Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.201 del 11/01/2010

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 19181-2008 proposto da:

SOGEAL SRL, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CIRCONVALLAZIONE NOMENTANA 312, presso lo studio dell’avvocato MICHENZI ALESSANDRO, rappresentata e difesa dall’avvocato PITINGOLO DOMENICO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati MARITATO LELIO, ANTONIETTA CORETTI, LUIGI CALIULO, giusta mandato in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1902/2007 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO del 20/09/07, depositata il 08/07/2007;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/10/2009 dal Consigliere e Relatore Dott. ANTONIO LAMORGESE;

è presente il P.G. in persona del Dott. MASSIMO FEDELI.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza depositata l’8 novembre 2007 la Corte di appello di Catanzaro, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato l’opposizione della So.Ge.Al s.r.l. avverso il decreto ingiuntivo, emesso nei suoi confronti, su ricorso dell’INPS, per il pagamento della somma di L. 987.567.350 per le omissioni contributive riscontrate con riferimento al periodo 1 gennaio 1994/30 aprile 1998, a seguito dell’accertamento ispettivo eseguito il *****.

Il giudice del gravame ha ritenuto provati lo svolgimento di attività lavorativa del dipendente P. a decorrere dall’aprile 1996, la registrazione per alcuni lavoratori, negli anni 1996 e 1997, di retribuzioni in misura inferiore a quella prevista dalla contrattazione collettiva, nonchè di assegni per il nucleo familiare in misura superiore a quella dovuta, ed infine l’omesso versamento di contributi sulle somme erogate a titolo di prestazioni occasionali.

2. La cassazione di questa sentenza è ora domandata dalla società soccombente con ricorso basato su due motivi.

Resiste con controricorso l’Istituto.

Essendosi ravvisata la sussistenza dei presupposti per la trattazione del ricorso in camera di consiglio è stata redatta la relazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., poi ritualmente notificata ai difensori delle parti costituite e comunicata al Procuratore Generale.

Ad essa ha replicato con memoria la società ricorrente.

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Il primo motivo di ricorso, denunciando violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., addebita al giudice del gravame di avere considerato sussistenti i fatti dedotti dall’ente previdenziale a fondamento del proprio credito in base al verbale dell’ispettorato del lavoro, pur non potendo costituire una o più dichiarazioni stragiudiziali in esso riportate idoneo supporto del convincimento del giudice.

Al termine del motivo è riportato il seguente quesito di diritto:

“Dica codesta Suprema Corte se, in virtù degli artt. 115, 116 c.p.c., sia consentito al Giudice d’Appello di pronunciarsi su circostanze di fatto in violazione del divieto di utilizzo della propria scienza, e del vincolo alle allegazioni ed ai principi generali afferenti le prove sulle quali la decisione deve fondarsi;

rilevato che nella fattispecie de qua, in merito all’esistenza del credito contributivo e delle connesse – ma non provate – irregolarità ed inadempienze, la prova incumbit e qui dicit non e qui negat (ndr.: così nel testo), aveva dedotto la Società opposta l’inesistenza dei rapporti di subordinazione.

4. Il secondo motivo, che denuncia vizio di motivazione, è articolato in due profili: il primo critica la sentenza impugnata perchè “in violazione del divieto di utilizzo della propria scienza, non assegna alcuna giuridica validità – all’esito dell’esperita e circostanziata istruttoria a quanto emerso ed a quanto eccepito dalla società opponente”. Assume che alcuni lavoratori (quelli di cui all’allegato 1 fascicolo Inps) avevano confermato di essere stati regolarmente assunti con rapporto di lavoro a termine per il periodo estivo e di avere lavorato saltuariamente nel periodo invernale, in occasione di ricevimenti e di convegni, percependo le somme complessivamente indicate dall’Istituto, che però erano corrisposte alla fine della giornata di lavoro, dietro rilascio di ricevuta.

Altri lavoratori (quelli indicati nell’allegato 2 del fascicolo Inps) avevano sostenuto di avere svolto prestazioni occasionali fino a 15 giorni consecutivi, e di avere percepito le somme specificate dall’Istituto, a loro versate alla fine della giornata di lavoro.

