LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE LUCA Michele – Presidente –
Dott. MONACI Stefano – Consigliere –
Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –
Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –
Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 14190-2006 proposto da:
A.A., + ALTRI OMESSI elettivamente domiciliati in ROMA, V. DEI MILLE 41-A, presso lo studio dell’avvocato NOTA CERASI FRANCESCO, rappresentati e difesi dall’avvocato SCAPPATICCI ENNIO, giusta mandato in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
TELECOM ITALIA S.P.A.;
– intimata –
sul ricorso 14437-2006 proposto da:
B.D., + ALTRI OMESSI elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G. PISANELLI 40, presso lo studio del l’avvocato BISCOTTO BRUNO, che li rappresenta e difende, giusta mandato in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
TELECOM ITALIA S.P.A.;
– intimata –
sul ricorso 17734-2006 proposto da:
TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA D. CHELINI 5, presso lo studio dell’avvocato NUCCT FRANCESCO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, BOURSIER NIUTTA CARLO, giusta mandato a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
A.A., + ALTRI OMESSI elettivamente domiciliati in ROMA, V. DEI MILLE 41-A, presso lo studio dell’avvocato NOTA CERASI FRANCESCO, rappresentati e difesi dall’avvocato SCAPPATICCI ENNIO, giusta mandato in calce al ricorso;
– controricorrenti al ricorso incidentale –
sul ricorso 17735-2006 proposto da:
TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA D. CHELINI 5, presso lo studio dell’avvocato NUCCI FRANCESCO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, BOURSIFR NIUTTA CARLO, giusta mandato a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
B.D., + ALTRI OMESSI
;
– intimati –
avverso la sentenza n. 9572/2005 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 03/05/2005, R.C.N. 43186/97 + 1;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/11/2009 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;
udito l’Avvocato NOTA CERASI FRANCESCO per delega ENNIO SCAPPATICCI;
udito l’Avvocato BISCOTTO BRUNO e BOURSIER NIUTTA CARLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto di tutti i ricorsi.
Con separati ricorsi, successivamente riuniti, al Pretore, giudice del lavoro, di Roma, ritualmente depositati, gli odierni ricorrenti, dipendenti della Elettritalia s.r.l., premesso di essere stati impiegati in appalti telefonici commessi alla loro società datoriale dalla Sip s.p.a,, chiedevano la condanna in via solidale della Elettritalia s.r.l., società appaltatrice, e della Telesud s.r.l., alla quale essi erano successivamente transitati in forza di accordo in data ***** con conservazione dei diritti acquisiti, nonchè della Sip s.p.a., società appaltante, al pagamento delle spettanze economiche dovute a seguito del raffronto fra le competenze effettivamente percepite e quelle che avevano diritto di percepire ai sensi della L. n. 1369 del 1960, art. 3 in conseguenza della sentenza dichiarativa in precedenza emessa dallo stesso Pretore del lavoro con la quale era stato dichiarato il diritto di essi ricorrenti ad un trattamento retributivo e normativo non inferiore a quello minimo spettante ai lavoratori della Sip s.p.a.; chiedevano altresì la condanna di dette società alla regolarizzazione previdenziale.
Con sentenza in data 28.5.1996 il Pretore accoglieva la domanda in relazione al periodo dall’1.4.1980 all’11.4.1985 con attribuzione del ***** livello della contrattazione collettiva applicata dalla Sip s.p.a., e condannava le società convenute al pagamento per ciascun lavoratore delle somme specificamente indicate in dispositivo.
Avverso tale sentenza proponevano due distinti appelli i lavoratori originari ricorrenti lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo l’integrale accoglimento delle domande proposte con i ricorsi introduttivi.
Avverso la stessa sentenza proponeva distinti appelli, in via incidentale, la Telecom Italia s.p.a., subentrata alla Sip s.p.a., chiedendo la riduzione degli importi riconosciuti ai lavoratori nel giudizio di primo grado.
Non si costituivano la Elettritalia s.r.l. e la Telesud s.r.l..
Riuniti gli appelli e disposta nuova consulenza contabile il Tribunale di Roma, con sentenza in data 28.4.2005, dichiarava la inammissibilità degli appelli incidentali proposti dalla Telecom Italia s.p.a. e, in parziale accoglimento degli appelli proposti dai lavoratori, condannava le società originariamente convenute al pagamento delle differenze retributive indicate per ciascun singolo dipendente; condannava la Telecom al pagamento in favore di ciascun dipendente di metà delle spese relative ad entrambi i gradi del giudizio, che provvedeva contestualmente a liquidare, disponendo la compensazione tra le parti predette della restante metà.
Avverso questa sentenza propongono distinti ricorsi per cassazione i lavoratori B.D. ed altri con sette motivi di impugnazione, ed i lavoratori A.A. ed altri con sei motivi di impugnazione.
Resiste ad entrambi i ricorsi la Telecom Italia s.p.a. con separati controricorsi, proponendo a sua volta distinti ricorsi incidentali affidati a quattro motivi di gravame.
Resistono al detto ricorso incidentale con controricorso i lavoratori A.A. ed altri.
