secondo cui, in tema di irap, l’esercizio per professione abituale, ancorchè non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diversa dall’impresa commerciale costituisce, secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 156 del 2001, presupposto dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività autonomamente organizzata.

Il requisito dell’autonoma organizzazione,il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente che eserciti attività di lavoro autonomo: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo ìid quod plerumque accidit, costituiscono nell’attualità il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (Cass. 3678/07 ed altre).

La ratio decidendi della sentenza impugnata è conforme a tale principio e d’altro canto non vi è censura alcuna riguardo all’accertamento di fatto operato dal giudice tributario.

La ratio decidendi della sentenza impugnata è conforme a tale principio e, pertanto, si sottrae ai vizi di violazione di legge denunziati.

La censura di difetto di motivazione è sollevata in modo del tutto generico, senza indicazione di motivi specifici secondo cui l’accertamento in ordine alla mancanza del requisito di autonoma organizzazione e la valutazione degli elementi di fatto posti a base della decisione sarebbero carenti sotto il profilo motivazionale; nè il ricorrente deduce la presenza di elementi di prova che sarebbero stati trascurati dal giudice di merito e che, se considerati, avrebbero potuto portare ad un diverso decisum.

Il terzo e quarto motivo di ricorso denunziano vizio di insufficienza e contraddittorietà di motivazione, lamentando che la Commissione regionale non abbia spiegato le ragioni per cui ha ritenuto non rilevante l’organizzazione utilizzata dal professionista nè chiarito quando tale organizzazione possa qualificarsi “rilevante” ed “adeguata”.

I motivi, che possono esaminarsi congiuntamente, sono entrambi infondati, avendo il giudice a quo espresso in modo adeguato e sufficiente le ragioni a sostegno della conclusione accolta – in coerenza con la premessa normativa secondo cui l’irap colpisce i professionisti che esercitano la loro attività in presenza di autonoma organizzazione – osservando, con accertamento di fatto non censurabile in questa sede, che “non vi è controversia alcuna in ordine alla insussistenza effettiva delle strutture nella attività professionale di cui trattasi”, espressione invero sintetica ma che, in mancanza di elementi ulteriori o diversi da parte dell’ufficio, appare in grado di sorreggere la statuizione di conferma della pronuncia di primo grado.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Sussistono giusti motivi di compensazione delle spese di giudizio, considerato che al momento della proposizione del ricorso l’orientamento giurisprudenziale applicato non si era ancora consolidato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso dell’Agenzia delle Entrate e compensa tra le parti le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2010

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