Questo profilo di censura si conclude con il seguente quesito: “Dica codesta Suprema Corte se il vizio di motivazione è afferente alla mancata considerazione degli elementi potenzialmente rilevanti quali fatti di prova di fatti costitutivi risultando di contro che l’incongruità della motivazione e del relativo apprezzamento del Giudice di appello si sia realizzato attraverso una valutazione errata degli elementi probatori acquisiti al giudizio e anche su errata valutazione del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 61 (riforma Biagi)”.

4.1 L’altro profilo di censura deduce che le inadempienze concernenti la registrazione di retribuzioni in misura inferiore a quella contrattuale e la corresponsione di assegni familiari in misura superiore a quella prevista non trovano conferma in altri elementi probatori e sono riferiti soltanto nel verbale ispettivo, il quale però non è fonte di prova, ed il giudice del merito ha basato l’accertamento di tali circostanze unicamente su presunti rapporti di subordinazione a tempo indeterminato. Neppure sono provate, ad avviso della società ricorrente, le omissioni contributive per il lavoratore P., in quanto il rapporto di lavoro ha avuto inizio non dall’aprile 1996 ma dal 10 giugno 1996.

Anche questo profilo di censura si conclude con un quesito di diritto così formulato: “Dica codesta Suprema Corte se incombe all’INPS l’onere di allegazione e prova dei fatti costitutivi del suo asserito credito e se, in applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., la valutazione delle risultanze della prova per testi debba essere operata in motivazione, in maniera logicamente corretta, con l’indicazione delle ragioni del convincimento maturato e su cui il Giudice ritenga di fondare la relativa decisione”.

5. Nella relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ., si è evidenziato che i quesiti formulati non rispondono ai requisiti richiesti dall’art. 366 bis cod. proc. civ..

Si è sottolineato come detta norma prescrive che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto, mentre per il motivo riconducibile al medesimo art. 360 c.p.c., n. 5 l’illustrazione deve contenere, a pena d’inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

La norma impone al ricorrente di indicare la pertinente questione di diritto o di fatto da risolvere, con modalità espositive tali da permettere al giudice di legittimità di individuare la questione con precisione ed immediatezza, e di deciderla, enunciando il coerente principio di diritto applicabile alla fattispecie; e perchè il quesito risponda a tale esigenza è necessario che la sua formulazione, dopo la puntualizzazione dei fatti rilevanti e la indicazione della soluzione adottata dal giudice, esprima la diversa regola di diritto in base alla quale la questione controversa debba essere decisa o specifichi gli elementi di fatto per i quali la valutazione sia mancata o sia insufficiente.

Così si è affermato che il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (Cass. 17 luglio 2008 n. 19769).

La relazione conclude per la genericità del quesito di diritto formulato al termine del primo motivo concernente la violazione di legge e delle indicazioni riassuntive dei fatti controversi per i quali è stato denunciato, risolvendosi i proposti quesiti, così definiti anche le indicazioni dei fatti controversi, in enunciazioni di carattere generale e astratto, prive di qualunque riferibilità alla fattispecie in esame.

Tali conclusioni, condivise dal Collegio, devono essere qui ribadite, poichè la società nel contrapporre la diversa valutazione di specificità e del quesito di diritto e delle indicazioni concernenti i fatti controversi si limita a sostenere a) l’inidoneità sotto il profilo probatorio degli elementi contenuti nel verbale ispettivo, che non può valere a ritenere l’adempimento da parte dell’ente previdenziale dell’onere di dimostrare la sussistenza del proprio credito nei confronti dell’azienda per le omissioni contributive in cui questa era incorsa, e b) l’attendibilità dei testimoni escussi nel corso del giudizio e la coerenza delle loro deposizioni con le dichiarazioni.

E queste argomentazioni, poi riprese nella memoria, richiamano in sostanza le deduzioni svolte nei motivi, senza inficiare i rilievi di genericità del quesito di diritto enunciato per il primo motivo e di omissioni delle indicazioni richieste ove sia dedotto un vizio riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. Si deve infatti ribadire che il quesito di diritto deve essere esplicito e non può essere implicitamente desunto dall’esposizione del motivo di ricorso (v. fra le altre Cass. 20 giugno 2008 n. 16941) ed analogamente per le indicazioni concernenti censure di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (Cass. 4 febbraio 2008 n. 2652).

6. Il ricorso deve perciò essere risultato inammissibile e la società, in applicazione del criterio della soccombenza, va condannata al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate con riferimento al valore della controversia, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro e in Euro 6.000,00 (seimila/00) per onorari.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2010

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