I ricorrenti B. ed altri hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Preliminarmente va disposta la riunione ai sensi dell’art. 335 c.p.c. dei quattro ricorsi perchè proposti avverso la medesima sentenza.
Col primo motivo del ricorso proposto i lavoratori B. ed altri lamentano violazione e falsa applicazione della L. n. 1369 del 1960, art. 3 e dell’art. 1362 c.c. e segg in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, su un punto decisivo della controversia: l’indiscriminato inquadramento di tutti i lavoratori nel ***** livello economico del CCL Sip. Analoga censura viene svolta dai lavoratori A. ed altri nel ricorso per cassazione proposto dagli stessi.
In particolare lamentano i ricorrenti che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto di dover attribuire a tutti i lavoratori il medesimo livello di inquadramento alla stregua delle previsioni contenute nel contratto collettivo Sip, e segnatamente il ***** livello, assumendo che l’anzianità di servizio andava determinata solo con riferimento al periodo in cui i lavoratori avevano operato nell’ambito dell’appalto, escludendo quindi che potessero essere posti a carico dell’appaltante anche gli oneri derivanti dell’anzianità pregressa maturata presso l’appaltatore; in tal modo peraltro il decidente aveva tradito la logica e lo spirito della L. n. 1369 del 1960, art. 3 ed aveva altresì interpretato in maniera non conforme agli ordinari canoni di ermeneutica contrattuale l’art. 12 del contratto collettivo Sip il quale espressamente prevedeva un sistema automatico di sviluppo professionale disponendo l’inquadramento nei superiore livello (nel caso di specie, il 4) indipendentemente dall’accertamento dei relativi requisiti, ma, sulla base della sola anzianità maturata nel livello.
E pertanto la Corte territoriale erroneamente aveva omesso il riferimento alla “anzianità effettiva” nello svolgimento delle mansioni in possesso di ciascun dipendente.
Il suddetto motivo di ricorso non è fondato.
La L. n. 1369 del 1960, art. 3 in relazione al suo ambito di applicazione, definito commi 1 e 2, impegna gli imprenditori committenti, in solido con l’appaltatore, a “corrispondere ai lavoratori da esso dipendenti un trattamento minimo inderogabile retributivo e ad assicurare un trattamento normativo, non inferiori a quelli spettanti ai lavoratori da loro dipendenti”.
Tale norma è diretta ad assicurare la parità di trattamento ai lavoratori dell’impresa appaltatrice al fine anche di eliminare l’interesse meramente economico dell’appaltante di rimettere a terzi attività rientranti nel proprio ciclo produttivo, e opera anche in riferimento a disposizioni di carattere normativo.
E’ opportuno premettere che gli aumenti di retribuzione connessi all’anzianità aziendale del dipendente costituiscono un trattamento normativo per cui opera la garanzia, prevista dalla L. n. 1369 del 1960, art. 3 secondo cui il dipendente dell’appaltatore deve fruire di un trattamento normativo “non inferiore” a quello dei lavoratori dipendenti dal committente.
Tale essendo la ratio della norma, appare di tutta evidenza che i suddetti aumenti di anzianità non possono essere determinati che con riferimento ai periodi in cui i lavoratori hanno operato nell’ambito dell’appalto, perchè altrimenti sarebbero posti a carico dell’appaltante anche gli oneri derivanti dalla precedente anzianità maturata presso l’appaltatore.
Ne consegue che il giudice dì merito ha correttamente preso in esame il periodo relativo al quinquennio da 10.4.1980 al 10.4.1985 operando, in relazione a tale periodo, il raffronto fra le retribuzioni corrisposte e limitando a tale periodo l’incidenza degli scatti di anzianità sul trattamento retributivo.
Sul punto i ricorsi proposti non possono pertanto trovare accoglimento.
Col secondo motivo di gravame i ricorrenti B. ed altri lamentano omessa ed insufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, su un punto decisivo della controversia:
l’attribuzione, a ciascun ricorrente, dei livelli del CCNL Metalmeccanici, individuati sulla scorta degli elementi desumibili dal ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
In particolare rilevano i ricorrenti che erroneamente i giudici di merito, nel ricostruire presuntivamente il “percepito” da ciascuno dei ricorrenti, essendo state non più rinvenute le buste paga ritualmente prodotte nel corso del giudizio di primo grado, avevano disposto che il CTU nominato utilizzasse, a tal fine, in mancanza di specifiche risultanze documentali sul punto, i dati emergenti dal ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e dagli allegati; e l’erroneità della determinazione dei giudici di merito era data dal fatto che tali dati non consentivano di ritenere con certezza che il livello retributivo indicato in ricorso rispondesse a quello effettivamente maturato a tale data.
Il motivo non è fondato, ove si osservi che il rilievo relativo all’inquadramento nei livelli del contratto Metalmeccanici – che non risulta peraltro, alla stregua del contenuto della sentenza impugnata, essere stato sollevato in precedenza – si appalesa assolutamente generico quanto alla affermazione secondo cui il ricorso introduttivo, “nel precisare il livello economico di appartenenza di ciascun lavoratore nella parte di intestazione dell’atto, non consente di affermare – con la dovuta certezza che il caso avrebbe imposto – che il livello indicato fosse quello da ultimo maturato all’atto della presentazione del ricorso”.
