Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.1757 del 27/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall’avv. Marra Alfonso Luigi giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Napoli, cron. n. 4004/07 del 24 maggio 2007, nel procedimento iscritto al n. 127/2007 V.G.;

alla presenza del Pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale, dott. PATRONE Ignazio;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19 ottobre 2009 dal relatore, cons. Dr. Stefano Schirò.

La Corte:

FATTO E DIRITTO

A) rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione, comunicata al Pubblico Ministero e notificata agli avvocati delle parti:

“IL CONSIGLIERE RELATORE, letti gli atti depositati;

Ritenuto che:

1. A.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto in data 24 maggio 2007, con il quale la Corte di appello di Napoli ha condannato il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in suo favore della somma di Euro 3.330,00, a titolo di indennizzo per il superamento in primo grado del termine di ragionevole durata di un processo, instaurato davanti al Tar Campania per il conseguimento di indennità lavorative con ricorso del 12 ottobre 2000 e non ancora definito, malgrado il deposito di due istanze di fissazione in data 25 ottobre 2001 e 14 luglio 2005;

1.1. il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha resistito con controricorso;

Osserva:

2. la Corte di appello di Napoli ha accolto la domanda nella misura di Euro 3.300,00, a titolo di indennizzo del solo danno non patrimoniale, avendo accertato una durata del processo superiore di tre anni, tre mesi e 11 giorni al termine ragionevole, determinato in tre anni;

3. parte ricorrente censura il decreto impugnato, proponendo otto motivi di ricorso, con i quali lamenta:

3.1. la mancata applicazione della normativa comunitaria alla stregua dell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, con la formulazione del seguente quesito di diritto: la L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 65, par. 1 della CEDU e in ipotesi di contrasto tra la Legge Pinto e la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU? (primo motivo);

3.2. il calcolo dell’equo indennizzo solo con riferimento al periodo eccedente la ragionevole durata della causa, e non all’intera durata del giudizio (secondo motivo), e l’inosservanza, con vizio di motivazione, dei parametri Europei ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale (terzo motivo);

3.3. il mancato riconoscimento, in violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e senza motivazione, del bonus di Euro 2.000,00 in ragione della natura della controversia attinente a questione inerente a rapporto lavoro (quarto, quinto e sesto motivo);

3.4. la illegittima compensazione, con vizio di motivazione, delle spese processuali, malgrado l’accoglimento della domanda a cui dovrebbe seguire la condanna alle spese del soccombente (settimo e ottavo motivo);

4. il primo motivo appare inammissibile, in quanto il quesito formulato è del tutto generico e senza nessuna attinenza al decisum del decreto impugnato;

4.1. il secondo e il terzo motivo appaiono manifestamente infondati, in quanto, da un lato, è vincolante per il giudice nazionale, il disposto della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a) ai sensi del quale è influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole di durata del processo (Cass. 2005/21597;

2008/14), e, sotto altro profilo, in quanto, in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2 nella liquidazione del danno non patrimoniale, il giudice nazionale, pur non potendo ignorare i criteri applicati in casi simili dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, ha comunque facoltà di apportare, motivatamente e non irragionevolmente, le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, le quali, peraltro, non possono fondare la decisione di liquidare somme che non siano in relazione ragionevole con quella – tra i 1000 e i 1500 Euro – accordata dalla predetta Corte negli affari consimili (Cass. 2006/24356; 2007/2254); nella specie, la Corte di appello si è attenuta a tali principi, facendo riferimento ai parametri CEDU, sia pure nella misura minima;

4.2. il quarto, quinto e sesto motivo appaiono manifestamente infondati, in quanto non può ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia previdenziale; da tale principio, infatti, non può derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita (Cass. 2006/9411; 2008/6898);

4.3. appaiono altresì manifestamente infondate le censure sulla compensazione delle spese processuali, in quanto per effetto del richiamo operato dalla L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 4, nel giudizio per l’equa riparazione della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo trovano applicazione le norme del codice di rito (Cass. 2004/23789; 2007/14053) e a norma dell’art. 92 c.p.c. il giudice può compensare parzialmente o per intero le spese tra le parti, se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati in motivazione; nella specie, la Corte di merito ha motivato la compensazione per la metà delle spese facendo riferimento ai limiti di accoglimento della domanda, ossia all’accoglimento solo parziale della domanda, avendo parte ricorrente chiesto un indennizzo di Euro 11.375,00, con argomentazioni sulle quali parte ricorrente non ha sollevato specifiche censure, ovvero ha mosso doglianze non attinenti al decisum, facendo riferimento all’accoglimento nei limiti della domanda, ipotesi diversa da quella considerata dalla Corte di merito;

inoltre parte ricorrente con un unico motivo ha dedotto genericamente sia la mancanza, che l’insufficienza e contraddittorietà della motivazione, in violazione dell’obbligo di formulare le censure (e quindi anche i quesiti di diritti e i momenti di sintesi ex art. 366 bis c.p.c.) in modo rigoroso e preciso, secondo le regole di chiarezza indicate dall’art. 366 bis c.p.c. applicabile alla fattispecie ratione temporis, (Cass. 2008/9470), evitando doglianze multiple e cumulative (Cass. 2008/5471), così da non ingenerare incertezze in sede di formulazione e di valutazione della loro ammissibilità (Cass. 2008/2652); parte ricorrente non ha neppure illustrato le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, attraverso un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità e da evitare che all’individuazione di dette ragioni possa pervenirsi solo attraverso la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo e all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore (Cass. S.U. 2007/20603; Cass. 2007/16002; 2008/8897);

5. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilevi formulati ai punti 4., 4.1., 4.2. e 4.3.

si ritiene che il ricorso possa essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”;

B) osservato che le parti non hanno depositato memoria e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso le considerazioni esposte nella relazione;

rilevato che le argomentazioni che precedono conducono al rigetto del ricorso per manifesta infondatezza, con condanna del ricorrente, secondo il principio della soccombenza, al pagamento delle spese processuali da liquidarsi come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 1.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria 27 gennaio 2010

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