Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.1758 del 27/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 3788/2009 proposto da:

D.L.D., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE 22, presso lo studio dell’avvocato POTTINO GUIDO che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ZAULI CARLO, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto R.G.V.C. 123/07 della CORTE D’APPELLO di ANCONA del 19.2.08, depositato il 05/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/10/2009 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO.

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO 1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è del seguente tenore:

“Il Consigliere relatore, letti gli atti:

Ritenuto in fatto:

D.L.D. impugna per cassazione, formulando sette motivi conclusi da quesiti, il decreto della Corte di appello di Ancona con il quale è stata rigettata la sua domanda di equa riparazione per irragionevole durata del processo di divisione promosso dinanzi al Tribunale di Forlì con citazione del 19.9.2001 per ottenere la divisione dell’immobile pignorato dalla Co.ri.t. nei confronti del comproprietario G.G., coniuge dell’istante, non ancora concluso nel 2007, al momento della proposizione della domanda ex lege Pinto.

La Corte di appello ha escluso che la durata del processo si fosse protratta oltre il termine ragionevole, considerata la natura del procedimento, la non comoda divisibilità del bene e la mancanza di offerenti nonchè la stessa esistenza di un danno non patrimoniale.

Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso.

Considerato in diritto:

La ricorrente formula sette motivi, con i quali denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, conclusi dai seguenti quesiti ex art. 366 bis c.p.c.:

1) vero (non è vero) che il giudizio di divisione o di scioglimento di comunioni non si sottrae ex se alla regola generale posta dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ai cui principi il giudice nazionale deve tendenzialmente uniformarsi nella determinazione della durata ragionevole del procedimento ex L. n. 89 del 2001, essendosi in linea di massima, stimata tale durata in anni tre per quanto riguarda il giudizio di primo grado e non potendo peraltro annoverarsi, quale fatto imputabile alle parti del procedimento, il tempo necessario al raggiungimento dell’obbiettivo della vendita degli immobili?.

2) vero (o non è vero) che l’arco temporale assorbito da una consulenza tecnica e, in tesi, dalla relativa integrazione, che il giudice abbia ritenuto doveroso od opportuno disporre sulla scorta del tema del dibattito, non può essere puramente e semplicemente sommato, quale ne sia l’entità, alla durata normalmente ragionevole del processo stesso, essendo rilevante sotto il diverso profilo di un’eventuale dilatazione di detta durata normale per effetto di argomentato apprezzamento della complessità del caso?.

3) Vero (o non è vero) che la Corte adita per la liquidazione dell’indennizzo da abnorme durata del processo ex L. n. 89 del 2001, non può non applicare la regola secondo cui deve essere il convenuto (Ministero della Giustizia) a dare la prova che l’indicato pregiudizio, nella specie il patema d’animo connesso all’irragionevole durata del procedimento, non sussista in capo al richiedente, per cui nell’ipotesi in cui tale prova contraria non sia fornita (come quando il Ministero rimanga contumace) il patema d’animo deve essere comunque riconosciuto al richiedente tutela? 4) Vero che l’esercizio dei diritti di difesa, teso a contrastare gli ultimi sviluppi di un processo divisionale attraverso una serie di iniziative (nella specie: richiesta di sospensione della vendita dell’immobile; l’actio nullitatis, nonchè opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi, la rinuncia agli atti del giudizio, le istanze di ricusazione e di revoca dei provvedimenti) , non può comportare ex se l’esclusione del danno non patrimoniale da irragionevole durata del procedimento presupposto ai sensi della L. n. 89 del 2001, perchè l’esercizio di atti del processo o che comunque si rapportano a quel processo non può ex se assurgere NORMATIVAMENTE ad elemento tale da escludere che le parti possano avere avuto un patema d’animo per la definizione non congrua del procedimento? 5) vizio di motivazione in ordine a:

– il fatto controverso attiene al ruolo di alcuni eventi processuali, pacificamente svoltisi nell’ultimissima fase del giudizio presupposto divisorio (richiesta di sospensione della vendita dell’immobile;

l’actio nullitatis nonchè opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi, la rinuncia agli atti del giudizio, le istanze di ricusazione e di revoca dei provvedimenti), ritenuti sintomatici, dalla Corte di merito, di un interesse contrario del ricorrente alla definizione del procedimento divisorio e dunque tali da escludere un patema d’animo indennizzabile ex L. n. 89 del 2001;

la motivazione è inidonea a reggere la decisione in quanto contraddittoria, avendo attribuito ad una serie di circostanze del processo presupposto un significato difforme dal senso comune e del tutto inconciliabile con il suo effettivo contenuto e non essendosi tenuto conto del fatto che l’interesse della parte alla non conclusione del procedimento in senso a sè sfavorevole (il che avrebbe dovuto essere logicamente colto da tali contegni), attraverso l’esperimento dei mezzi di difesa consentiti dall’ordinamento (esercizio di una facoltà legittima) non equivale a disinteresse e/o a mancanza di patema d’animo per l’abnorme durata del procedimento;

il patema d’animo dunque andava riconosciuto e si doveva procedere all’indennizzo.

6) Vero ( o non è vero) che ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, non incide sull’esistenza del diritto del ricorrente all’equa riparazione, nè comporta esclusione del patema d’animo o disagio risarcibile la circostanza che il giudizio affetto da irragionevole ritardo si sia estinto a causa della rinuncia agli atti operata dalla parte opposta con l’adesione della parte che reclama l’indennizzo da abnorme durata del procedimento? 7) vizio di motivazione:

– il fatto controverso attiene alla possibilità che l’estinzione del giudizio per rinuncia agli atti accettata dalla parte sia compatibile con il patema d’animo della parte ove il processo – prima della suddetta rinuncia – abbia attinto la soglia della non ragionevolezza;

– la motivazione è inidonea a reggere la decisione in quanto contraddittoria, in quanto – a meno che sussista agli atti la prova della dolosa preordinazione della lite fin dal principio per godere dei benefici ex L. n. 89 del 2001 – il patema d’animo non può contraddittoriamente non essere riconosciuto qualora l’attività processuale anteriore alla rinuncia abbia attinto la soglia della non ragionevolezza; una diversa e più corretta impostazione avrebbe dovuto dunque condurre il giudice dunque a riconoscere l’indennizzo.