Non può farsi a meno di rilevare che il ricorso per cassazione deve, a pena di inammissibilità, essere articolato su motivi dotati dei caratteri della specificità e della completezza, di talchè parte ricorrente avrebbe dovuto specificamente indicare le ragioni per cui le indicazioni circa il livello retributivo di ciascun ricorrente contenute nel ricorso introduttivo non consentivano di fornire alcuna certezza sulla riferibilità di quel livello alla attività.
svolta all’epoca della presentazione del ricorso.
Non ricorrendo nel caso di specie siffatti elementi, il ricorso sul punto non può trovare accoglimento.
Col terzo motivo di gravame i suddetti ricorrenti lamentano omessa e insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, su un punto decisivo della controversia: l’asserita mancata specifica contestazione sulle operazioni peritali; nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e segg. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, circa la corretta interpretazione dell’accordo integrativo regionale del settore metalmeccanico del 17 luglio 1979.
In particolare rilevano i ricorrenti che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto che le operazioni di calcolo non fossero state oggetto di specifica contestazione, avendo essi richiesto che venisse incluso nel differenziale economico da calcolare sia l’indennità di anzianità (valevole sino al 31.5.1982), sia gli accantonamenti per il T.F.R. (valevoli per il periodo successivo al 1 gennaio 1982); ed erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto di non fornire alcuna motivazione sulla efficacia limitata nel tempo dell’accordo integrativo regionale del 177.1979, che avrebbe dovuto arrestarsi quanto meno alla data del 31.12.1981, in relazione al calcolo del “percepito”.
Osserva il Collegio che i rilievi mossi dal ricorrente involgono in realtà la valutazione di specifiche questioni di fatto, valutazione non consentita in sede di giudizio di legittimità. Ciò in quanto il controllo di legittimità demandato a questa Corte non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa, ma si estrinseca nella verifica, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, dell’esame e della valutazione compiuti dal giudice di appello, cui è appunto riservato l’apprezzamento dei fatti e degli elementi di prova acquisiti al processo.
Ora, è pur vero che quando il giudice del merito si basa sulle conclusioni dell’ausiliario, gli eventuali errori e lacune della consulenza si riverberano sulla sentenza sotto il profilo del vizio di motivazione; ma perchè ciò possa verificarsi è necessario che si tratti di affermazioni illogiche o tecnicamente errate. E pertanto in tal caso occorre che la parte evidenzi siffatte illogicità o deficienze, atte a far ritenere la sussistenza del dedotto vizio di motivazione.
E’ consolidato invero nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale “Il giudice del merito non è tenuto a giustificare diffusamente le ragioni della propria adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, ove manchino contrarie argomentazioni delle parti o esse non siano specifiche, potendo, in tal caso, limitarsi a riconoscere quelle conclusioni come giustificate dalle indagini svolte dall’esperto e dalle spiegazioni contenute nella relativa relazione, mentre non può esimersi da una più puntuale motivazione, allorquando le critiche mosse alla consulenza siano specifiche e tali, se fondate, da condurre ad una decisione diversa da quella adottata (v., tra le altre, Cass., sent.
n. 26694 del 2006)” (Cass. sez. 1, 28.5.2008 n. 14042; in senso conforme, Cass. sez. 3, 13.1.2005 n. 564; Cass. sez. lav., 16.6.2001 n. 8165).
Nel caso di specie nessuna censura in tal senso è stata mossa da parte ricorrente nel proposto gravame.
Sul punto osserva il Collegio che, per come emerge dal contenuto del proposto ricorso per cassazione, il CTU nominato ha espressamente fornito delle risposte ai rilievi mossi, evidenziando che l’indennità di anzianità e gli accantonamenti del T.F.R. non erano stati considerati perchè non rientravano fra gli elementi fissi della retribuzione.
Orbene, a fronte di tale specifica affermazione, nessun elemento è stato evidenziato dai ricorrenti al fine di far ritenere la erroneità di siffatte conclusioni e nessun argomento è stato svolto a sostegno dell’assunto secondo cui le dette indennità ed accantonamenti rientrerebbero fra gli elementi fissi del trattamento retributivo e sarebbero quindi da includere nel differenziale economico.
Pertanto il ricorso, sotto tale profilo, non può trovare accoglimento.
Per quel che riguarda la censura relativa alla omessa motivazione sulla efficacia limitata nel tempo dell’accordo integrativo regionale del 17.7.1979, rileva innanzi tutto il Collegio che anche nel caso di specie la Corte territoriale ha chiaramente inteso aderire alle conclusioni del C.T.U. ed alla interpretazione fornita dallo stesso circa la efficacia limitata nel tempo dell’accordo integrativo regionale del 17.7.1979, che il predetto C.T.U. ha applicato, in relazione al calcolo del percepito, all’intero periodo di accertamento (12.4.1980 – 10.4.1985) mentre, secondo l’assunto di parte ricorrente, avrebbe dovuto arrestarsi quanto meno alla data del 31.12.1981; e pertanto ha all’evidenza riconosciuto quelle conclusioni come giustificate dalle indagini svolte dall’esperto e dalle spiegazioni contenute nella relativa relazione.
