Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.17 del 04/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

V.S., elettivamente domiciliato in Roma, Via G. Pacini n. 25, presso lo studio dell’avv. Piccione Salvatore, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

FINEGIL EDITORIALE s.p.a. (già Editoriale le Gazzette s.r.l. e già

Editoriale Quotidiani Vneti s.p.a.), in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliato in Roma, Via G.B. Vico n. 1, presso lo studio dell’avv. Prosperi Mangili Lorenzo, che lo rappresenta e difende unitamente all’avv. Luigi Frezza giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

P.R., domiciliato in Chioggia, Via Cavour 3;

– intimato –

e contro

R.S., domiciliato in Brescia, Via Cattaneo n. 27, (studio avv. Salvatore De Vincenzi);

– intimato –

avverso la sentenza n. 79/05 della Corte d’Appello di Brescia in data 22 settembre 2004, pubblicata il 3 febbraio 2005.

Udita la relazione del Consigliere dott. Giancarlo Urban;

udito l’avv. Salvatore Piccione;

udito l’avv. Lorenzo Prosperi Mangili;

udito il P.M. in persona del Cons. Dr. GHERSI FINOCCHI Renato che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione in data 12 maggio 1992 S.V. conveniva in giudizio P.R., R.S., la società Editoriale Quotidiani Veneti, la società Finanziaria Editoriale San Marco, la società Editoriale Le Gazzette in giudizio, avanti al Tribunale di Mantova, per sentirli condannare, in solido, ovvero pro quota, al risarcimento dei danni arrecati personalmente ad esso esponente con la divulgazione di notizie e articoli di stampa a contenuto diffamatorio (apparsi sui quotidiani “*****” “*****” e “*****”, di cui le società convenute erano rispettive proprietarie), riguardanti l’epilogo di una minicrociera svoltasi il giorno *****, su commissione dell’Associazione Ristoratori tipici di *****, a bordo della motonave “*****” di proprietà della SNI, operante lungo il tratto inferiore del fiume ***** e nella laguna veneta fino a *****. Precisava che una violenta bufera di acqua e di grandine abbattutasi quel giorno sulla laguna, ancora in corso al momento del rientro in porto (ore 2,00 circa del giorno *****), aveva indotto il comandante della nave, per motivi di sicurezza, ad ordinare l’attracco invertito rispetto all’usuale; che ciò aveva determinato un ritardo delle operazioni di sbarco, per avere dovuto i marinai spostare manualmente le passerelle sul lato opposto della motonave accostato alla banchina; che nonostante l’invito alla calma e le rassicurazioni fornite, uno dei passeggeri, dopo un certo tempo, aveva iniziato a gridare di volere scendere e, nel contempo, a sollecitare l’intervento della polizia tramite un suo conoscente a terra; che una pattuglia, portatasi sul luogo, non aveva potuto far altro che prendere nota delle oggettive condizioni del tempo; che In sbarco si era reso possibile non appena terminata la tempesta;

deduceva che nei giorni immediatamente successivi i menzionati quotidiani, riprendendo acriticamente la falsa notizia ad essi comunicata dal presidente dell’Associazione Ristoratori, P. R., secondo cui le operazioni di sbarco erano state impedite dall’amministratore della SNI sulla pretesa di ottenere il previo pagamento del saldo del noleggio, avevano pubblicato articoli dal contenuto diffamatorio del seguente tenore: “Gran Gala con brivido per 150 invitati a *****” “Se non mi date i soldi della nave non scendete” e “In 150 prigionieri sulla ***** – Gran Gala con sorpresa – Sequestrati sulla nave”, seguito dal racconto, prospettato come vero, di P.R. (prima e undicesima pagina del giornale *****, che aveva ripreso la notizia in un articolo, a firma del giornalista R.S. del giorno successivo in cui si affermava che i passeggeri avevano richiesto il risarcimento del “danno morale” per il “sequestro”);

“Armatore sequestra i passeggeri” seguito dal solito racconto e “L’armatore ha messo in atto un vero e proprio sequestro di persona” (*****); “***** – Un armatore mantovano protagonista della vicenda – Pagate il noleggio della motonave altrimenti non vi lascio scendere – V.S. è stato denunciato per danneggiamento” seguito dal racconto sostanzialmente analogo a quello della stampa veneziana (giornale *****).

