LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE LUCA Michele – Presidente –
Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –
Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –
Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –
Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 28196-2006 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GRANOZZI GAETANO, giusta mandato a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
D.S.D., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARZA’ CARMELO, giusta mandato in calce al controricorso;
– controricorrenti –
e contro
M.R.L.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 732/2005 della CORTE D’APPELLO di CATANIA depositatali 19/10/2005, il R.G.N. 360/05;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/11/2009 dal Consigliere Dott. GIOVANNI MAMMONE;
udito l’Avvocato FIORTLLO LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUZIO Riccardo che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza pronunziata dal Tribunale di Catania, veniva rigettata la domanda di dichiarare la nullità dell’apposizione del termine all’assunzione di vari dipendenti da parte della Poste Italiane s.p.a., tra cui M.R.L. e D.S.D., la cui posizione qui interessa.
Proponevano appello i dipendenti in via principale e l’appellata società in via incidentale, i primi ribadendo la tesi della nullità del termine e la seconda censurando la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto infondata l’eccezione di risoluzione consensuale del contratto.
La Corte d’appello di Catania con sentenza 29.9-19.10.05 accoglieva l’impugnazione principale e rigettava quella incidentale. Ritenuta insussistente la risoluzione consensuale del rapporto, la Corte di merito rilevava che i contratti erano stati stipulati in forza dell’art. 8 del CCNL Poste 26.11.94, come integrato dall’accordo sindacale 25.9.07 e che tali assunzioni, essendo motivale da esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione aziendale, erano da ritenere ammesse fino alla data del 30.4.98, di modo che per le assunzioni successivamente disposte il termine era illegittimamente apposto. Essendo tutti i contratti successivi, dichiarava che i rapporti di lavoro erano proseguiti dalla scadenza del contratto e condannava Poste Italiane a risarcire i lavoratori corrispondendo loro la retribuzione dalla notifica del ricorso introduttivo (costituente messa in mora), detratto per la M. l’aliunde perceptum.
Avverso questa sentenza Poste Italiane proponeva ricorso per cassazione, cui rispondeva con controricorso il D.S.. Non svolgeva attività difensiva la M..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Agli atti è stato depositato un verbale di conciliazione della controversia in sede sindacale.
Da detto verbale, recante la data del 22.1.09, risulta che D. S. ha raggiunto con la controparte un accordo transattivo concernente la controversia de qua e che le parti si danno atto dell’intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti di legge e dichiarando che – in caso di fasi giudiziali ancora aperte – le stesse saranno definite in coerenza con il presente verbale.
L’accordo comporta la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a proseguire il processo. Alla cessazione della materia del contendere consegue pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione, in relazione alla quale va valutato l’interesse ad agire (Cass. S.u. 29.11.06 n. 25278).
In ragione del tenore dell’atto di conciliazione, ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra Poste Italiane e Parisse le spese del giudizio di cassazione.
Passando alla residua posizione, deve rilevarsi che la M. fu assunta per il periodo ***** ai sensi dell’art. 8 del ccnl 26.11.94, come integrato dall’accordo 25.9.97, per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, quale condizione per la trasformazione della natura giuridica dell’Ente ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”.
La stessa, secondo le deduzioni formulate in ricorso da Poste Italiane, fu riammessa al servizio in forza della esecutorietà della sentenza di merito e fu licenziata prima della notifica del ricorso per cassazione. Non avendo la stessa impugnato il recesso, gli effetti restitutori conseguenti all’accoglimento della domanda debbono ritenersi limitati al momento del licenziamento.
La soc. Poste deduce: (primo motivo) violazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, artt. 1175, 1375, 1427, 1431 e 2697 c.c., nonchè dell’art. 115 c.p.c., nonchè carenza di motivazione, non avendo il giudice di merito tenuto conto che il rapporto di lavoro avrebbe dovuto essere ritenuto risolto per mutuo consenso, costituendo l’ampio lasso di tempo trascorso indice di disinteresse del lavoratore a sostenere la nullità del termine, di modo che erroneamente il giudice di merito avrebbe affermato che la prolungata inerzia non costituisce comportamento idoneo a rappresentare la carenza di interesse al ripristino del rapporto; (secondo motivo) violazione della L. 18 aprile 1962, n. 230, artt. 1 e 2 della L. n. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e dell’art. 1362 c.c., nonchè carenza di motivazione, sostenendo che la contrattazione collettiva ha piena facoltà di legittimare l’apposizione del termine per qualunque condizione di fatto, anche di durata temporale indeterminata; (terzo motivo, in subordine) violazione degli artt. 1206, 1217 e 1233 c.c. a proposito della decorrenza dell’obbligo di pagamento delle retribuzioni a titolo di risarcimento, che dovrebbe decorrere solo dal momento dell’effettiva ripresa del servizio, non contenendo il ricorso – scelto riferimento dal giudice di merito – alcuna offerta della prestazione al datore da parte del dipendente.