Posto ciò ritiene il Collegio di dover altresì rilevare che comunque, per il principio di specificità e autosufficienza de ricorso in cassazione, è necessario che nello stesso siano indicati con precisione tutti quegli elementi di fatto che consentano di controllare l’esistenza del denunciato vizio senza che il giudice di legittimità debba far ricorso all’esame degli atti.
Pertanto nel caso di specie parte ricorrente, nel proporre la suddetta censura, avrebbe dovuto riportare nel ricorso (ovvero allegare allo stesso) il contenuto del predetto accordo integrativo, onde consentire a questa Corte di valutare l’esistenza del vizio denunciato senza dover procedere ad un (non dovuto) esame dei fascicoli – d’ufficio o di parte – che a tali atti facciano riferimento.
Ed infatti, come ha chiarito a più riprese questa Corte (Cass. sez. lav., 23.3.2005 n. 6225; Cass. sez. lav., 21.5.2004 n. 9734), “Il rispetto del canone di autosufficienza risulta fondato sull’esigenza, particolare nel giudizio di legittimità, di consentire al giudice dello stesso di valutare la decisività della prova, testimoniale o documentale, di cui si lamenti l’omesso esame da parte del giudice di merito, la sussistenza della violazione del canone ermeneutico, di carenze dell’elaborato peritale su cui si fondi la decisione del giudice di merito, e, più in generale, di un error in procedendo, senza che egli debba procedere ad un esame dei fascicoli – d’ufficio o di parte – ove tali atti siano contenuti (Cass. 1170/04, 4905/03, 9079/03, 15124/01).
Tale esigenza di astensione del giudice di legittimità dalla ricerca del testo completo degli atti processuali, attinenti al vizio denunciato, non è giustificata da finalità sanzionatorie nei confronti della parte che costringa il giudice a tale ulteriore attività d’esame degli atti processuali, oltre quella devolutagli dalla legge; la stessa risulta, invece, piuttosto ispirata al principio secondo cui la responsabilità della redazione dell’atto introduttivo del giudizio fa carico esclusivamente al ricorrente ed il difetto di ottemperanza alla stessa non deve essere supplito dal giudice per evitare il rischio di un soggettivismo interpretativo da parte dello stesso nella individuazione degli atti – o parti di essi – che siano rilevanti in relazione alfa formulazione della censura” (Cass. sez. lav., 23.3.2005 n. 6225).
E pertanto neanche sotto questo profilo il proposto gravame può trovare accoglimento.
Col quarto motivo di gravame i suddetti ricorrenti lamentano omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, relativo al calcolo della voce “scatti di anzianità” ed “ex scatti di anzianità” presuntivamente percepiti dai ricorrenti; nonchè violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 1362 c.c. e segg. e dell’art. 2697 c.c. per ciò che attiene alla corretta determinazione della voce “ex scatti di anzianità” del CCNL Metalmeccanici, art. 16 della Disciplina Speciale, parte prima.
Rilevano in particolare che i giudici di merito avevano erroneamente conteggiato per l’intero periodo gli scatti con il criterio riconosciuto dal contratto collettivo, mentre l’art. 16 del contratto Metalmeccanici del 16.7.1979 rinviava, per la determinazione degli “ex scatti di anzianità”, al precedente contratto collettivo di settore dell’1.5.1976.
Il motivo non è fondato ove si osservi, per un verso, che parte ricorrente avrebbe dovuto, in base al predetto principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, riportare (o allegare) il contenuto dei suddetto art. 16 del CCNL Metalmeccanici del 1979, nonchè il precedente contratto del 1976; e, per altro verso, che la Corte territoriale, nel rilevare la correttezza dell’operato del C.T.U., per quel che riguarda la disciplina degli “ex scatti di anzianità” relativi al periodo successivo al 31.12.1979, ha evidenziato che dalla contrattazione collettiva si evinceva “l’applicazione di una maggiorazione del 5% del minimo tabellare dal gennaio 1980 (art. 16 CCNL 16.7.1979) a conferma del sistema di attribuzione degli scatti di anzianità stabilito dall’Accordo Collettivo Nazionale del lavoro Uniciet – Sim 9.7.1976 …; risulta quindi che la stessa maggiorazione era applicata anche nel periodo precedente”.
In proposito ritiene il Collegio di dover ribadire che rientra nel compito del giudice del merito l’interpretazione delle disposizioni collettive di diritto comune (Cass. sez. lav., 3.4.1999 n. 3249;
Cass. sez. lav., 14.7.1997 n. 6407), avuto riguardo alla loro natura contrattuale, essendo detta interpretazione censurabile in sede di legittimità solo per vizi logici e per violazione dei principi di ermeneutica contrattuale.