Le parti convenute, costituitesi con separate difese, concludevano tutte chiedendo il rigetto della domanda.

Il procuratore di parte attrice replicava precisando che V. S. aveva inteso agire in nome e per conto proprio e non quale rappresentante della S.N.I. s.p.a..

Con sentenza del 14 agosto 1997 il Tribunale rigettava la domanda, osservando che gli elementi raccolti nel corso del procedimento penale svoltosi, per i medesimi fatti, a carico di R.S. e del direttore responsabile del quotidiano ” *****”, valevano a dimostrare che le notizie pubblicate negli articoli di stampa incriminati erano veritiere e perciò ad escludere in radice la sussistenza dell’illecito, non configurabile neppure sotto il profilo del superamento dei limiti della pertinenza e della continenza. Per completezza rilevava che l’attore non aveva fornito prova dell’esistenza di un danno risarcibile.

La Corte d’Appello di Brescia, con sentenza del 3 febbraio 2005 rigettava l’appello proposto da V.S., che condannava alle spese.

Propone ricorso per cassazione V.S. con due motivi.

Resiste con controricorso la Finegil Editoriale s.p.a..

Le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 4, art. 359 c.p.c., art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione alla ammissione della prova per testi effettuata dalla Corte d’Appello, che pur richiamando quanto ritenuto dal Tribunale, aveva tuttavia omesso di riportare in motivazione le deposizioni dei testi sulla base delle quali aveva rigettato la domanda proposta dal V.. Peraltro in primo grado, il Tribunale aveva richiamato genericamente le prove assunte nel giudizio penale, senza alcuna indicazione di quelle sulla base delle quali aveva deciso la controversia.

La sentenza impugnata ha dato conto in modo completo e puntuale degli elementi di prova sulla base dei quali sono state ritenute effettivamente pronunciate dal V. le frasi ritenute diffamatorie e pubblicate sulla stampa di cui agli atti: tale prova è stata ammessa nel corso del giudizio di appello malgrado che i testi fossero stati già escussi nel corso del giudizio penale, con il risultato di una piena conferma della ricostruzione dei fatti come già operata da quel giudice. D’altra parte, la circostanza che la sentenza non riporti integralmente il testo delle dichiarazioni rese, ma si limiti a precisarne il senso complessivo, assolve certamente all’onere di motivazione cui il giudice è tenuto, essendo specificata in modo chiaro e completo la ratio decidendi che è alla base della pronunzia resa. Il motivo risulta quindi infondato.

Con il secondo motivo, si denuncia la insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione alla valutazione di quanto riferito dai testi escussi nel corso del giudizio di secondo grado. Il motivo è inammissibile: il motivo di ricorso per cassazione con il quale alla sentenza impugnata venga mossa censura per vizi di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, deve essere inteso a far valere – a pena di inammissibilità in difetto di loro specifica indicazione – carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, o ancora, mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi. Non può, invece, essere inteso a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non vi si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti. Tali aspetti del giudizio, infatti, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento, rilevanti ai sensi della norma in esame.

Diversamente il motivo di ricorso per cassazione si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e quindi di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura e alle finalità del giudizio di legittimità (Cass. 27 ottobre 2006, n. 23087).

In concreto, la parte ricorrente, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, si limita – in buona sostanza – a sollecitare una diversa lettura delle risultanze di causa, preclusa in questa sede di legittimità.

Al rigetto del ricorso, segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidale come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione. Terza Sezione Civile, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 3.000 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2010

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