Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.196 del 11/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 17515-2008 proposto da:

LVM SRL, in persona del suo Amministratore Unico, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SILVIO PELLICO 42, presso lo studio dell’avvocato D’AMICO ATTILIO, che la rappresenta e difende, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

O.V.F.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 204/2007 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA del 10/05/07, depositata il 29/06/2007;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/10/2009 dal Consigliere e Relatore Dott. ANTONIO LAMORGESE;

udito l’Avvocato D’Amico Attilio, difensore della ricorrente che si riporta ai motivi insistendo per l’accoglimento del ricorso ed in subordine per la trazione in P.U.;

è presente il P.G. in persona del Dott. MASSIMO FEDELI che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 1 luglio 2008 la Corte di appello di Brescia ha rigettato l’impugnazione proposta dalla società LVM avverso la decisione con la quale il Tribunale di Bergamo, accogliendo, nella contumacia della convenuta, la domanda di O.V.F.L., aveva dichiarato l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato il ***** e aveva condannato quella società alla riammissione in servizio della lavoratrice, al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni non percepite, nonchè al pagamento degli assegni familiari per complessivi Euro 1.495,20.

Nel disattendere il gravame della società, la Corte territoriale ha rilevato l’inammissibilità della eccezione, in quanto sollevata in appello, dell’estinzione del rapporto di lavoro per dimissioni della lavoratrice e della produzione del documento, cioè la comunicazione della lavoratrice del *****, con la quale l’appellante intendeva dimostrarle. Il medesimo giudice ha aggiunto che, comunque, quel documento per il suo tenore non esprimeva “alcuna volontà dimissionaria giuridicamente apprezzabile”, poichè la lavoratrice si era limitata ad affermare di voler completare il rapporto di lavoro sino alla scadenza prevista del 31 marzo 2005, e l’ulteriore dichiarazione di non voler continuare nell’attività lavorativa dopo quella data era improduttiva di effetti giuridici, non potendosi rinunciare preventivamente ad un diritto non ancora sorto.

La Corte di merito ha inoltre ribadito l’illegittimità del termine, poichè non costituivano esigenze di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo quelle dedotte dalla società per giustificare il termine apposto, con la generica dizione riportata nel contratto di “attività sperimentale nella nuova dipendenza di *****”, peraltro non dimostrata. Ha poi evidenziato, quanto all’obbligo della società di corrispondere le mensilità maturate, l’offerta da parte della lavoratrice delle proprie prestazioni lavorative, e che infine erano dovuti gli interessi sulla somma di Euro 1.495,20, persistendo l’inadempimento della società nel relativo pagamento.

La cassazione di questa sentenza è ora domandata dalla società soccombente con ricorso basato su due motivi.

L’intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Essendosi ravvisata la sussistenza dei presupposti per la trattazione del ricorso in camera di consiglio è stata redatta la relazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., poi ritualmente notificata ai difensori delle parti costituite e comunicata al Procuratore Generale.

La ricorrente ha quindi depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 437 cod. proc. civ., e deduce che erroneamente il giudice del merito ha considerato eccezione in senso stretto la cessazione del rapporto da ricondurre “alla scadenza del prorogato termine contrattuale, e ciò a seguito della volontà comunicata dalla lavoratrice con lettera del *****”. Il rapporto era cessato non già per dimissioni, ma per scadenza del termine, e la datrice di lavoro non era legittimata ad imporre la prosecuzione dell’attività lavorativa.

Il secondo motivo denuncia vizio di motivazione e addebita al giudice del gravame di non avere motivato sulla indispensabilità del documento, attestante la manifestazione di volontà della lavoratrice di non proseguire nel rapporto di lavoro.

Entrambi i motivi sono manifestamente infondati. Nella relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ., condivisa dal Collegio, si è sottolineato come l’illegittimità del termine apposto al contratto, affermata dal giudice del merito, non è posta in discussione dalla società ricorrente: questa infatti si è limitata, da un lato, a dedurre l’estinzione del rapporto per scadenza del termine, senza tenere conto della relativa statuizione di nullità e, dall’altro lato, la volontà della lavoratrice di non volere proseguire nel rapporto quale risultante dalla lettera del *****;

La società ha ribadito queste deduzioni nella memoria depositata, sostenendo che “le censure alla impugnata sentenza della Corte di appello di Brescia sono incentrate sulla univoca, anche se non ampiamente esplicitata, considerazione della collegabilità della cessazione del rapporto a termine alla determinazione, manifestata dalla lavoratrice con preventiva dichiarazione scritta e con l’abbandono del posto già occupato in azienda, di non proseguire la propria attività lavorativa dopo la scadenza della proroga del contratto a termine già convenzionalmente stabilita al *****”.

In tal modo però la difesa della ricorrente non tiene conto della preclusione processuale rilevata dalla sentenza impugnata, laddove ha rimarcato che la cessazione del rapporto di lavoro per la volontà della lavoratrice integra una eccezione in senso stretto, che la società non aveva fatto valere tempestivamente, ai sensi dell’art. 416 cod. proc. civ., essendo rimasta contumace nel giudizio di primo grado, e che non poteva essere dedotta in appello, per il divieto di cui all’art. 437 cod. proc. civ..

Immune da censura è pure la rilevata inammissibilità della produzione della dichiarazione scritta con la quale la lavoratrice avrebbe manifestato, in base all’assunto della società, la volontà di non proseguire nel rapporto, poichè il rilievo è in linea con la giurisprudenza di questa Corte (v. sentenza delle S.U. 20 aprile 2005 n. 8202), nè la ricorrente per superare tale rilievo può utilmente invocare l’indispensabilità, ai sensi del citato art. 437 cod. proc. civ., dell’esame del predetto documento, dovendosi evidentemente escludere questa connotazione per una prova tendente a dimostrare fatti estintivi del rapporto integranti un’eccezione di merito, ma non tempestivamente allegati, e dalla cui proposizione la società era ormai decaduta.

Il ricorso va dunque rigettato.

Non si deve provvedere sulle spese del giudizio di cassazione, in mancanza di attività difensiva dell’intimata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2010

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