Orbene, nel caso in esame non si ravvisa alcuna carenza nella motivazione della Corte territoriale in relazione alla operazione ermeneutica di sua competenza, e pertanto neanche sul punto il ricorso può trovare accoglimento.
Col quinto motivo di gravame i ricorrenti lamentano omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’ari. 360, n. 5, c.p.c, relativamente alla determinazione degli scatti di anzianità SIP, nonchè violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e segg., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per ciò che attiene alla corretta interpretazione dell’art. 26 del CCL SIP del 22.7.1978.
In particolare rilevano i ricorrenti che la Corte territoriale non aveva in alcun modo esternato il procedimento logico deduttivo che aveva consentito di condividere il meccanismo di computo adottato dal C.T.U., con riferimento agli scatti di anzianità, contenuto nell’art. 26 del CCL SIP del 22.7.1978 e confermato nei successivi rinnovi contrattuali, che prevedeva per ogni biennio di servizio una maggiorazione del 5% da applicarsi sui relativi minimi di stipendio aumentati dell’indennità di contingenza in vigore al momento dello scatto.
Il motivo è in realtà inammissibile per non avere parte ricorrente, disattendendo il principio di autosufficienza del ricorso, in alcun modo evidenziato il meccanismo di computo adottato dal C.T.U., condiviso dalla Corte territoriale, e che secondo l’assunto dei suddetti ricorrenti si porrebbe in contrasto con il disposto dell’art. 26 predetto.
Col sesto motivo di gravame i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, relativamente al giudicato sostanziale formatosi sulle statuizioni della sentenza sull’an del Pretore Pivetti del 12.1/9.6.1987; nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, su un punto decisivo della controversia.
In particolare rilevano i ricorrenti che erroneamente i giudici di merito avevano ritenuto di limitare l’accertamento delle differenze retributive reclamate dai ricorrenti al solo periodo aprile 1980 – aprile 1985, disattendendo in tal modo il giudicato esterno della sentenza sull’an resa dal Pretore dell’epoca, e confermata integralmente, in ultimo grado, dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 814 del 1993, che non fissava alcun limite temporale ad quem per il riconoscimento del diritto al trattamento minimo inderogabile di cui alla L. n. 1369 del 1960, art. 3; e con motivazione contraddittoria e carente, dopo aver prospettato l’impossibilità di estendere il giudicato a momenti successivi alla data di deposito del ricorso, avevano ritenuto che i lavoratori avessero omesso di provare l’effettuazione delle medesime mansioni nel periodo successivo all’aprile 1985.
Censura sostanzialmente analoga viene mossa dai lavoratori A. ed altri nel terzo motivo del ricorso per cassazione dagli stessi proposto.
Le censure non sono fondate, ove si osservi che la motivazione non presenta, sotto il profilo formale, alcun motivo di contraddittorietà ma si appalesa per contro assolutamente coerente e consequenziale, di talchè deve escludersi l’esistenza dei dedotti errori interpretativi in ordine alla portata del giudicato, avendo la Corte rilevato che le pretese degli appellanti erano basate su fatti non dedotti nel ricorso introduttivo, e che comunque tali fatti non risultavano adeguatamente provati.
In proposito osserva il Collegio che la decisione della Corte territoriale si appalesa adeguatamente e correttamente motivata avendo in buona sostanza rilevato, in punto di fatto, con statuizione che si sottrae pertanto alle censure ed ai rilievi sollevati dai ricorrenti, che i lavoratori non avevano provato in maniera rigorosa, come avrebbero dovuto ai sensi dell’art. 2697 c.c., di avere continuato ad esplicare la medesima attività nell’ambito del medesimo appalto, per il periodo successivo all’11.5.1985.
E pertanto, dal momento che il giudice di merito ha illustrato le ragioni che rendevano pienamente contezza del proprio convincimento ponendo in evidenza l’esistenza di una carenza probatoria in ordine alla effettuazione delle mansioni suddette nel periodo in questione, resta escluso il controllo sollecitato in questa sede di legittimità; ciò in quanto il vizio non può consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove rispetto a quello dato dal giudice di merito.
l suddetti motivi di ricorso non possono pertanto trovare accoglimento.
Col settimo motivo di gravame i ricorrenti B. ed altri lamentano violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 794 del 1942, art. 24 e D.M. 8 aprile 2004, n. 127, art. 5; nonchè omessa motivazione a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3.
In particolare rilevano i ricorrenti che la difesa in appello aveva depositato dettagliata nota spese, applicando rigorosamente e scrupolosamente il criterio di computo nella determinazione dei diritti ed onorari imposto dal tariffario forense.
La Corte territoriale, noncurante della specificità ed analiticità delle note sottoppostele, aveva quantificato in maniera forfettaria ed inadeguata, ad onta della particolare complessità e laboriosità della attività difensiva svolta, le spese del doppio grado, sia con riferimento ai diritti che con riferimento ed agli onorari, ed aveva altresì proceduto alla compensazione degli onorari nella misura del 50%, omettendo di indicare le ragioni della riduzione e non consentendo in tal modo al giudice della legittimità l’accertamento della conformità della liquidazione a quanto emergente dagli atti ed alle tariffe in relazione alla inderogabilità dei relativi minimi.