Quanto al primo motivo, deve rilevarsi che la giurisprudenza della Corte di cassazione (v. per tutte Cass. 17.12.04 n. 23554) ha ritenuto che “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale ormai scaduto) per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè, alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo;
la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto”.
Nel caso di specie il giudice di merito, a fronte della costituzione in mora effettuata dai ricorrenti mediante l’offerta della loro prestazione, non ravvisa elementi da cui desumere che gli attori avessero voluto rinunziare alla domanda di nullità della clausola o comunque abdicare dall’opportunità del ricorso al giudice.
Essendosi con tale affermazione il giudice attenuto al principio di diritto sopra enunziato e avendo al riguardo formulato una valutazione di merito incensurabile in sede di legittimità, il motivo deve essere rigettato.
Ai fini dell’esame del secondo motivo è necessario il richiamo della giurisprudenza di questa Corte in punto di rapporti tra la L. n. 56 del 1987, art. 23 e la contrattazione collettiva regolatrice del rapporto di lavoro dei dipendenti postali.
La costante giurisprudenza di questa Corte (cfr., in particolare, Cass. 26.7.04 n. 14011, 7.3.05 n. 4862), specificamente riferita ad assunzioni a termine di dipendenti postali previste dall’accordo integrativo 25 settembre 1997, ritiene che l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 56 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962 discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato.
Questa Corte (v., ex plurimis, Cass. 23.8.06 n. 18378), ha confermato le sentenze dei giudici di merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto dopo il 30 aprile 1998 a contratti stipulati in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, che ha consentito l’apposizione del termine, oltre che alle fattispecie già previste dall’art. 8 del ccnl 26.11.94, anche nella evenienza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione ecc. … . Si è ritenuto, infatti, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis conv. dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588).
Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo sottoscritto in data 16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31.1.98 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30.4.98), della situazione di cui al citato accordo integrativo, con la conseguenza che per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione l’impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto tempo determinato.
L’impostazione adottata consente di affermare che la sussistenza delle esigenze eccezionali è stata negozialmente riconosciuta dalle parti stipulanti limitatamente ad un periodo temporale che è limitato alla data del 30.4.98 e che, conseguentemente, la legittimità dei contratti a termine stipulati entro tale data è basata su una ricognizione di fatto derivante direttamente dal sistema normativo nato dall’attuazione dell’art. 23, che esclude l’onere di Poste Italiane di dare prova di una specifica e concreta esigenza.
Essendo stato il contratto a termine dalla M. stipulato per il periodo *****, il motivo deve essere rigettato.
Quanto al terzo motivo, riguardante il risarcimento spettante per la dichiarata nullità del termine ed il conseguente pagamento della retribuzione maturata a decorrere dalla data dell’intimazione a ricevere la prestazione, la soluzione adottata dal giudice di merito è conforme alla giurisprudenza di questa Corte (v. la sentenza a S.u. 8.10.02 n. 14381, nonchè, da ultimo, la sentenza 13.4.07 n. 8903) che, con riferimento all’analoga ipotesi della trasformazione in unico rapporto di lavoro a tempo indetcrminato di più contratti a termine succedutisi tra le stesse parti, per l’illegittimità dell’apposizione dei termini, o comunque della violazione delle disposizioni della L. n. 230 del 1962, ha affermato che il dipendente che cessa l’esecuzione delle prestazioni alla scadenza del termine previsto può ottenere il risarcimento del danno subito a causa dell’impossibilità della prestazione derivante dall’ingiustificato rifiuto del datore di lavoro di riceverla – in linea generale in misura corrispondente a quella della retribuzione – qualora provveda a costituire in mora lo stesso datore di lavoro ai sensi dell’art. 1217 c.c..
La sentenza impugnata si è attenuta a questo principio, in quanto ha ritenuto che la costituzione in mora – ai fini che qui interessano – fosse contenuta nel ricorso introduttivo.
Trattandosi di apprezzamento di merito correttamente motivato e, quindi, incensurabile in sede di legittimità, il motivo deve essere rigettato.
In definitiva, il ricorso deve essere rigettato.
Su tale residua posizione non deve emettersi pronunzia in punto di spese, non avendo la M. svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di D. S. con compensazione delle spese tra le parti. Rigetta il ricorso nei confronti di M., nulla statuendo per le spese.
Così deciso in Roma, il 12 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2010