La manifesta infondatezza delle censure (dal 3^ al 7^ motivo) rivolte contro il capo del provvedimento impugnato che ha escluso l’esistenza di un danno non patrimoniale comporta l’assorbimento delle censure relative alla determinazione della durata ragionevole del processo.

Invero, con motivazione esente da censure deducibili in sede di legittimità, la Corte di appello ha accertato che emergono elementi di rilievo idonei a dimostrare che parte ricorrente abbia manifestato un chiaro interesse contrario alla definizione del procedimento, che si attuerebbe con la vendita del bene da dividere, cosicchè è da escludere che la sua protrazione abbia determinato o determini una situazione di paterna d’animo o, comunque, di tensione psicologica ex se meritevole di ristoro.

Significative in tal senso sono alcune condotte, pur costituenti espressione del diritto di difesa, quali la richiesta di sospensione della vendita dell’immobile fissata per il giorno *****, l’atto depositato in data 9 luglio 2007, contenente actio nullitatis nonchè opposizione all’esecuzione ed agli esecutivi in forma di ricorso, con il quale la D.L. ed il G. hanno chiesto ancora in via preliminare la sospensione dell’attribuzione/assegnazione del bene, la stessa rinuncia agli atti del giudizio da parte della D.L. all’udienza del 28 febbraio 2007, accettata dal G. e chiaramente finalizzata a paralizzare la procedura attraverso l’estinzione del giudizio, come manifestato dal contenuto del ricorso depositato il 9 luglio 2007 e le istanze di ricusazione di magistrati e di revoca dei provvedimenti al riguardo emessi dal Tribunale di Forlì.

Condotte queste che, lungi dal manifestare un interesse ad un celere risoluzione del procedimento, evidenziano semmai che lo scopo perseguito da parte ricorrente è stato quello di impedirne o ritardarne la definizione, all’evidente fine di non perdere la proprietà del bene.

Ciò premesso, va ricordato che una recente pronuncia (Sez. 1^, c.c. Il maggio 2009, ric. La Posta) ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorchè non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: sicchè, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale in re ipsa – ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell’accertamento della violazione -, il giudice, una volta accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo secondo le norme della citata L. n. 89 del 2001, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente. Siffatta lettura della norma di legge interna – oltre che ricavabile dalla ratio giustificativa collegata alla sua introduzione, particolarmente emergente dai lavori preparatori (dove è sottolineata la finalità di apprestare in favore della vittima della violazione un rimedio giurisdizionale interno effettivo, capace di porre rimedio alle conseguenze della violazione stessa, analogamente alla tutela offerta nel quadro della istanza internazionale) – è imposta dall’esigenza di adottare un’interpretazione conforme alla giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo (alla stregua della quale il danno non patrimoniale conseguente alla durata non ragionevole del processo, una volta che sia stata dimostrata detta violazione dell’art. 6 della Convenzione, viene normalmente liquidato alla vittima della violazione, senza bisogno che la sua sussistenza sia provata, sia pure in via presuntiva), così evitandosi i dubbi di contrasto con la Costituzione italiana, la quale, con la specifica enunciazione contenuta nell’art. 111, tutela il bene della ragionevole durata del processo come diritto della persona, sulla scia di quanto previsto dalla norma convenzionale (Sez. un.. Sentenza n. 1338 del 26/01/2004).

Se la sussistenza di un danno non patrimoniale è conseguenza normale, peraltro, non è escluso che in casi particolari – come precisato dalle Sezioni unite – sussistano circostanze che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente.

Come ha recentemente riconosciuto la stessa Corte europea dei diritti dell’uomo riguardo al danno non patrimoniale, la Corte – come la Corte di Cassazione italiana (vedi la sua sentenza n. 8568/05) – assume che vi sia una forte ma confutabile presunzione che un procedimento eccessivamente lungo causi un danno non patrimoniale. La Corte ammette inoltre che, in alcuni casi, la durata del procedimento possa causare solo un minimo danno non patrimoniale o nessun danno non patrimoniale. I giudici nazionali dovranno allora giustificare la loro decisione fornendo ragioni sufficienti (Provvedimento del 29/03/2006 della Grande Camera nel caso: Cocchiarella contro Italia, rie. n. 64886/01, p. 95).

Nella concreta fattispecie, con motivazione esente da vizi censurabili in sede di legittimità, la Corte di appello ha escluso la sussistenza di qualsiasi danno non patrimoniale patito dal ricorrente perchè il protrarsi del processo ha costituito uno specifico interesse della parte, che ha potuto mantenere il possesso degli immobili esecutati, con conseguenze che, lungi dall’essere motivo di sofferenza, sono state percepite dalla parte come a sè favorevoli.

Se tali rilievi sono condivisi, il ricorso può essere deciso ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”.

2.- Il Collegio reputa di dovere fare proprie le conclusioni contenute nella relazione, condividendo le argomentazioni che le fondano e che conducono al rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio vanno poste a carico della parte soccombente e vanno liquidate come in dispositivo, secondo le tariffe vigenti ed i conseguenti criteri di computo costantemente adottati da questa Corte per cause similari.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese che liquida in Euro 900,00 per onorari oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2010

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