Anche in tal caso analoga censura viene mossa dai lavoratori A. ed altri nel sesto motivo del ricorso per cassazione dagli stessi proposto.
1 motivi non sono fondati.
Innanzi tutto, per quel che riguarda la disposta parziale compensazione delle spese di giudizio, osserva il Collegio che in tema di regolamento delle spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa. Pertanto esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del Giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi (Cass. Sez. 3, 11.1.2008 n. 406).
Per quel che riguarda la censura concernente la quantificazione dei diritti ed onorari, rileva il Collegio che il motivo è in realtà inammissibile, perchè la determinazione del compenso professionale spettante agli avvocati costituisce esercizio del potere discrezionale del giudice, il quale, se liquida a tale titolo una somma di danaro contenuta tra il minimo ed il massimo della tariffa, non deve specificatamente motivare la sua decisione, la quale non è pertanto soggetta ai sindacato di legittimità ad eccezione del caso in cui l’interessato indichi le singole voci della tariffa che sarebbero state violate (Cass. sez. 2, 7.9.2004 n. 17992; Cass. sez. 2, 30.7.2004 n. 14596).
E sul punto deve altresì rilevarsi che la parte che intenda impugnare per cassazione la liquidazione delle spese, per violazione minimi tariffari, ha l’onere di specificare analiticamente le voci e gli importi considerati, onde consentirne il controllo in sede di legittimità (Cass. sez. lav., 11.2.2004 n. 2626).
E pertanto neanche sul punto i ricorsi proposti possono trovare accoglimento.
Per quel che riguarda gli ulteriori motivi del ricorso proposto da A. più altri, osserva il Collegio che con il secondo motivo di gravame i predetti ricorrenti hanno evidenziato che erroneamente i giudici di merito avevano ritenuto che l’atto di appello non contenesse alcun rilievo in ordine alla chiesta regolarizzazione della posizione previdenziale, atteso che la domanda era stata specificamente proposta con il ricorso introduttivo, e con l’atto di appello era stato chiesto espressamente che la Corte territoriale volesse “condannare altresì la convenuta alla regolarizzazione di ogni singola posizione previdenziale ed assistenziale presso gli enti di comporto”.
Sul punto ritiene il Collegio di dover innanzi tutto evidenziare che l’appello, nel sistema processualcivilistico vigente, non costituisce un giudizio nuovo ma una revisio prioris istantiae.
L’art. 342 c.p.c. pone infatti l’onere della specificità dei motivi di appello, al fine di delimitare l’ambito della cognizione del giudice dell’impugnazione e di consentire un esame puntuale delle censure mosse alla sentenza impugnata. Tale onere è assolto solamente se l’atto di appello contiene articolate ragioni di censura su punti specifici e qualificanti della sentenza di primo grado, posto che il giudizio di appello ha natura di revisio prioris istantiae, alla stregua dei motivi di gravame, e non consente la mera generica richiesta di un nuovo giudizio, non configurandosi come “iudicium novum” avente effetto devolutivo generale ed illimitato. E pertanto l’atto di appello deve contenere una parte argomentativa volta a contrastare le ragioni addotte dal primo giudice a fondamento della sua decisione: non è quindi sufficiente che l’atto di appello consenta di individuare la statuizioni concretamente impugnate, e del pari non è sufficiente il generico rinvio alle difese svolte in primo grado, ma è necessario che espliciti con sufficiente grado di specificità le proprie argomentazioni a confutazione delle argomentazioni contenute nella sentenza impugnata così da incrinarne il fondamento logico – giuridico, e che comunque riproponga con adeguato grado di specificità le argomentazioni poste a fondamento del proprio assunto; ciò coerentemente alle previsioni contenute nell’art 434 c.p.c. il quale dispone che “il ricorso deve contenere l’esposizione sommaria dei fatti e dei motivi specifici dell’impugnazione, nonchè le indicazioni prescritte nell’art. 414 c.p.c.”.
A tale onere non hanno adempiuto gli odierni ricorrenti, che si sono limitati nell’atto di appello a ribadire la richiesta di condanna di controparte alla regolarizzazione delle posizioni previdenziali ed assistenziali, senza esporre alcuno specifico motivo a sostegno di tale richiesta ed a confutazione del mancato accoglimento della relativa domanda proposta con il ricorso introduttivo, e sono quindi venuti meno a quel principio di specificità dei motivi di appello, più volte richiamato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. lav., 29.5.2006 n. 12728; Cass. sez. lav., 1.12.2005 n. 26192;
Cass. sez. lav. 22.2.2005 n. 3538; Cass. sez. lav., 29.11.2004 n. 22427; Cass. sez. lav., 11.5.2004 n. 8926).
Correttamente pertanto la Corte territoriale ha limitato il proprio esame agli specifici motivi di gravame proposti con il ricorso in appello.
