LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PAPA Enrico – Presidente –
Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –
Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –
Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –
Dott. BERTUZZI Mario – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– ricorrente –
contro
L.L.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 105/7/05 della Commissione tributaria regionale delle Marche, depositata il 9.11.2005;
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza in camera di consiglio del 18 dicembre 2009 svolta dal consigliere relatore dott. Mario Bertuzzi;
lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO E DIRITTO
Con atto notificato con invio a mezzo posta il 10.11.2006, l’Agenzia delle Entrate ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale delle Marche in epigrafe indicata, che aveva rigettato l’appello dell’Ufficio per la riforma della pronuncia di primo grado che aveva accolto il ricorso della contribuente, libero professionista, contro il silenzio rifiuto formatosi sulla sua istanza di rimborso irap per l’anno 1998.
L’intimata non si è costituita.
Attivata procedura ex art. 375 cod. proc. civ., gli atti sono stati trasmessi al Procuratore Generale, che ha concluso per la trattazione del ricorso in camera di consiglio e per il suo rigetto per manifesta infondatezza.
Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 e vizio di motivazione, censurando la sentenza impugnata per non avere dichiarato la contribuente decaduta dal diritto al rimborso per averlo richiesto soltanto nel 2002, vale a dire parecchi anni dopo il versamento.
Il mezzo è infondato.
Costituisce orientamento costante di questa Corte, che qui va ulteriormente ribadito, che la decadenza del contribuente dal diritto al rimborso per non aver presentato la relativa istanza entro il termine di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38 dal versamento dell’imposta indebitamente corrisposta, ancorchè rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, non può essere eccepita per la prima volta in cassazione, qualora – come nel caso di specie – dalla sentenza impugnata non risultino nè la data del versamento dell’imposta nè la data dell’inoltro dell’istanza per il relativo rimborso, non essendo consentita, in sede di legittimità, la proposizione di nuove questioni di diritto, anche se rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, quando esse presuppongano o comunque richiedano nuovi accertamenti di fatto, preclusi, come tali, alla Corte di Cassazione, salvo che nelle particolari ipotesi di cui all’art. 372 cod. proc. civ., nè essendo possibile ipotizzare un “error in procedendo” del giudice di merito – consistente nel mancato esame del documento – poichè la stessa rilevabilità d’ufficio della decadenza va coordinata con il principio della domanda, il quale non può essere fondato, per la prima volta in cassazione, su un fatto mai dedotto in precedenza, implicante un diverso tema di indagine e di decisione (Cass. n. 24226 del 2004; Cass. n. 646 del 2006).
Con il secondo motivo, l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata sotto il profilo della violazione e falsa applicazione della L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 114, e D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2, 3, 8, 27 e 36 nonchè degli artt. 2082, 2083, 2555 e 2229 cod. civ., e per vizio di motivazione, assumendo che ai sensi di tali disposizioni debbono considerarsi soggetti ad irap tutti i lavoratori autonomi esercenti arti e professioni, quale che sia il grado di intensità organizzativa impresso alla propria attività, rimanendone sottratti solo coloro che svolgono attività di collaborazione coordinata e continuativa.
Il motivo è manifestamente infondato.
Questa Corte ha affermato il principio secondo cui, in tema di irap, l’esercizio per professione abituale, ancorchè non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diversa dall’impresa commerciale costituisce, secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 156 del 2001, presupposto dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività autonomamente organizzata. Il requisito dell’autonoma organizzazione,il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente che eserciti attività di lavoro autonomo: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo l’id quod plerumque accidit, costituiscono nell’attualità il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (Cass. 3678/07 ed altre).
La ratio decidendi della sentenza impugnata è conforme a tale principio e, pertanto, si sottrae ai vizi di violazione di legge denunziati. La censura di difetto di motivazione è sollevata in modo del tutto generico, senza indicazione di motivi specifici secondo cui l’accertamento in ordine alla mancanza del requisito di autonoma organizzazione e la valutazione degli elementi di fatto posti a base della decisione sarebbero carenti sotto il profilo motivazionale; nè il ricorrente deduce la presenza di elementi di prova che sarebbero stati trascurati dal giudice di merito e che, se considerati, avrebbero potuto portare ad un diverso decisum.
Il terzo motivo di ricorso lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2, 3, 8, 27 e 36 e vizio di motivazione, assumendo che l’accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito, secondo cui la contribuente svolge la sua attività di medico senza l’apporto di dipendenti o collaboratori e senza dotazione di macchinari specifici, salvo un computer, è contraddetto dalle dichiarazioni dei redditi relative agli anni in contestazione ed a quelli immediatamente precedenti, in cui si espongono beni strumentali per valori consistenti che evidenziano una solida organizzazione finalizzata all’esercizio di attività.
Il motivo è manifestamente inammissibile sia per genericità, non indicando quali beni materiali o macchinari risulterebbero dalla dichiarazione dei redditi della contribuente relativa all’anno di riferimento, che per inosservanza del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, che impone al ricorrente di riprodurre il documento di cui si lamenta la mancata valutazione da parte del giudice di merito e l’indicazione del momento della sua produzione, al fine di consentire a questa Corte, che, attesa la natura non processuale dei vizio lamentato, non ha accesso agli atti, di valutare la rituale produzione del documento e la decisività del suo contenuto.
Il quarto motivo di ricorso denunzia violazione del D.Lgs. n. 446 del 1997 e dell’art. 2033 cod. civ. e vizio di motivazione, censurando la sentenza impugnata per avere di fatto invertito l’onere della prova, ponendolo a carico dell’Amministrazione in luogo che del contribuente.
Il mezzo è manifestamente infondato, apparendo del tutto sufficiente al riguardo osservare che la Commissione regionale ha deciso la controversia e motivato la propria soluzione non già applicando il principio dell’onere della prova, ma sulla base degli elementi di fatto emersi nel corso del giudizio, cioè in forza di un accertamento diretto dei fatti rilevanti ai fini della decisione.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Nulla si dispone sulle spese di lite, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2010