LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente –
Dott. PARZIALE Ippolisato – Consigliere –
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –
Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
C.F.P. e C.E., rappresentati e difesi dall’Avv. PINTO Leonardo, per procura speciale a margine del ricorso, ed elettivamente domiciliati in Roma, Via Cicerone n. 44, presso lo studio dell’Avv. Anna Maria Rizzo;
– ricoprenti –
contro
C.C., S.I., S.D., in proprio nonchè quale erede di C.A., elettivamente domiciliati in Roma, via Gorizia n. 52, presso lo studio dell’Avv. Domenico Affenita, dal quale sono rappresentati e difesi, unitamente all’Avv. AULETTA Francesco, per procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Potenza n. 228/06, depositata il 7 dicembre 2006.
Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 15 ottobre 2009 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti;
sentito il Sostituto Procuratore Generale Dott. Marco Pivetti, che ha concluso in senso conforme alla relazione.
RITENUTO IN FATTO
che, con sentenza depositata il 7 dicembre 2006, la Corte d’appello di Potenza, in riforma di quella del Tribunale di Matera – che aveva rigettato la domanda di S.I., in proprio e quale procuratore speciale di S.N., C.A. e C.C., nei confronti di C.F.P. e C.E., volta ad ottenere la reintegrazione nel possesso di una servitù di passaggio su una stradina -, ha accolto il gravame e ha ordinato la reintegrazione degli appellanti nel possesso della servitù di passaggio;
che la Corte dava atto che, dalle stesse ammissioni contenute nell’atto di costituzione dei convenuti, nonchè dalle deposizioni assunte nel corso del giudizio, risultava provata l’esistenza della stradalia e la sua utilizzazione almeno fino al 1996, e cioè all’epoca del lamentato spoglio, e riteneva alcune deposizioni maggiormente attendibili di altre, negando anche rilevanza ad un rilievo aerofotogrammetrico prodotto dagli appellati;
che, ad avviso della Corte, risultavano altresì provati sia l’esercizio del possesso della servitù attraverso la deposizione del teste B., sia la sussistenza dello spoglio;
che, per la cassazione di questa sentenza, hanno proposto ricorso C.F.P. e C.E., sulla base di un unico motivo;
che resistono, con controricorso, C.C., S. I., S.D.;
che, con l’unico motivo di ricorso, i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 1169 cod. civ., e censurano la sentenza impugnata laddove si legge che “A questo punto resta semplicemente da accertare … se l’azione sia stata esercitata entro un anno dallo spoglio (la relativa eccezione è stata coltivata in appello ex art. 346 c.p.c.), circostanze della cui prova è onerato l’attore in reintegra e per le quali ovviamente non basta la mera dimostrazione del titolo di acquisto”;
che, in proposito, i ricorrenti rilevano che gli appellanti non avevano preso posizione sulla anzidetta eccezione, prestando acquiescenza alla stessa, con la conseguenza che il Giudice non avrebbe potuto fondare la propria decisione su questioni non prospettate dalla parte destinataria dell’eccezione;
che i ricorrenti, ai sensi dell’ art. 366 bis cod. proc. civ., formulano il seguente quesito di diritto: “In assenza di deduzioni difensive della parte destinataria di eccezione non rilevabile d’ufficio, può il giudice di appello rigettare tale eccezione fondando la sua decisione su argomentazioni difensive non prospettate dalla parte stessa?”;
che, essendosi ritenute sussistenti le condizioni per la decisione con il procedimento di cui all’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata redatta relazione ai sensi di tale norma, che è stata notificata alle parti e comunicata al Pubblico Ministero.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che il precedente relatore designato, nella relazione depositata il 19 giugno 2009, ha formulato la seguente proposta di decisione:
“(…) ritenuto che il ricorso è inammissibile in quanto la censura sollevata, investendo l’attività del giudice di valutazione delle domande e delle eccezioni delle parti, avrebbe dovuto essere dedotta come specifico vizio di tale attività, con riferimento, pertanto, alla violazione delle regole di interpretazione e di valutazione degli atti, ed avrebbe dovuto altresì essere supportata, in osservanza del principio della autosufficienza del ricorso per cassazione, dalla allegazione e riproduzione dell’atto processuale da cui si assume emergerebbe la dedotta acquiescenza degli attori all’eccezione di decadenza;
che sotto altro profilo, il motivo è inammissibile per assoluta genericità del quesito formulato ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ.”;
che il Collegio condivide le conclusioni del consigliere delegato, alle quali non sono stati mossi rilievi critici;
che si deve comunque precisare che la proposizione della eccezione ha quale unico effetto quello di porre a carico della parte ricorrente l’onere di provare che lo spoglio e avvenuto entro l’anno dalla proposizione del ricorso e che una tale prova la Corte d’appello ha ritenuto offerta dagli attori, desumendo dalla deposizione del teste B. che, “quanto meno attraverso un loro incaricato – il B., appunto – gli odierni appellanti hanno mantenuto il corpus e l’animus del possesso della servitù fino all’epoca dello spoglio”;
che, in proposito, la Corte territoriale ha anche ritenuto che ne costituisse “prova ulteriore la lettera del 13.8.96 (…) con cui l’avvocato degli odierni appellanti diffidava i coniugi C. F.P. e C.E. dall’apportare modifiche al tracciato e alla larghezza della strada per cui è causa”;
che, in particolare, la Corte ha osservato che: “Tale missiva dimostra altresì il carattere violento dello spoglio (inteso come contrario alla volontà del possessore) poco dopo posto in essere.
Infatti, nonostante la diffida, gli appellati procedettero allo spoglio intorno alla metà dell'***** o poco dopo (v. anche, in prod. di parte appellante, il verbale di ricezione della querela presentata alla Stazione CC. di Isernia il 25 agosto 1996 da S.I., in cui lo spoglio viene collocato temporalmente alla data del 21.8.96).
Una volta accertato che lo spoglio non è anteriore alla metà del mese di agosto 1996 e che il ricorso in reintegrazione è stato depositato il 7.8.97, va da sè che l’azione è stata proposta entro l’anno dallo spoglio, secondo quanto prescritto dall’art. 1168 c.c., comma 1”;
che, in relazione a tali specifici argomenti, non risultano proposte censure altrettanto specifiche;
che, conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dei ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2010