Col quarto motivo di gravame i ricorrenti lamentano che erroneamente la Corte territoriale aveva rigettato la richiesta di essi appellanti di imputare l’anticipo ex art. 423 c.p.c. non già al capitale ma agli interessi, atteso che l’art. 1194 c.c. impone siffatta imputazione.
Il motivo non è fondato avendo questa Corte rilevato che, in tema di imputazione di pagamento, la disposizione dell’art. 1194 c.c. – secondo cui il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi e alle spese senza il consenso del creditore – presuppone la simultanea esistenza della liquidità ed esigibilità sia del credito per capitale che di quello accessorio. A tale stregua deve ritenersi che, in tema di risarcimento del danno, i versamenti effettuati a favore del danneggiato nel corso del processo di liquidazione non sono imputabili agli interessi, non essendo applicabile il criterio previsto dall’art. 1194 c.c., che presuppone l’esistenza di un debito pecuniario, in realtà insussistente fino alla liquidazione del danno; con la conseguenza che i detti versamenti devono imputarsi al capitale e, gli interessi dovranno essere calcolati sull’intero importo liquidato con decorrenza dalla data dell’evento dannoso fino a quella di corresponsione degli acconti (Cass. sez. lav., 1.7.1994 n. 6228; Cass. sez. lav., 17.9.1991 n. 9668).
Col quinto motivo di gravame i ricorrenti suddetti lamentano la superficiale ricostruzione dei fatti di causa operata dai giudici di merito nella sentenza impugnata, nonchè la impostazione del tutto incomprensibile per quel che riguarda in particolare la individuazione della relazione di consulenza d’ufficio da prendere in considerazione fra le numerose effettuate, e la presenza di una serie di contraddizioni, di incongruenze ed illogicità nella motivazione svolta.
Il motivo si appalesa inammissibile per la sua assoluta genericità e la mancanza di specifiche argomentazioni a confutazione delle argomentazioni contenute nella sentenza impugnata.
A sua volta la Telecom, col primo motivo dei ricorsi incidentali proposti, lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.
In particolare la società ricorrente lamenta che erroneamente la Corte territoriale, dopo aver dato atto della mancanza in atti di elementi documentali sufficienti in ordine alla retribuzione effettivamente percepita in busta paga, aveva proceduto alla quantificazione delle differenze dovute considerando percepito l’importo della retribuzione teoricamente spettante in base alle voci fisse della contrattazione collettiva applicata dalla datrice di lavoro dei ricorrenti principali (contratto dei metalmeccanici), ed aveva quindi condannato la Telecom alla erogazione delle asserite differenze retributive in assenza di qualsivoglia prova in ordine al dato fondamentale ed indispensabile costituito dall’accertamento di quanto effettivamente percepito dal lavoratore.
Il motivo non è fondato.
L’assunto della ricorrente incidentale circa l’inottemperanza da parte dei lavoratori all’onere loro incombente ai sensi dell’art. 2697 c.c. di fornire la prova delle retribuzioni dagli stessi percepite si appalesa palesemente infondato ove si osservi che risulta pacifico tra le parti, nonchè confermato dalla certificazione rilasciata dalla Cancelleria del giudice di primo grado, che i predetti lavoratori avevano provveduto al deposito delle buste paga predette, successivamente peraltro non rinvenute. E pertanto gli stessi avevano pienamente e compiutamente adempiuto all’onere probatorio posto a loro carico, di talchè assolutamente infondata deve ritenersi la censura mossa con il predetto motivo di gravame.
Orbene, in siffatta situazione senz’altro corretta si appalesa la scelta della Corte territoriale di procedere alla quantificazione 4 delle differenze retributive richieste considerando come percepito l’importo della retribuzione spettante in base alle voci fisse della contrattazione collettiva applicata dalla società appaltatrice ai propri dipendenti, non potendosi far ricadere sugli stessi – che avevano regolarmente ottemperato all’onere probatorio loro imposto dalla legge – le conseguenze di un fatto loro assolutamente non addebitabile; nè la determinazione del giudice, di considerare l’importo della retribuzione prevista dalla contrattazione collettiva applicata dal datore di lavoro, appare censurabile sotto il profilo della ragionevolezza e della coerenza logica, di talchè il ricorso sul punto non può trovare accoglimento.
Col secondo motivo di gravame la ricorrente incidentale lamenta violazione e falsa applicazione dell’art 1362 c.c. nell’interpretazione dell’art. 27 del CCNL 16.7.1979 e 1.9.1983 della industria metalmeccanica, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.
In particolare la ricorrente rileva che erroneamente la Corte territoriale, nella quantificazione del quantum percepito dai dipendenti della società appaltatrice, aveva omesso di considerare il trattamento economico di trasferta, sotto il profilo che il detto trattamento non si applicava ai dipendenti che per l’attività svolta dovevano normalmente spostarsi da una località all’altra nell’ambito dello stesso centro urbano, di talchè sarebbe stato onere della Telecom Italia fornire la prova dell’espletamento di attività al di fuori del centro urbano.
