LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSELLI Federico – Presidente –
Dott. MONACI Stefano – Consigliere –
Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –
Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –
Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 31840-2006 proposto da:
U.A.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 220, presso lo studio dell’avvocato MAMMOLA DOMENICO, rappresentata e difesa dall’avvocato MACINO GIUSEPPE, giusta mandato a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GRANOZZI GAETANO, giusta mandato a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1310/2005 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 11/11/2005 R.G.N. 1860/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dei 10/11/2002 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MELIADO’;
udito l’Avvocato DOMENICO MAMMOLA per delega MACINO GIUSEPPE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in data 20.9/11.11.2005 la Corte di appello di Catanzaro confermava la sentenza resa dal Tribunale di Vibo Valentia il 25.5/16.6.2004, che rigettava la domanda proposta da U. A.S. per far dichiarare l’illegittimità del licenziamento intimatole dalle Poste Italiane spa con le conseguenti statuizioni di legge.
Osservava in sintesi la corte territoriale che la lavoratrice, assunta dalle Poste Italiane in quanto invalida civile, ai sensi della L. n. 428 del 1968, non aveva reso la dichiarazione prescritta dalla L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 257 ne si era presentata, in più occasioni, alle visite disposte dal Ministero del Tesoro per accertare la sussistenza dei requisiti per l’assunzione; ragion per cui, in difetto di alcuna allegazione in ordine alle ragioni che avevano impedito tale accertamento, doveva ritenersi realizzata, per effetto di un comportamento colpevole dell’interessata, la condizione risolutiva del rapporto di lavoro prevista dalla legge.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso U.A. S. con tre motivi.
Le Poste Italiane spa resistono con controricorso, illustrato con memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 la ricorrente lamenta violazione della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 257 osservando che la disposizione in questione risulta inapplicabile al caso in esame, dal momento che la norma è riferibile solo alle ipotesi di assunzioni automatiche e non sottoposte a controllo, e non anche ove l’assunzione sia stata deliberata a seguito dell’accertamento e della verifica dello stato di invalidità.
Con il secondo motivo, denunciando la violazione delle disposizioni già indicate, la ricorrente lamenta che la corte territoriale ha erroneamente ricollegato la risoluzione del rapporto di lavoro al rifiuto della dipendente di sottoporsi a “taluni accertamenti specialistici”, laddove, in mancanza di nuovi accertamenti, non poteva presumersi che i requisiti sanitari fossero insussistenti all’epoca dell’assunzione, con la conseguente automatica risoluzione del rapporto di lavoro.
Con il terzo motivo, infine, la ricorrente prospetta che la corte calabrese, con motivazione inadeguata, ha ritenuto applicabile l’art. 1359 c.c., pur non prevedendo la legge alcuna conseguenza per l’ipotesi in cui la persona interessata non abbia reso la dichiarazione prescritta e non si sia sottoposta ai relativi accertamenti sanitari, nè sia stato stabilito alcun obbligo in tal senso, e, comunque, per non potersi configurare un interesse della U. contrario all’avveramento della condizione. I motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi, e vanno disattesi.
Prevede la L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 257 che “… gli invalidi civili, i ciechi ed i sordomuti assunti al lavoro ai sensi della L. 2 aprile 1968, n. 482, direttamente per assunzione nominativa o per assunzione numerica tramite l’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, sono obbligati a presentare alla prefettura e al loro datore di lavoro una dichiarazione di responsabilità, ai sensi della L. 4 gennaio 1968, n. 15, relativa alla sussistenza dei requisiti per l’assunzione. La mancata presentazione della suddetta dichiarazione determina l’immediato accertamento della sussistenza dei citati requisiti da parte della Direzione generale dei servizi vari e delle pensioni di guerra del Ministero del tesoro. Qualora si accerti l’insussistenza dei requisiti, il rapporto di lavoro è risolto di diritto a decorrere dalla data di accertamento da parte delle medesima Direzione”.
All’accertamento dell’insussistenza dei requisiti per l’assunzione, insussistenza che la legge pone quale condizione risolutiva del rapporto di lavoro, deve essere equiparato il comportamento del lavoratore idoneo ad impedire l’accertamento. Infatti, come il comportamento del contraente che impedisce l’avveramento della condizione produce la finzione di avveramento ai sensi dell’art. 1359 c.c., cosi e per analogia il comportamento della parte contraria agli elementari doveri di cooperazione per l’attuazione del rapporto obbligatorio nei modi di legge produce il medesimo effetto fittizio a lei sfavorevole (cfr. Cass. n. 10265/1998).
Giova solo soggiungere che lo stabilire se il mancato avveramento si debba attribuire a causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario, per trame la conseguenza di considerare la condizione come avverata, costituisce un indagine di fatto, il cui risultato è insindacabile in sede di legittimità se non ricorrono vizi logici o errori di diritto.
Nel caso in esame, la corte calabrese, come si è detto, ha accertato, con indagine di fatto, rimasta, peraltro, incontestata, che la ricorrente nè ha presentato la dichiarazione prescritta dalla legge, nè si è presentata alle visite mediche reiteratamente disposte dall’Amministrazione, nè ha fornito alcuna giustificazione J circa le ragioni del rifiuto a sottoporsi a visita, così sottraendosi a comportamenti f previsti dalla legge come doverosi e che, in quanto contrari alla stessa oltre che a buona fede e correttezza, non risultano idonei a precludere l’avveramento della condizione (che, per la rilevanza che assume anche il comportamento della lavoratrice, configura una tipica condizione mista, come tale soggetta alla disciplina dell’art. 1359 c.c.: cfr. Cass. n. 6423/2003), con la conseguente equiparazione del mancato accertamento dei requisiti all’accertamento negativo dei medesimi. Per il resto, si deve solo soggiungere che la norma non contiene alcuna delimitazione circa i soggetti obbligati alla dichiarazione, riferendosi a tutti gli invalidi assunti ai sensi della L. n. 482 del 1968, e che non può rilevare che, in occasione dell’assunzione, fossero stati eseguiti i prescritti accertamenti, non risultando questi ultimi preclusivi di quelli espressamente previsti ex nova dalla norma, e quindi rispetto ai primi distinti e diversi.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 17,00 oltre ad Euro 2000,00 per onorario, nonchè spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 10 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2010