Così statuendo la Corte territoriale aveva peraltro non correttamente applicato la normativa in subiecta materia, ai sensi della quale (art. 27, punto 12, CCNL industria metalmeccanica del 1979 e del 1983), “ai lavoratori di cui al sopra citato punto b), qualora ricorrano le condizioni previste dalla lettera a) del punto 2), verrà corrisposto l’importo pari ad un terzo dell’indennità di trasferta di cui al presente articolo a meno che non possano usufruire della mensa aziendale”.
Neanche tale motivo è fondato.
Sul punto il Collegio non può che ribadire che, in base al principio di specificità e autosufficienza del ricorso in cassazione, è necessario che nello stesso siano indicati con precisione tutti quegli elementi di fatto che consentano di controllare l’esistenza del denunciato vizio senza che il giudice di legittimità debba far ricorso all’esame degli atti.
Pertanto nel caso di specie parte ricorrente, nel proporre la suddetta censura concernente la non corretta interpretazione dell’art. 27 del contratto collettivo sopra indicato, avrebbe dovuto quanto meno riportare nel ricorso (ovvero allegare allo stesso) il contenuto completo dell’articolo predetto – il quale, tra l’altro, nel prevedere al punto 12 la corresponsione di un terzo dell’indennità di trasferta, fa riferimento alla sussistenza delle condizioni previste dalla lett. a) del punto 2), e di cui questo Collegio non ha alcuna contezza – onde consentire a questa Corte, per come detto, di valutare l’esistenza del vizio denunciato senza dover procedere ad un (non dovuto) esame dei fascicoli – d’ufficio o di parte – che a tali atti facciano riferimento.
A ciò si aggiunge che, ai fini dell’applicabilità di quanto previsto nella suddetta disposizione contrattuale, la ricorrente incidentale, che sollecita l’applicazione della norma, avrebbe dovuto provare – per come evidenziato nell’impugnata sentenza – l’effettivo espletamento di attività lavorativa al di fuori del centro urbano individuato come sede di lavoro, nonchè la sussistenza – rileva il Collegio – di tutte le condizioni cui la disposizione predetta subordina la corresponsione del cd. “terzo trasferta”, fra le quali la circostanza che i dipendenti interessati non potessero usufruire della mensa aziendale.
Di talchè, anche sotto questo profilo, il ricorso non può trovare accoglimento.
Col terzo motivo di gravame la ricorrente incidentale lamenta violazione dell’art. 1362 c.c. e segg. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. In particolare rileva la ricorrente incidentale che il CTU, nel calcolo degli scatti spettanti ai lavoratori come metalmeccanici, non aveva interpretato ed applicato correttamente la norma del contratto integrativo regionale (art. 14) in quanto il valore in cifra degli scatti non era stato adeguato all’intervenuto aumento dei minimi tabellari; ed i giudici di merito si erano adeguati a tale conteggio, senza fornire alcuna motivazione, nonostante l’argomento avesse formato oggetto di espressa critica da parte dei consulenti della Telecom nella osservazioni presentate al C.T.U..
Il motivo non è fondato per le argomentazioni in precedenza svolte, non avendo parte ricorrente provveduto ad allegare al proposto ricorso per cassazione il predetto contratto integrativo regionale, e neanche a riportare nel testo del gravame il contenuto del predetto art. 14, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non consentendo in tal modo la verifica della esistenza dei vizi denunciati.
Col quarto motivo di gravame la ricorrente incidentale lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 429 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.
In particolare rileva la ricorrente che erroneamente la Corte territoriale aveva riconosciuto in favore dei lavoratori non soltanto gli interessi calcolati in base al tasso di sconto maggiorato di due punti percentuali (siccome previsto dall’art. 23 del CCNL SIP), ma anche la rivalutazione; in tal modo la Corte era caduta in contraddizione perchè, dopo aver rilevato che nel caso in cui sia prevista una disciplina convenzionale degli interessi di mora doveva trovare applicazione il regime più favorevole fra quello legale e quello pattizio, aveva di fatto applicato entrambi i criteri, aggiungendo agli interessi calcolati in base al tasso di sconto maggiorato, anche la rivalutazione prevista dall’art. 429 c.p.c..
Anche in tal caso deve evidenziarsi che, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, la ricorrente incidentale avrebbe dovuto allegare (o riportare) il contenuto del provvedimento di incarico al CTU, al fine di verificare quali erano stati i criteri allo stesso forniti, ed avrebbe dovuto altresì allegare (o riportare) il contenuto sul punto della consulenza d’ufficio contestata, al fine di consentire a questa Corte di valutare l’esistenza o meno del vizio denunciato.
In assenza di siffatte indicazioni, il ricorso non può trovare accoglimento.
Alla stregua delle argomentazioni sopra svolte si impone il rigetto sia dei ricorsi principali che dei ricorsi incidentali proposti avverso l’impugnata sentenza.
Ricorrono giusti motivi, in considerazione del mancato accoglimento di tutte le impugnazioni proposte, per dichiarare interamente compensate tra le parti le spese relative al presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi principali ed incidentali, e li rigetta;
compensa le spese del presente giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 11 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2010